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«Avevo fatto 1.200 aborti, un giorno guardai la gambina nel forcipe e tutto cambiò»

Posted by on Dic 31, 2021

«Come puoi riparare alla morte di 1.200 bambini? Non puoi». Mentre la politica americana si divide sul finanziamento pubblico al colosso delle cliniche dell’aborto Planned Parenthood, accusato da una inchiesta giornalistica indipendente di commercio di organi umani, il dottor Anthony Levatino, autore nella sua “prima vita” professionale di ben 1.200 interruzioni di gravidanza, ha voluto raccontare in un video il modo in cui all’interno di quelle cliniche «si uccidono» i bambini, descrivendo per filo e per segno e senza eufemismi le procedure.

IMMAGINI ASETTICHE

 Il video, che colpisce nel segno nonostante non contenga scene sanguinolente ma è solo disegni illustrativi, è stato diffuso su internet dall’organizzazione pro-life Live Action, anche in vista dell’imminente discussione presso la Corte suprema in merito alle leggi restrittive dell’aborto recentemente introdotte in Texas. L’obiettivo del filmato non è quello di colpire sentimentalmente gli spettatori, e infatti la scelta di corredarlo con immagini “asettiche” fa emergere con la massima chiarezza la barbarie della pratica abortiva.

LA PROCEDURA

Già nel 2012 Levatino rese una testimonianza davanti al Congresso di Washington in cui spiegò ai rappresentanti del popolo americano quanto dolore provino i bambini vittime dell’aborto. Adesso, con questo video e soprattutto in una intervista con la leader di Live Action Lila Rose, ha deciso di raccontare anche di sé. Levatino iniziò a praticare aborti nel 1977, lavorando in alcune cliniche private prima ancora di laurearsi in medicina. «Strappi le braccia e le gambe del bambino e le metti in una sacca sul tavolo», spiega nel video.

LA ROUTINE

Col passare degli anni l’aborto per il giovane medico americano diventò semplice routine. Da ginecologo professionista arriverà a compierne addirittura 1.200, fra cui un centinaio anche oltre il terzo mese di gravidanza. A scalfire questa ripetizione indifferente fu a un certo punto il dramma dell’impossibilità di concepire un figlio. Dopo aver provato a percorrere ogni via possibile, Levatino e la moglie fecero domanda per l’adozione, finché un giorno il ginecologo venne a sapere che una ragazza di 15 anni arrivata ormai sul punto di partorire «voleva dare in adozione la bambina». Furono i servizi sociali a contattare Levatino: «Risposi: “Oh certo che la voglio”. Il mese dopo mia moglie era incinta».

L’INCIDENTE

I due figli crescevano e l’uomo riprese la sua “routine”, animato dall’intenzione di «mettere via un po’ di soldi». Ma pochi giorni prima del suo compleanno la piccola Heather, dopo una giornata splendida passata con gli amici, venne investita da un’auto: «Morì nelle nostre braccia in ambulanza», ricorda Levatino. Distrutto dal dolore, il medico si prese una pausa. Ma appena ricominciò la sua attività «guardai la gambina nel forcipe e rimasi colpito». Levatino sul momento non poté fermarsi, poiché l’aborto, una volta iniziato, deve essere terminato, ma quel giorno «per la prima vota nella mia carriera vidi le parti del corpo del bambino ammucchiate. Non vedevo il medico meraviglioso che aiutava le donne a risolvere il loro problema, non vedevo il fantastico diritto di scelta, non vedevo gli 800 dollari. L’unica cosa che vedevo era il figlio o la figlia di qualcuno». Nella mente del medico prese forma l’immagine della donna che si avvicinava a lui dicendogli: «Tieni 100 dollari e uccidi mio figlio».

LA DECISIONE

«Sapevo perché stavo male», ricorda Levatino, ma «provai a continuare e feci altri due aborti». Dopo quell’esperienza però non poteva più mettere a tacere la sua coscienza, l’orrore era diventato troppo forte. «Dissi ai miei colleghi che non avrei più fatto gli aborti al secondo trimestre». E non ci vorrà molto tempo perché il ginecologo decida di smettere del tutto. «Quando finalmente capisci che uccidere un bambino è sbagliato, non importa quanto è grande il bambino, è sempre lo stesso», spiega. Secondo Levatino è stato il sacrificio di sua figlia a spingerlo a coinvolgersi in prima persona nella causa pro life, provando a salvare vite anziché a sopprimerle, anche «per guarire e per trovare perdono».

fonte

«Avevo fatto 1.200 aborti, un giorno guardai la gambina nel forcipe e tutto cambiò» – Il Cammino dei Tre Sentieri

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