BANDITI O GUERRIGLIERI 1860-1865 una lotta senza quartiere.
LA STAMPA SABATO 26 AGOSTO 2000
BANDITI O GUERRIGLIERI 1860-1865 una lotta senza quartiere.
Il fascino antico dell’«esercito straccione» Avventurieri e idealisti, ribelli a un’Italia appena nata.
Ho il cappello piumato, la mia tunica ingallonata, un morello puro sangue; sono armato sino ai denti ed esercito il comando su ottocento uomini e trecento cavalli», cosi si descriveva, nel 1861, Carmine Crocco, detto Donatelli, forse il più famoso dei «briganti» lucani. Meno famoso e meno fortunato di lui (Crocco morì di morte naturale, a 75 anni, nel 1905 nel carcere di Portoferraio) fu il suo luogotenente Ninco Nanco, ucciso in uno scontro a fuoco, nel 1864, tra i boschi di Avigliano, vicino Potenza. Crocco e Ninco Nanco furono i capi di quell’esercito «straccione» che tra il 1860 e il 1865 combattè¨ una guerra senza quartiere, chiamata brigantaggio, contro l’esercito regolare del neo-nato stato italiano. Nella sola Lucania, dal 1861 all’agosto del 1863 si contarono 1038 fucilazioni, 2413 briganti uccisi in conflitto e 2768 arresti. Crocco aveva con se cafoni e disertori, idealisti filo-borbonici e piccoli borghesi in cerca d’avventura. Ma oltre al suo diventarono noti i nomi di briganti abruzzesi e campani, lucani o calabresi come Zappatore o Chiavone, Medichetto o Maccherone, Colarulo, Ciucciariello e Caprariello. Crocco, secondo di cinque fratelli, era figlio di un pastore di Rionero in Vulture. Si era arruolato diciottenne nell’esercito Borbonico e aveva disertato dopo aver ucciso un compagno d’armi. Si era avvicinalo ai liberali e aveva anche indossato la camicia rossa dei garibaldini. Come tutti i grandi guerriglieri conosceva bene il territorio in cui si muoveva, ma non era un «politico», anche se riuscì ad aggregare attorno a sè l’insoddisfazione di quei contadini che si sentivano traditi dal nuovo stato unitario, che non solo non aveva diviso lo terre demaniali, ma aveva anche istituito la leva obbligatoria. Su questa insoddisfazione pensavano di far leva i borbonici per riconquistare il regno perduto. Così dallo stato Pontificio cercarono senza successo, di tirar le fila del movimento insurrezionale. Fecero sbarcare in Calabria un «cabecillu». José Borges, che incarnò l’anima filoborbonica dol brigantaggio. Borges, un ufficiale catalano ormai sulla cinquantina, per un breve periodo combattè con Crocco. Insieme i due, nel novembre del 1861, furono a un passo dal conquistare Potenza. Ben presto però si divisero, al ribelle contadino poco importava di restaurare il regno dei Borboni. Borges, in fuga, fu ucciso, come un Bandito, dai bersaglieri italiani a Tagliacozzo, a pochi chilometri dallo stato pontificio che per lui avrebbe significato la salvezza.
Ma il brigantaggio non fu solo un fenomeno maschile, a condividere la vita all’addiaccio, tra ricoveri di fortuna e fughe a cavallo, c’erano anche donne, come Filomena Pennacchio, figlia di un macellaio, compagna del brigante Schiavone, che fu una dello prime «pentite» e con la sua delazione fece catturare un buon numero di uomini di Crocco. O Arcangela Cotugno, moglie del brigante Rocco Chirichigno, alias Coppolone: al suo attivo una lunga serie di crimini, dal furto alla rapina, dall’omicidio alla «grassazione», secondo i verbali di polizia dell’epoca. O ancora Elisabetta Blasucci, alias Pignatara, una contadina che dopo la morte del marito, fucilato dall’esercito italiano, si diede alla macchia. Le «brigantesse» vestivano abiti maschili e spesso erano più feroci degli uomini. E nel vestire abiti maschili non erano in fondo dissimili dalla regina Maria Sofia, moglie di Francesco II, che dall’esilio cercava di aiutarle, tanto che arrivò a scrivere al generale francese Henry de Cathelineau “Preferirei morire in Abruzzo, con i briganti, che vivere a Roma”. Da un lato e dall’altro ci furono efferatezze. Se i briganti bruciavano e saccheggiavano le case dei benestanti che non li aiutavano, tendevano sanguinosi agguati alle truppe dell’esercito italiano (che aveva ereditato uomini e quadri dall’esercito sabaudo) questo dal canto suo non giocò meno duro. Per stroncare la rivolta fu prima dichiarato lo stato di assedio nelle ragioni meridionali e poi nel ’63 approvata la legge Pica, che stabiliva all’articolo 2 «i colpevoli del reato di brigantaggio, i quali armata mano oppongono resistenza alla forza pubblica saranno puniti con la fucilazione». E in molti paesi i corpi dei fucilati venivano esposti, come ammonizione: «spuntano ai pali ancora le teste dei briganti» recita un verso di Rocco Scotellaro, il sindaco poeta di Tricarico.