Alta Terra di Lavoro

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Borbone…no Borboni….chiedo scusa…mi è sfuggito

Posted by on Gen 22, 2019

Borbone…no Borboni….chiedo scusa…mi è sfuggito

Firenze, lì 12 giug…no 1884

“……Ferdinando IV e Maria Carolina seppero a Vienna i fatti della rivoluzione francese, e ritornarono in patria, ove le smodate passioni si svilupparono rapidamente.
Resistette il Re dalle cominciate riforme, e pensò invece a difendere i suoi Stati da’ suoi nemici esterni, e da quelli che congiuravano per dare il proprio paese in preda allo straniero.

Propose una lega tra Principi italiani e concludeva così la sua Nota:

“Il Re delle Due Sicilie, ultimo al pericolo, si offre primo a’ cimenti, e ricorda ai Principi italiani che la speranza di campar soli è stata sempre la rovina d’Italia.”

Egli fece il possibile per salvare l’Italia dall’invasione e dal saccheggio francese, eppure dicono che quello era il sovrano tiranno.
Quella saggia ed animosa proposta non ebbe effetto.

Il Re di Sardegna, che aveva aderito alla Lega, si mostrò pentito della data adesione, ed i suoi popoli furono i primi spogliati e fatti servi da’ rivolzionarii francesi.

Volle Ferdinando organizzare la difesa, ordinò nuove leve, assoldò Dalmati e Svizzeri, accrebbe i Reggimenti mercè molti volontarii di famiglie patrizie; mancando di Generali invitò forestieri, tra questi diversi Principi di casa Reale. Il Principe di Assia Philipstail si distinse molto.
Gli arsenali del Regno fabbricavano armi, nel deposito di Castel Nuovo si stabilì un deposito di 60 mila fucili. L’artiglieria fu accresciuta, le navi da guerra aumentate, epperò i settarii gridavano alla tirannia ed alla dissipazione del denaro dello Stato.

Il Re delle Due Sicilie non poteva lottare colla repubblica francese; non poteva che esserne la vittima.

Lasciato solo, e per non esporre Napoli ad esserne bombardata, dovette accettare l’ultimatum dell’ammiraglio La Touche, e permettere che le sue navi col pretesto di approvvigionarsi restassero a Napoli, dando i suoi Ufficiali consigli ed istruzioni per la rivolta.

Quella sanguinosa Repubblica francese, dopo di aver distrutto nella propria patria leggi, culti, proprietà e vita, si sparse per l’Europa, colle sue terribili legioni, avendola prima invasa colle folle dottrine, spargendo i semi di ribellioni. L’Italia fu la prima aggredita.
L’esercito francese, condotto dai generali Scherer, Massena, Kellerman, invase il Piemonte. Gli austriaci l’arrestarono per poco. Fu nelle battaglie di Montenotte, Millesimo, Dego e Mondavi che si rivelò il genio guerriero di Napoleone Bonaparte, che aveva dato già prova di sé all’assedio di Tolone.

Quell’uomo tanto fatale all’Italia ed all’Europa, dopo aver vinto gli Austro-Sardi, si avanzò terribile e baldanzoso nelle pianure Lombarde, saccheggiando ed incendiando villaggi e città.
Il Re delle Sicilie, vedendo approssimare il nemico, provvide alla difesa. Formò un campo nelle pianure di Sessa, spedì truppe in Lombardia, ed i nostri soldati di cavalleria si distinsero a Cotogno, sul ponte dell’Oglio a Villeggio. I francesi però si resero padroni di tutta l’alta Italia, obbligando l’esercito austriaco ad abbandonare la penisola.

Poté Francesco conchiudere, il 1° novembre, a Parigi, un trattato di pace, pagando alla Repubblica di Francia otto milioni di lire; fu però solo aggiornato l’invasione del Regno, mentre i francesi, accantonati nello Stato Pontificio, incitavano i popoli alla rivolta, facendo propaganda repubblicana, e centro di cospirazione il ministro francese di Gazot a Napoli.

Pretensioni e provocazioni incominciarono più apertamente a farsi strada, ed indussero Ferdinando ad uscire dalla neutralità che era per lui peggiore della guerra.
Si avanzò dunque alla testa di 50 mila uomini nello Stato Pontificio. Comandava l’esercito Napoletano il generale austriaco Mack, mostrando in quell’occasione quanto era usurpata la sua fama di valoroso.
Egli divise e suddivise quelle truppe, ed entrò in Roma gonfio di effimero trionfo, mentre il generale francese Championnet, dalla frontiera ove erasi ritirato, prendeva l’offensiva, profittava degli errori del Mack, e batteva i Napoletani divisi in piccole colonne.
Lo disfece presso Ancona, ed al 20 dicembre marciò con tutto l’esercito francese sul Regno di Napoli.

Le popolazioni in armi, gli fecero, accanita resistenza.
Il popolo ruppe ogni freno, ed il Re fu costretto dagli inglesi a lasciare Napoli e stabilirsi a Palermo, raccomandando al suo Vicario Generale, Principe Pignatelli Strangoli, di salvare la sua diletta Napoli a costo di qualunque sacrificio, sacrificio che anche più nobilmente fu rinnovato dopo sessant’anni dal suo pronipote Re Francesco la sera del 6 Settembre 1860.
La mattina del 22 dicembre 1798 il Re colla real famiglia s’imbarcò per Palermo sopra un vascello inglese comandato dall’ammiraglio Nelson. Per tre giorni la mancanza di vento lo trattene nel golfo di Napoli.

Il popolo mandò diverse deputazioni per farlo desistere dal viaggio, ma la politica inglese prevalse. Nella traversata sorse una tempesta che cagione di morte del piccolo Principe reale D. Alberto, il quale aveva appena 6 anni.

Feste e dimostrazioni di gioia accolsero il Re a Palermo, mentre a Napoli il popolo, esasperato per la partenza sua, si abbandonava alla più selvaggia anarchia, non bastando la pedante vanità del Pignatelli a mantenere l’ordine e la quiete.

Altro ostacolo non trovarono i francesi che le popolazioni in armi. Anche allora tradimenti, diserzioni e vigliaccheria di capi paralizzarono ogni difesa militare, restando solo le masse del popolo armate, per difendere l’indipendenza del Regno e l’onore della Nazione.

Gli abruzzesi specialmente fecero prodigi di valore ed avrebbero forse respinto da soli gli invasori, se il Pignatelli ed il Amck non avessero, l’11 gennaio del 1799, stabilito una tregua di due mesi, con patti vergognosi. Il popolo non volle accettarli. Il Vicario fuggì a Palermo. Il generale Championet marciò su Napoli.
E’ indescrivibile l’ira del popolo Napoletano a quella notizia. Tutti si armarono. Elessero a capo due uomini oscuri e animosi che andarono incontro ai nemici.

La plebe cominciava gli eccessi, ed il 31 gennaio 1799 popolani e lazzaroni corsero ai castelli, presero i più grossi cannoni, li trascinarono a Poggioreale, assalirono gli avamposti francesi, ma battuti, retrocessero.

Championet si avanzò a Capodimonte, ove avvenne altra mischia tra francesi e popolani. Malgrado i rovesci che le masse soffrivano, pure tenevano ancora la linea difesa. Numerosissime si trovarono a Porta Capuana, ove s’avanzava una forte divisione francese.

Il macello fu orrendo, e quei popolani che non avevano armi scagliavano pietre. I francesi furono respinti più volte, e sarebbero stati distrutti, se al valore avessero le masse aggiunto la prudenza. Furono ingannate da mosse strategiche, sbagliate al sopraggiungere di francesi rinforzi.

Sanguinosa pugna avveniva nella stessa città lungo la strada Foria, ed i popolani furono colà attaccati alle spalle da una turba di studenti. Molti lazzaroni furono fatti prigionieri, e vennero immediatamente fucilati.

Entrarono così i francesi a Napoli. Il generale scelse per sua residenza il palazzo di Angrè e proclamò aver liberato Napoletani dalla tirannide, minacciando esemplari castighi a chi non avesse quella libertà voluto accettare, e peggio a chi la avesse ostacolata.

Istituì lo Stato a Repubblica, e scimmiottando la Convenzione francese abolì il Calendario cristiano, incamerò i beni ecclesiastici, soppresse i Conventi, piantava alberi della libertà nelle pubbliche piazze, mandava Commissarii nelle provincie per estorcere denaro a qualunque costo, stabilì una tassa di guerra in 16 milioni di ducati; ma parendo troppo mite (!) quella dittatura, fu richiamato a Parigi dal Direttorio, e prima di giungere a Roma fu arrestato e condotto nella Cittadella di Torino, mandando a Napoli un Fraipoult per esigere da’ Napoletani nuove tasse ed altre spogliazioni.

Odiati gli invasori anche da quelli che in buona fede avevano aiutato la loro venuta, si giudicò opportuno operare un ardito colpo, e volendo restaurare il trono con armi popolari si decise il re Ferdinando a spedire il Cardinale Fabrizio Ruffo, che aveva seguito la Corte a Palermo, gli conferì il grado di Vicario Generale del Regno, assegnandogli solo 30 mila ducati ed un piccolo seguito, e quel coraggioso Cardinale, fidando nella giusta causa che difendeva, s’imbarcò per le Calabrie. Arrivò a Catona l’8 febbraio, e cominciò la difficile impresa con soli trecento contadini armati.

Ma, appena divulgatosi in Calabria il suo arrivo, torme di soldati gli si unirono, ed in poco tempo aveva a’ suoi ordini 17 mila uomini che si dissero dapprima esercito della Santa Fede, poi esercito cattolico.
Espose in un manifesto la missione ricevuta, esortando tutti ad armarsi per difendersi la causa del legittimo Sovrano e della Chiesa, per rivendicare la sua patria, le sostanze e l’onore napoletano oltraggiato. Vedutosi forte di armi e di armati, risoluto marciò sopra Monteleone, centro delle Calabrie, ove entrò il 1° marzo, restaurando il governo del Re.

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