BRIGANTAGGIO-NELLE PROVINCIE NAPOLETANE DAI TEMPI DI FRA DIAVOLO SINO AI GIORNI NOSTRI-MARCO MONNIER
Ci sono dei testi che hanno fatto la storia del Sud, partecipando a quella “guerra delle parole” che ci ha ridotti a dei servi senza dignità. Ebbene i libri scritti da Marco Monnier, scrittore che ebbe accesso alla documentazione delle gerarchie militari piemontesi (del La Marmora tanto per citarne uno a caso…) fanno parte di quei testi.
I suoi scritti sul brigantaggio e sulla camorra verranno scopiazzati da tutti coloro i quali si occuperanno di tali argomenti dopo di lui. Nessuno dirà più di lui nè aggiungerà nulla a quanto detto da lui. Salvo rare eccezioni, quali il Molfese, secondo il nostro modesto parere.
I termini scelti da Monnier, i suoi giudizi, la sua valutazione degli eventi, tutto verrà ripetuto migliaia di volte sui giornali, nelle accademie dove si formano le classi dirigenti, nelle scuole di ogni ordine e grado.
Le sue omissioni saranno le loro omissioni – vedi le deportazioni dei Soldati Napolitani, giusto per non restare nel vago.
Zenone di Elea, 23 Dicembre 2008
AI LETTORI
Il rinnuovarsi e il ripullulare in questi giorni istessi del brigantaggio nelle provincie meridionali del Regno Italiano, accresce pregio di opportunità a questo libro, sotto ogni aspetto commendevole. Imperocché in esso furono dall’Autore raccolte memorie e documenti, aneddoti e storie, che si riferiscono al brigantaggio cui nell’anno decorso fu in preda quella bellissima parte d’Italia, la quale di briganti non ebbe mai penuria anche in tempi quietissimi, e anche quando le commozioni politiche non poteano servir di pretesto alle rapine, agli assassinii, a,’delitti d’ogni maniera Or quest’idra, che credevasi doma mercé l’operosa vigoria del generai Cialdini, risorge, e allo sciogliersi delle nevi, al fiorir dei prati si formano nuove frotte di briganti indigeni e stranieri, per le quali da Roma partono danari e indulgenze, armi e benedizioni. Ma il brigantaggio che si tenta nuovamente organare, e contro il quale già si adoperano le milizie regolari e cittadine del regno, non é diverso da quello che Cialdini nell’anno decorso riusciva quasi a spegnere: e come pari ha con esso le imprese e gli effetti, cosi pari ha le cause o prossime o remote onde ha origine; e già si odono anche in questi giorni ripetere i casi atroci, che nel 1861 funestarono quelle contrade.
Questo nuovo lavorò del signor Marco Monnier, che, avuto il consentimento di lui, primi offriamo al pubblico, vólto dal francese nel nostro idioma, è della
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massima importanza per le rivelazioni che vi si contengono, pei fatti che vi sono registrati, per le cause che a que’ fatti si assegnano, e in singolar modo poi per le disperate condizioni cui si trova condotta la fazione che eccita, anima, dirige, assolda e benedice tali imprese. Il Giornale di Borjès, che fa parte di questo lavoro, palesa appieno per quali arti si sorprenda la buona fede di uomini, i quali pur professando dottrine politiche che non son più de’ tempi nostri, conservano onesto l’animo, e pongono a repentaglio la loro vita per principi la cui fama è ornai resa infame. Il Giornale dell’avventuriero Spagnuolo è la rampogna più fiera, la condanna più inesorabile dei disonesti raggiri de Borboni e della Curia Romana.
Ma il maggior pregio di questo lavoro sta, a nostro credere, nella qualità della persona che lo ha scritto. Non è un Italiano, cui le passioni di parte facciano velo all’intelletto, quegli che ha marchiato le imprese de’ briganti incamuffatti da legittimisti, e de1 legittimisti in abiti di briganti: sibbene un Francese, il quale da molto tempo vive in Italia e ama l’Italia quasi come se nato vi fosse, pur conservando alla sua natura e al suo ingegno quell’impronta che ebbe dalla sua terra natale. Il che è da notarsi, imperocché il giudizio che sugli uomini e sugli eventi egli ha formulate» è vieppiù autorevole per la imparzialità onde fa prova in queste pagine, dove mentre da un lato ha narrato la storia dei delitti e delle colpe de’ briganti, dall’altro non ha voluto nascondere gli errori e i meriti del Governo Italiano; il quale, giova sperarlo, potrà nell’anno che corre pacificare quelle provincie nobilissime, la cui fede all’Italia è stata ornai crudelmente provata.
Firenze, aprile 1862.