Alta Terra di Lavoro

già Terra Laboris,già Liburia, già Leboria olim Campania Felix

BRIGANTESSE INSORGENTI

Posted by on Dic 21, 2017

BRIGANTESSE INSORGENTI

Maria Maddalena De LELLIS:

Nella banda di Andrea Santaniello aveva una posizione preminente Maria Maddalena De Lellisi detta la Padovella, una specie di segretaria della comitiva, e forse amanuense perché, si dice, era l’unica che poteva usare un pezzo di matita fra tanti analfabeti.

Dalla montagna di Mignano in Campania la Padovella aveva scritto una lettera al prete don Leone chiedendo una forte somma di danaro e mandandogli un’orecchia del nipote catturato. Non rimase contenta delle 900 piastre ricevute e proruppe: “ammazziamone uno, e mandiamo un’altra orecchia a don Leone“. Il povero don Leone finì ucciso, dopo i pagamenti. Era isterica e sanguinaria. Le lettere della Padovella, suscitarono polemiche letterarie nei salotti.

 Luigia CANNALONGA: 

contadina di Serre, madre del capobrigante Gaetano Tranchella. Manifestava antipatia per Garibaldi, ed aveva inculcato quest’odio nell’animo dei figli Rosario e Gaetano. Dei due, Rosario finì presto in galera; Gaetano divenne capo di una banda di cui la madre era l’effettiva organizzatrice. Già imputata nel 1862 di corrispondenza con banda armata, somministrazione di viveri ed alloggio, fu successivamente assegnata a domicilio coatto quale “sospetta manutengola di brigantaggio“, per deliberazione della Prefettura di Salerno. All’isola del Giglio Cannalonga incontrò altre donne compromesse con il brigantaggio, Giovannella Mazzeo la donna di Giuseppe SofiaAngela Iacullo fidanzata di Vito PalumboSofia Martuscelli favoreggiatrice e spia, ed altre. Quando Gaetano Tranchella venne ucciso il 14 agosto 1864, cessò la ragione del domicilio coatto e Luigia Cannalonga venne rilasciata. Non ritornò a Serre, fece perdere le sue tracce. Andò sulla montagna dove era stato il figlio, e qui trovò una giovane donna che ne era diventata l’amante ed aveva da poco partorito. Con la nuora e la nipotina rientrò finalmente a Serre, ed il Prefetto di Salerno annotava sul fascicolo: “27 marzo 1865, essendosi rinvenuta la sunnominata Cannalonga, è cessato il bisogno di continuare le pratiche“. Così Luigia Cannalonga potè presentarsi a testimoniare nel processo contro i briganti Rosario e Gennaro Passamandi.

Maria OLIVIERO:

Maria o Marianna Oliviero detta Ciccilla sposò Pietro Monaco. Questo suo matrimonio era stato preceduto da una tragedia. Il Monaco aveva già sposato Concetta Oliviero, sorella di Ciccilla, ma le sue attenzioni erano per Ciccilla non per la moglie Concetta, e Ciccilla folle di gelosia, attrasse in inganno la sorella in casa e la uccise a coltellate. Poi raggiunse il suo uomo e divenne brigantessa, prendendo parte a sequestri ed uccisioni. Fra l’altro, i coniugi briganti sequestrarono il vescovo di Nicotera e il canonico Benvenuto; riuscirono ad arraffare 15.000 ducati, ma, durante un conflitto con la Gguardia Nazionale, i due religiosi riuscirono a fuggire. La banda ne aveva fatte tante che alcuni gregari si lasciarono convincere a far fuori il capo. Pietro Monaco infatti fu ucciso, e Ciccilla, benchè ferita, fuggì per la campagna, Divenne lei il capo della banda. Catturata infine da un reparto del 58° fanteria comandato dal capitano Dorna, fu rinviata a giudizio e condannata a morte dal tribunale di Catanzaro, pena commutata in quella dei lavori forzati. Fu una brigantessa “bella e crudele“, come raccontavano i suoi paesani, donna di fede con “carattere di comando“. …….. Maria Oliviero preparò la catasta di legna per bruciare il corpo del marito, come si usava per i briganti uccisi in combattimento, ed al capitano Dorna disse: “se non era per quel traditore, anche con Pietro Monaco morto la banda restava, la guidavo io Maria Oliviero moglie di Monaco“. Arrestata fu deferita, al tribunale di Catanzaro, dove arrivarono altre brigantesse tutte vestite in nero. La gente di Calabria cantava: “la fimmina di lu brigante Monaco murìu, lu cori comu na petra mpttu tinia“. L’amore spinse Maria Oliviero al brigantaggio. Sua sorella Concetta era stata moglie amante di Pietro Monaco, e Maria non glielo perdonò, la uccise, e, con uno scoppio e con vestiti maschili, si mise su un mulo e raggiunse il suo uomo.

Maria BRIGIDA: 

brigantessa calabrese compagna di Domenico Strafaci detto Palma. La loro relazione amorosa fu funestata dall’uccisione del padre di Maria. La storia di questa donna comincia con un incontro furtivo con il brigante; appare improvvisamente il padre, e Vulcano, il compagno di Palma, che era addetto alla vigilanza gli vibra una coltellata. Maria Brigida sperava che Palma la sposasse, ma Palma correva verso altri delitti ed altre donne. Palma e Vulcano decisero di sbarazzarsi di Maria Brigida, diventata fastidiosa, e, con il pretesto di accompagnarla per una missione, l’abbandonarono in un burrone. Maria Brigida riuscì a riguadagnare la strada del paese, e si mise a servizio del capitano della Guardia Nazionale. Una sera Palma, lacero, ferito, affamato, chiese ricovero proprio nella casa del capitano, e Maria Brigida nel vederlo, rimase atterrita e sorpresa. Il brigante ebbe i primi soccorsi, ma il capitano lo fece andar via per non compromettersi. Palma chiese due cavalli, Maria Brigida li preparò, ma avvertì anche alcuni soldati. Una pattuglia irruppe, sparò alla cieca, colpì Maria Brigida ma colpì anche il brigante e il suo amico Vulcano che fuggirono con i cavalli. Maria Brigida morì per dissanguamento, era stata “donna di brigante” ma non crudele come una brigantessa. Palma scontò nel penitenziario di Portoferraio tutte le sue colpe, anche quella di aver profittato dell’amore della ragazza che sperava in lui.

Giuseppina GIZZI:

detta Peppinella “bella di viso e di tratti” era la fidanzata che “serviva solo per lui” di Giacomo Parra dettoScorzese. Il brigante Michele di Gè racconta nella sua autobiografia come una volta Parra mandò a chiamare per la biancheria e i viveri Peppinella che da allora rimase con lui e si aggregò alla banda. Fu una delle tante scelte che facevano madri, sorelle, mogli, amanti di briganti ….. un tale Alfonso Panaro convinse il manutengolo Pasquale Lisanti ad uccidere Parra e Peppinella. Le due teste non furono portate al sindaco di Muro Lucano, che aveva garantito l’impunità al Lisanti, ma al Sindaco di Bracigliano con cui segretamente il Lisanti aveva avuto altri contatti. E ci fu contesa fra i due Comuni, Muro Lucano e Bracigliano, per avere le teste degli uccisi!

Maria Orsola D’AQUISTO:

in un rapporto dei carabinieri reali di Salerno del 18 marzo 1867 si legge: “in seguito di perlustrazioni ed appostamenti, riuscì il 13 andante ai carabinieri della stazione di Acerno e Giffoni imbattersi in otto briganti con a capo Cerino in luogo detto Filettone. Non appena vista la forza i briganti si buttarono per burroni e dirupi spaventosi dirigendosi verso la pianura e la masseria Spaccone, costretti a spogliarsi dei loro mantelli per essere più leggeri; colà giunti, si cacciarono nel fiume, gettando armi ed indumenti che davano impaccio, per riparare dall’altra sponda. Tentarono i briganti, appena giunti in posizione elevata, di far fuoco, ma di nuovo volsero le spalle inseguiti fino a Campo Rotondo”. Segue la narrazione del recupero di indumenti ed oggetti abbandonati e del rinvenimento di un brigante ormai senza vita. Non era un brigante, ma la brigantessa Maria Orsola D’Aquisto, di Palinuro, arruolata nella banda da un anno”, che (continua il rapporto) “si era data alla campagna col brigante Ielardi Pietro del quale supponesi druda”. Un rapporto di qualche tempo prima aveva riferito: “rimane una sola brigante della banda Scarapecchia, ed è la brigantessa D’Aquisto, di cui si fanno le pratiche per indurla a presentarsi o per impadronirsene”. Maria Orsola dalla banda Scarapecchia era passata a quella di Pietri Ielardi, che agiva senza legami con altre bande. E un altro rapporto completa la storia: “giova ricordare che la druda D’Aquisto avventuratasi in questo circondario, ne venne scacciata, dopo aver perduto per ferite in combattimento e per presentazione volontarie quattro briganti che l’accompagnavano; non ebbe tempo di consumare alcun reato perché scappò facendo in tempo di cibarsi di carne cruda. Stamane è stato trovato il cadavere di una donna di 27 anni, l’infelice mostrava gravi ferite, un’orecchia recisa, e risultava essere Maria Orsola D’Aquisto, capelli foltissimi, occhi celesti, colorito naturale, vestito centolese”. Era morta in combattimento con i Carabinieri Reali, Ielardi era lontano, verso altre avventure. L’avventura di Maria Orsola era cominciata sette anni prima, quando aveva vent’anni. Una notte avevano bussato alla sua porta Salvatore D’Avino e Agostino Visconti; scappavano dal paese ed avevano una “mappata” di biancheria e con trentasei ducati d’argento; Maria Orsola li aveva ospitati fino al mattino; poi se n’erano andati, lasciandole un lenzuolo, due federe, e un ducato.

Maria PELOSI:

druda del brigante salernitano Angelo Croce che terminò la sua carriere nel marzo 1866 dopo che il Sindaco del paese, già in rapporti con la sua banda aveva arrestato l’amante Maria Pelosi, con molte promesse per la collaborazione e la dissociazione. In questa occasione Maria Pelosi si lasciò sfuggire nomi, rapine e il nascondiglio delle provviste. Al processo, celebrato a Salerno, Maria Pelosi rilevò anche i rapporti che il Sindaco aveva avuto con la banda; il Sindaco reagì con un’ingiuria, e Maria Pelosi, esile e mingherlina, divenne una belva, lo afferrò per la gola, gli sputò in faccia, lo pestò, lo graffiò. Il pubblico gridava “Viva Maria”. Non era l’invocazione della Madonna, come si faceva nelle processioni, ma l’applauso a Maria Pelosi.

Filomena MIRAGLIA: anni 20, informatrice di Gennaro Cretella detto Diavollillo; diventò poi la sua compagna secondo un rapporto del funzionario di polizia del salernitano: “era latitante alla montagna e non compariva in paese che per partorire quando era resa incinta”.

Maria Luisa RUSCITTI:

nacque il 5 maggio 1844 a Cercemaggiore ed ivi morì il 4 novembre 1903. Fu catturata da Michele Caruso in una delle sue incursioni a Cercemaggiore in contrada Cappella. Aveva diciotto anni e era di condizione fra le più umili, bracciante agricola quando trovava lavoro e donna di fatica nella casa del possidente Leopoldo Chiaffarelli del Paese. La sua bellezza notevole e raccolta; i suoi sentimenti semplici e puri. Costretta a soggiacere a Caruso, era stata da lui rapidamente istruita nell’uso delle armi e sotto la guida di quel maestro, era diventata in pochi mesi di permanenza nella banda, soldato esemplare. Per il suo istruttore ebbe rispetto da subordinato a superiore, nella ingenuità delle anime semplici ed illetterate che capiscono le doti e le limitazioni del prossimo molto prima degli intellettuali tanto proclivi all’analisi dei fatti e pur lenti ed incompleti nelle sintesi. Per lei il colonnello Caruso era un primitivo, duro e spietato perché cresciuto in un ambiente arretrato entro una natura avversa ed inclemente, in cui per sopravvivere, si doveva lottare come nei tempi di molto remoti. Noi lo diremmo un individuo che nella protostoria dei contadini meridionali, anelava al riscatto della servitù, ad una vita civile e più umana. Quali mezzi nativi aveva per lottare? Quelli da fiera selvaggia, dando e ricevendo la morte. Una donna passò attraverso un esercito senza contaminarsi; certo il colonnello non avrebbe tollerato affronti personali, ma gli uomini capivano tante cose, da come fingeva di non guardarla, sentendosi in soggezione, quando si era abbandonato ad una di quelle esplosioni di collera bruta e ruminava forse pentimenti tardivi; era abituato prima a fare e dopo a pensare. Da sempre la natura si ribella, rompe gli argini, distrugge campi e seminati, quando altri ne sovverte l’ordine insito e la rende schiava di assurde sovrastrutture. Tutte queste cose, intuiva Maria Luisa Ruscitti di sanissima morale ed illibatissimi costumi (così dissero di lei nei rapporti, nelle udienze giudici e testimoni), affine per solitudine interiore alla solitudine dell’altro, in quel tenergli testa, pacata e silenziosa. Maria Luisa la briganta è tuttavia per impegno e disciplina, una capitana. Quando uscì di galera nel 1888, era stata condannata dalla Corte di Assise di Trani a 25 anni di reclusione, per avere, durante uno scontro a fuoco, ucciso un ufficiale, sopportò per tutta la vita la sorveglianza speciale.

da: Giovanni De Matteo “Brigantaggio e Risorgimento – leggittimisti e briganti tra i Borbone e i Savoia”” Alfredo Guida Editore, Napoli, 2000 e da: Luisa Sangiuolo “I l Brigantaggio nella Provincia di Benevento 1860 – 1880” “De Martino, Benevento, 1975

fonte

brigantaggio.net

 

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