Caivano e Como, i fatti distorti dal politicamente corretto
Le morti di Maria Paola Gaglione e don Roberto Malgesini mostrano come i media abbiano cercato di raccontare la “notizia perfetta”, infarcita di luoghi comuni a vantaggio delle ideologie arcobaleno e pauperista. Con grave distorsione della realtà dei fatti, dalla forzatura sullo speronamento volontario (ancora da appurare) a Caivano ai falsi “problemi psichici” dell’immigrato irregolare a Como
La notizia perfetta. La cronaca ha recentemente offerto ai media due fatti che, apparentemente raccontati come nudi e crudi, rappresentano un ottimo esempio di “notizia perfetta”. Si tratta della morte della giovane Maria Paola Gaglione e del sacerdote comasco don Roberto Malgesini.
Nella prima vicenda i fatti, almeno quelli raccontati, sono tagliati su misura per una narrazione in perfetto stile “politicamente corretto”. In prima battuta abbiamo una giovane coppia in rotta con la famiglia di lei. Nell’immaginario collettivo le due giovani diventano subito i novelli Romeo e Giulietta del Mezzogiorno. Secondo ingrediente per una ricetta massmediatica perfetta: una delle due lei è un transessuale. Tra parentesi: i media, continuando a riferirsi a costei come Ciro, hanno creato non poca confusione nell’italiano medio il quale crede che Paola avesse una relazione con un uomo che si sentiva donna. Invece il rapporto era omosessuale.
Torniamo ai fatti che sono la struttura ideale per costruire un bell’articolo buonista e ricco di luoghi comuni. I due innamorati non solo sono rifiutati dalla famiglia di lei, ma sono pure poveri, immersi in quella povertà – altro stereotipo – tipicamente partenopea. Poveri ma, almeno Paola, bellissima, di una bellezza che fioriva nell’incanto dei suoi 18 anni appena compiuti. Bellezza e povertà sono un altro topos tipico di qualsiasi romanzone romantico. Fuggivano i due, da tutto e da tutti, erano andati a vivere insieme ad Acerra e fuggivano dai pregiudizi e dalle incomprensioni, correvano a perdifiato con lo scooter, fino a quando la loro corsa fu impedita da un uomo cattivo.
Ecco allora aggiungersi un altro elemento fondamentale per una narrazione perfettamente adeguata alla vulgata corrente: il personaggio malvagio che osteggia il sogno di amore dei due fidanzati. Il Don Rodrigo del 2020, l’Angelo di Misura per Misura di Shakespeare che da Vienna si trasferisce nel napoletano. Il personaggio negativo è il fratello. Anche qui non si poteva chiedere di meglio: non si tratta di un estraneo, di un amico, di un conoscente che voleva rovinare la bella storia di amore, bensì il fratello il cui sangue è lo stesso che scorreva nelle vene dell’affascinante Paola. Nemmeno il Bardo di Stratford-upon-Avon avrebbe saputo far di meglio. Ultimo elemento che regala unità formale a tutta la vicenda: la transfobia. Le due (“Ciro” all’anagrafe è ancora Cira) non dovevano frequentarsi perché la compagna di Paola si sentiva un lui. Perfetto come il cerchio di Giotto.
Passiamo alla vicenda della morte del sacerdote comasco. In primo luogo abbiamo come vittima un “vero” sacerdote, ossia uno che, nel sentito popolare, incarna realmente lo spirito del Vangelo perché aiutava i poveri, i senzatetto, i disoccupati, gli immigrati (nota bene: alla porta di tutti i sacerdoti bussano per chiedere aiuto ogni giorno queste persone). Non uno quindi fissato con la liturgia o la dottrina, tutto teoria ma niente carità. Adamantine a tal proposito sono le parole del segretario regionale lombardo di Rifondazione Comunista (sì, esiste ancora), Fabrizio Baggi. «Io non sono credente, ma credo che i preti come don Roberto siano gli unici che applicano quello che c’è scritto sul Vangelo».
Altro aspetto che fa del tragico omicidio accaduto in quel di Como una storia paradigmatica secondo il sentito comune è, anche in questo caso, la presenza di un personaggio malvagio, di un antagonista. Attenzione bene: non si tratta dell’immigrato irregolare che ha posto fine ai giorni su questa Terra di don Roberto, bensì dell’amministrazione comunale di centrodestra che tempo fa lo multò per aver dato da mangiare ai senzatetto. Sempre il nostro Baggi ci informa che – notizia però da verificare – «le amministrazioni a Como lo hanno solo contrastato, fecero addirittura togliere i bagni chimici che aveva sistemato qui dietro, le panchine, perfino una fontanella». La narrazione acquista una sua drammaticità e quindi aderisce perfettamente al desiderio popolare di trovare tutte le giuste consonanze tra fatti e immaginario collettivo, allorquando si apprende che il soccorritore dei poveri è stato freddato proprio da un povero, che colui che aiutava tutti è stato accoltellato proprio da chi riceveva aiuto da lui. Il quadro pare perfetto.
Ma è solo apparenza perché i fatti, di loro, non si adeguavano in realtà perfettamente ad una narrazione così ideale. Ecco allora ritoccarli un poco, quel poco che fa però fa transitare dal ritocco al tarocco.
Ripartiamo dalla vicenda di Caivano. Il fratello sperona volontariamente lo scooter su cui c’erano i due fidanzatini? Tutto da appurare. Ma se lo raccontiamo così la notizia perfetta va a farsi benedire. Meglio rivendere lo speronamento volontario da ipotesi a certezza. Altra nota stonata che è meglio non cantare: pare proprio che i due non indossassero il casco. Assai preferibile tacere questa circostanza, altrimenti le male lingue, collegate a cuori di pietra, potrebbero dire che se Paola lo avesse indossato magari sarebbe ancora qui, che forse c’è un involontario concorso di colpa. Non sia mai, occorre che la vittima sia vittima a tutto tondo.
Torniamo a Como. Altro fatto da sbianchettare perché mal si concilia con l’anelito, anzi, l’arsura desertica di scrivere la notizia perfetta: chi ha ucciso don Roberto è un immigrato e pure clandestino. La notizia perfetta sarebbe stata quella in cui l’assassino era un leghista che ce l’aveva a morte con questo “sacerdote degli ultimi”. E invece si scopre che è un clandestino con plurimi decreti di espulsione. Come ripulire la notizia da queste impurità? Ecco che il tunisino «aveva problemi psichici», come riferito dal direttore della Caritas di Como, Roberto Bernasconi. Gli fa eco, seppur più velatamente, il presidente della Casa della carità, don Virginio Colmegna: «Davanti a questa tragedia non possiamo non pensare a quanto sia necessario continuare a prendersi cura delle persone più fragili, segnate anche dalla sofferenza psichica, che non possono essere abbandonate da sole sulla strada». Questi disturbi fanno scivolare in secondo piano che l’omicida era un immigrato irregolare. Dunque implicitamente si fa passare l’idea che a sferrare il colpo mortale siano stati i suoi problemi psichici, nulla c’entrando lo status di immigrato irregolare, aspetto meramente ininfluente in tutta la vicenda. E così abbiamo candeggiato i fatti. Però la Questura precisa, in merito alla problematica di natura psichica, che questa «non risulta né dalla documentazione medica che lo riguarda né dalle verifiche coi servizi sociali». Insomma, a dare retta alla Questura, la storia dei disturbi psichici è pura invenzione, necessaria per confezionare la notizia perfetta.
Un nota bene finale: chi ha spezzato queste due vite deve pagare perché due vite innocenti sono state soppresse e questo basta per dire che, ovviamente, siamo di fronte ad un duplice dramma. Ma non usiamo un dramma per portare, forzosamente e dunque strumentalmente, l’acqua al mulino delle ideologie arcobaleno e pauperiste.
fonte
https://lanuovabq.it/it/caivano-e-como-i-fatti-distorti-dal-politicamente-corretto
Non conosciamo i fatti e non è corretto dare giudizi sulle sole ipotesi. Tuttavia è certo che la stampa ha ricostruito i fatti come meglio ha creduto e tutti se ne convingono. Eppure qui non ci sono grossi interessi dei grandi centri di potere. Figuriamoci con quanta faziosità è stata scritta e narrata l’occupazione mikitare del Regno da parte dei Savoia su decisione massonico-finanziaria ed anglo-francese!
non commento perchè aprirei polemica infinita e io preferisco il dialogo verbale e de visu ma una cosa la scrivo: ometto commenti circa l’atteggiamento verso il genere sessuale ma l’articolo parrebbe suggerire che se avesse avuto il casco, Maria Paola non sarebbe morta! Lasciamo completare il lavoro agli inquirenti ma resta comunque il grave atto compiuto dal fratello che gestisce i rapporti con i familiari come fossero sua proprietà! saluti, annamaria cirillo