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CALATAFIMI: LA BATTAGLIA CHE FECE L’ITALIA DI DOMENICO ANFORA (II)

Posted by on Feb 5, 2023

CALATAFIMI: LA BATTAGLIA CHE FECE L’ITALIA DI DOMENICO ANFORA (II)

Il piano borbonico 

Il luogotenente Castelcicala ha ricevuto il dispaccio che i filibustieri piemontesi sono sbarcati a Marsala. Lui dovrebbe inviare il grosso delle forze che stazionano a Palermo contro gli invasori, ma è preoccupato per il rischio dello scoppio di una rivolta in città. Così, avvisato tempestivamente il governo di Napoli, richiede in rinforzo due battaglioni cacciatori, Il piano di Castelcicala è questo: una colonna mobile parte da Palermo verso Salemi; l’8° battaglione cacciatori sbarcherà a Trapani; i due battaglioni provenienti da
Napoli sbarcheranno a Marsala; lo scopo è di prendere in una tenaglia i filibustieri.

Figura 40 – Il generale Francesco Landi, comandante della colonna mobile borbonica destinata a Calatafimi

La colonna mobile di Palermo è partita la mattina del 6 maggio, poco dopo la partenza dei Mille da Quarto. È stata affidata a Francesco Landi[1], cilentano di 67 anni, da poco promosso brigadiere, in fama di discreto militare. Ma è vecchio e malato e a stento monta a cavallo. Gli sono state affidate quattro compagnie del 2° battaglione carabinieri a piedi del maggiore Giovanni De Cosiron, uno squadrone di cacciatori a cavallo e mezza batteria da montagna n° 14. Tra i compiti c’è quello del disarmo dei paesi di Partinico e Alcamo, dove si aggregano le altre due compagnie di carabinieri. Successivamente si unirà alla colonna Landi un altro battaglione di fanteria. Landi è un uomo pio perciò, essendo domenica, si è fermato ad ascoltare messa a Monreale, poi è giunto a Partinico, dove il 7 e l’8 maggio ha disarmato la popolazione. Ora è ad Alcamo dove, per sua fortuna, è ospite del ricevitore generale dell’intendenza di Trapani, Luigi Ferro, il quale gli ha messo a disposizione una carrozza tirata da due forti cavalli, così il vecchio Landi, col suo problema della prostata, può evitare di cavalcare. Ora egli deve riunire le forze e marciare in direzione di Marsala per contrastare i filibustieri sbarcati.

Intanto, la sera dell’11 la pirofregata Archimede imbarca l’8° battaglione cacciatori a Girgenti per trasportarlo a Trapani. Si sbarca che è ancora notte, dopo una tranquilla navigazione.

Trapani, distesa su una lingua di terra bagnata da due mari, è detta la città del sale e delle vele, ma è anche luogo di ricca pesca e di mattanza dei tonni. L’antica Drepanum greca nacque quando a Saturno cadde una falce che si mutò in una lingua di terra incurvata[2]. Sulla città vigilano cinque fortezze e il 13° reggimento fanteria di linea. L’8° cacciatori si acquartiera nell’antico castello di mare, detto anche della Colombaia, dove da anni, nelle umide celle, sono come seppelliti tanti oppositori politici. I soldati si devono arrangiare in quegli stanzoni freddi e colmi di polvere e di ragnatele. Sul Monte San Giuliano che sovrasta Trapani si sono accesi molti fuochi di bivacco, attorno ai quali le squadre di picciotti attendono i filibustieri sbarcati per unirsi a essi e aggredire la truppa.

Quando il sole sorge e dà inizio al 12 maggio 1860, le compagnie si sono sistemate. Viene distribuita una colazione a base di frutta e di pane profumato appena sfornato. Mangiando con lentezza sugli spalti, Francesco guarda il mare, calmo e appena increspato, poi si gira verso austro, in direzione di Marsala, dove c’è il nemico. Cosa sta facendo? Dove ci sarà lo scontro? Chi sono quegli uomini sbarcati nell’isola da tanto lontano e cosa vogliono? Come sperano di vincere contro un’armata di venticinquemila uomini ben armati ed equipaggiati?

Il maggiore Sforza attende notizie dei rinforzi che, provenienti da Napoli, debbono sbarcare a Marsala, per poi marciare di conserva con essi verso il nemico. Ma dov’è precisamente il nemico? Qual è il suo obiettivo? La giornata, calda e soleggiata, trascorre tra manovre militari e pulizia delle armi. È accaduto, però, un contrattempo. I previsti rinforzi[3] sono partiti in ritardo e non da Napoli, ma da Gaeta. Per giunta, non sono diretti a Marsala, ma a Palermo, dove c’è già moltissima truppa. Cosa succede? Perché non si riesce a coordinare l’offensiva?

A Trapani è arrivato il contrordine di Castelcicala: l’8° cacciatori non deve marciare più verso i filibustieri, di cui non si conosce la posizione, ma deve nuovamente imbarcarsi sull’Archimede, andare a Palermo, caricare 12 barili di cartocci fucilieri e sbarcare a Castellammare del Golfo. Da qui deve marciare su Calatafimi per riunirsi alla colonna agli ordini del generale Don Francesco Landi.

I cacciatori di Sforza, stanchi per i continui trasferimenti e marce, scocciati per il nuovo ordine di muoversi, si preparano e si imbarcano con indolenza, quando il sole è già calato dietro le Egadi. Il cielo inizia ad annuvolarsi e l’aria è carica di umidità. Alle 2 a.m. si sbarca a Castellammare. Sforza fa alloggiare i suoi soldati nel miglior modo possibile: devono riposare, perché domani potrebbe essere il giorno della battaglia.

Intanto, il Luogotenente Castelcicala invia i nuovi ordini a Landi:

La banda sbarcata ieri a Marsala è di cinque in seicento uomini. Stamane essa mi si dice abbia preso la direzione di Mazara. Da quest’ultima città può prendere le strade di Salemi o di Castelvetrano o di Campobello, per marciare sopra Palermo. Epperò Ella marcerà sopra Calatafimi o Macellaro, ove, attingendo notizie continue mercé esploratori, adoperando anche i Compagni d’armi a cavallo, Ella saprà il cammino dalla banda preso, e quindi l’attaccherà di fronte, manovrando opportunamente, e qualora le sfuggisse, l’incalzerà sempre senza posa, qualunque sia la sua direzione. Nel caso la banda si fosse diretta da Marsala sopra Calatafimi, le andrà del pari incontro per combatterla. Tenga presente che Palermo è la sua base di operazioni, donde riceverà rinforzo al bisogno. Le ho mandato l’8° Battaglione Cacciatori, il quale, sbarcato a Castellammare, ha avuto ordine di recarsi direttamente a Calatafimi. Con tutta questa truppa la reputo forte abbastanza per combattere la banda di cui sopra e parola. Facilmente le manderò eziandio il 9° Cacciatori, subito che giungeranno le altre truppe, speditemi di rinforzo dall’ottimo nostro Re da Napoli: in tal caso questo Battaglione La raggiungerebbe nel luogo ove si è recato ad operare. Curi di guardarsi bene, onde evitare sorprese o imboscate facili a farsi dalla banda sbarcata. Mi faccia sapere tutte le sue mosse, mercé varie staffette che spedirà per vie diverse, pagandole generosamente. Tale spesa le sarà da me rimborsata. I Comuni le somministreranno, col buono o con la forza, tutto ciò che le bisognerà per la resistenza della truppa e degli animali. Usi estremo rigore con tutti i prigionieri che piglierà con le armi alla mano. La commissione che le ho affidata è della più alta importanza, e sapendone Ella lo scopo, manovrerà sempre in modo da conseguirla, potendo allontanarsi dalle istruzioni datele, quando le circostanze l’obbligheranno. Sono sicuro che la Sua lunga esperienza militare la concorrerà a felice risultato. Tenga ciò in continuazione di quanto le ho detto con telegramma di stamane”.[4]

Attorno alle truppe e alle autorità borboniche c’era il disordine assoluto e l’insicurezza delle strade. Bande di ribelli e di mafiosi scorazzavano per le campagne, tagliando i fili del telegrafo, svaligiando e sequestrando le corriere postali, rapinando i passeggeri, tagliando le vie di comunicazione. Le colonne mobili borboniche andavano avanti e indietro, con marce e contromarce senza risultati. Poco più di venti miglia dividono la colonna di Landi da quella di Garibaldi.[5]


[1] Francesco Landi, originario di Campagna nel Principato Citeriore, nacque il 13 ottobre 1792. Allievo dell’Accademia Militare dal 1806, fu promosso tenente nel 1812, partecipando alle campagne murattiane del 1813, 1814 e 1815. Si affiliò alla Carboneria e partecipò ai moti del 1820, dopo i quali fu espulso dall’esercito. Riammesso nel 1832, arrivò a comandare il 6° rgt di linea Farnese nel 1857 col grado di colonnello. Fu promosso brigadiere nell’aprile del 1860 e gli fu affidata la colonna mobile.  Internato ad Ischia dopo la sconfitta di Calatafimi, fu messo in pensione nel luglio 1860. Morì nel febbraio del 1861.

[2] Secondo la leggenda, Trapani nacque quando al Dio Saturno cadde dal cielo una falce, in greco antico Drepanum, che si trasformò in una lingua di terra arcuata. Saturno divenne patrono della città.

[3] Non erano formati dai due battaglioni cacciatori richiesti, ma dalle sedici compagnie scelte (4 ciascuno) dei reggimenti di linea 1°, 3°, 5° e 7° e da una batteria di artiglieria, al comando del brigadiere Francesco Bonanno, con una forza di circa duemilacinquecento uomini.

[4] Cataldo Carlo, Prima e dopo Garibaldi Sicilia occidentale 1789-1870, Arti Grafiche Campo, Alcamo 2007. pag. 276.

[5] De Cesare Raffaele, La fine di un Regno, Longanesi, Milano 1969, pag. 739.

Domenico Anfora

estratto

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