Capodimonte, orgoglio napoletano
Tutte le volte che decido di omaggiare qualcuno che stimo in modo particolare lo faccio con un prodotto della eccellenza napoletana, specialmente se questo qualcuno vive all’estero.
Fino a qualche anno fa, mi piaceva concretizzare questo omaggio con un Pulcinella di particolare fattura prodotto da alcuni giovani ingegnosi che ne creavano di originali e di un certo livello, con un loro stile molto particolare. Poi, da quando costoro hanno fatto harakiri, abbandonando produzione e clienti, ho pensato bene di tornare alle produzioni artistiche di Capodimonte. E, in ossequio all’antico adagio napoletano secondo il quale si se chiude ‘na porta s’arape ‘nu purtone, ho avuto la fortuna di imbattermi in un vero e proprio artista del settore, Giovanni Carusio.
Storicamente, la tradizione delle ceramiche e delle porcellane di Capodimonte è un orgoglio tutto napoletano. Questa artistica attività nacque nel 1743 grazie a Carlo di Borbone che ne avviò la produzione in appositi locali all’uopo destinati nei pressi della Reggia di Capodimonte e i manufatti realizzati venivano contraddistinti con il giglio borbonico stilizzato in colore azzurro.[1]
Quando il Re lasciò Napoli per il trono di Spagna, ordinò l’imbarco di tutti i materiali e di tutti gli artisti mentre l’intrasportabile fu distrutto per impedire la ripresa dell’attività e contemporaneamente vietò al figlio Ferdinando di continuare la lavorazione del prodotto. Questi, però, ignorando le disposizioni paterne decretò il risorgere della Real Fabbrica di Porcellana nel novembre 1771, porcellane che divennero un modello inimitabile al quale molte fabbriche dell’epoca tentarono di ispirarsi. Questa volta il marchio di fabbrica furono le iniziali RF coronate.
Quando, nel 1806, il Regno fu invaso dai francesi, la manifattura passò in mani private che, nella loro ansia di elargire liberté, fraternité ed egalité, non ebbero alcun interesse a tenere viva una diretta concorrente della manifattura del loro Paese di livello artistico elevato quale Capodimonte e fecero importare porcellane bianche dalla Francia che poi a Napoli venivano decorate. I giacobini, però, anche quelli attuali che non perdono occasione di magnificare il cosiddetto “decennio francese”, si guardano bene dall’ascriversi questa “encomiabile” iniziativa.
La tradizione napoletana legata all’arte della porcellana deve molto alla Real Fabbrica Ferdinandea che svolse anche un ruolo quasi di scuola d’arte, determinante ai fini della formazione di un’intera generazione di artisti che andò poi a potenziare altri settori, primo fra tutti quello delle plastiche presepiali.
Questa tradizione artistica si trasmise ai lavoranti come eredità familiare. Una delle fabbriche più importanti che primeggiò nel secolo scorso fu la Fabbrica Mollica alla cui chiusura, nel 1978, i dipendenti aprirono botteghe in proprio contando sulla propria esperienza e maestria nella realizzazione dei manufatti e sull’apprendistato familiare. Se i laboratori a conduzione familiare sopravvivono ancora oggi è grazie alla tenacia e all’amore degli eredi dei passati artigiani che non si arrendono a lasciar morire quest’arte che, da quasi trecento anni, contribuisce a rendere questa città famosa nel mondo.
Come dicevo, una di queste “botteghe” che mantengono viva questa tradizione è la Fabbrica di Giovanni Carusio. A prescindere dal vessillo borbonico che sventola al suo ingresso, entrarvi è come penetrare nella Storia perché, oltre ai prodotti tipici della sua lavorazione come le tradizionali composizioni floreali in porcellana, catturano subito l’attenzione, oltre che per l’accuratezza della lavorazione, delle statuine di biscuit riproducenti Carlo di Borbone, Ferdinando IV e vari busti di soldati delle Due Sicilie, quasi a ricordare al visitatore che Capodimonte visse il suo splendore sotto il Regno borbonico, tramontato il quale venne abbandonato all’iniziativa privata senza alcuna tutela.
Il disinteresse politico per questo settore è, infatti, inspiegabile e se la tradizione della Porcellana di Capodimonte non si è ancora persa lo si deve solo alla forza di volontà degli artigiani artisti che da soli lo mantengono vivo grazie alla loro capacità, al loro ingegno ed alla loro creatività. Tutte le altre manifatture europee di porcellana, nate per volere dei sovrani d’Europa nel ‘700 hanno, infatti, attraversato indenni le vicende storiche che si sono succedute, passando da manifattura reale a manifattura statale. Solo questo “fiore all’occhiello” della creatività e della imprenditorialità meridionale è rimasto abbandonato a se stesso, ma andrà avanti lo stesso perché è un’arte che ha un’anima e l’anima non muore.
Erminio de Biase
[1] Le notizie storiche qui riportate sono estratte dal testo di Maria Rosaria Milone – Dal giglio alla corona -Le porcellane di Capodimonte dal ‘700 ai giorni nostri – Napoli 2015
Complimenti, paladino Erminio!
Napoli ti è grata!
Roberto
Sempre interessanti i tuoi commenti e le tue riflessioni!!!