Caravaggio-Napoli, conferenza stampa di presentazione della mostra alla Reggia-Museo di Capodimonte
Nella Reggia-Museo di Capodimonte, la Sala Causa, dedicata al compianto sovrintendente Raffaello Causa, ha ospitato la conferenza-stampa di presentazione della mostra “Caravaggio-Napoli” (12 aprile – 14 luglio 2019). Anche stavolta un grande artista è messo in relazione con Napoli. Come già Pablo Picasso con la sua “Parade”, che riprendeva le figure della cultura popolare napoletana. Come pure Jan Fabre, tuttora presente a Capodimonte (fino al 15 settembre) con le sue opere di corallo rosso, lavorato negli antichi laboratori della cittadina vesuviana di Torre del Greco.
Il rapporto tra Napoli e Caravaggio si svolse in un soggiorno di 18 mesi in tutto, diviso in due tappe: nel 1606 e nel 1610, anno della sua morte misteriosa sulla spiaggia di Porto Ercole.
Non fu solo un dare da parte dell’artista alla città ma fu, forse soprattutto, un avere. Come ci dice lo stesso critico Roberto Longhi, che lo “riscoprì” dopo che per secoli era stato dimenticato, e si domanda quanto grande sia stata l’impressione che Napoli, all’epoca “immensa capitale meridionale, più classicamente antica di Roma stessa, e insieme spagnolesca e orientale” aveva potuto suscitare nel pittore lombardo.
Infatti forse la più bella, importante, rivoluzionaria delle sue opere è quella che dipinse appena giunto a Napoli: “Sette opere di misericordia”. Riprende la vita del vicolo napoletano, dove il pittore abitava. E così crea un nuovo spazio fatto dal movimento e dai gesti della gente, dalle persone stesse: forse la più grande rivoluzione iconografica del suo tempo. D’altronde quella era la Napoli vissuta anche dai pittori napoletani poi detti caravaggeschi. Questi guardarono e vissero la stessa vita del lombardo ed ebbero ed espressero con lui una consentaneità profonda di pensieri e sentimenti.
Perciò stupisce che alla mostra, pur bella e ricca, manchi appunto l’opera delle “Sette opere di Misericordia”. Certo la si può guardare andando a visitare la magnifica chiesa del Pio Monte della Misericordia, al centro storico di Napoli, così come hanno fatto i giornalisti oggi con una navetta messa a loro disposizione ad hoc.
Dicono che questa mancanza sia giustificata dalla preoccupazione che un’opera così bella e importante possa, con lo spostamento, deteriorarsi e che d’altronde è facile andare al centro storico per vedere l’opera. Ma chi conosce un po’ di queste cose sa bene che tante osservazioni possono farsi, e quindi tante conoscenze d’arte e di storia possono nascere, dal confronto ravvicinato delle opere.
Ci si è giustificati, da parte dell’opposizione, anche citando le spese troppo alte dell’assicurazione. Eppure altre opere caravaggesche sono giunte in questa occasione a Capodimonte, come il Martirio di Suor Orsola dalla napoletana via Toledo e altre da Rouen, da Madrid, da Siviglia e da Londra.
Non molto tempo fa anche la “Flagellazione” di Caravaggio, conservata a Capodimonte, è mancata dal museo perché trasferita per qualche tempo altrove. Molte pagine di giornale sono state riempite dalla questione. L’opposizione al trasporto delle “Sette Opere di Misericordia” è stato aspra ma le ragioni di questa opposizione non sono apparse convincenti e di buon senso. Tanto che persone di cui è riconosciuto il valore, come lo stesso soprintendente del Pio Monte Alessandro Pasca di Magliano e il musicista Riccardo Muti, si sono dichiarati indignati dalla speciosità di certi argomenti.
Eppure nella conferenza-stampa non si è parlato di questo. C’è stato solo un accenno sottinteso nelle parole del soprintendente del Pio Monte, che, ringraziato dal direttore del Museo Sylvain Bellenger (curatore della mostra con Maria Cristina Terzaghi) per la sua collaborazione e la sua lealtà, ha detto che non avrebbe mai immaginato che la sua collaborazione sarebbe stata così laboriosa.
Anche l’assessore alla Cultura del Comune di Napoli Nino Daniele dice che sarebbe stato favorevole a che l’opera fosse stata spostata al museo per la durata della mostra. Ma di rispettare le opinioni contrarie.
Forse è meglio non discuterne più, come suggerisce il presidente degli Amici di Capodimonte, avvocato Di Lorenzo: “Noi teniamo a che Sylvain resti a Napoli e possa continuare nella sua opera missionaria e illuminata in favore della cultura e della città. Quindi cerchiamo di non complicare le cose con polemiche a questo punto inutili”.
In quanto a noi, consideriamo un incubo il regresso della Reggia-Museo e del Real Bosco di Capodimonte alle condizioni ante-Bellenger. Il popolo napoletano vuole che Bellenger rimanga. Speriamo che possa rimanere. Altrimenti non saremmo in democrazia ma in quella che Aristotele chiamava “oklocrazia”, ovvero il comando della gente dappoco.
Adriana Dragoni