CARLO TROYA. Lo storico a cui si deve la riscoperta di Dante Alighieri
Nella mia passione per la ricerca di fatti e personaggi poco noti alla storia “ufficiale”, nell’anno della celebrazione di Dante ALIGHIERI, vorrei ricordare Carlo Troya, un eminente ricercatore e docente di storia del secolo XIX secolo, colui che fece riscoprire il Sommo Poeta, rivalutando la sua opera e il suo pensiero di italianità.
Questo Carlo Troya fu l’unico vero grande storico napoletano del suo tempo, un docente dell’università Federico II di Napoli di origini pugliesi, stimato nel mondo della cultura napoletana ed europea. Grazie agli studi approfonditi delle opere di Dante Alighieri, lavoro che Troya portò ovunque, gli studenti universitari di tutta la penisola ebbero modo di conoscere e scoprire l’opera di Dante, fino ad allora relegato tra le figure di secondo piano del medioevo.
Il nome di Carlo Troya è legato indissolubilmente alla storia d’Italia e si deve a lui se il Medio Evo d’Italia non rimane un’epoca ignota. Frugando negli archivi delle abbazie e biblioteche di Subiaco, Montecassino, Farfa, Cava, Ravenna, Bologna, Roma, Gubbio e Firenze, Carlo Troya consultò enormi mole di documenti storici originali. Con senso nazionale allora sconosciuto riuscì a scrivere la prima storia d’Italia del Medio Evo, con spirito e sensi veramente italiani.Dopo essere stato esiliano per i moti del 1824, viaggiava per l’Italia accompagnato da Saverio Baldacchini, che divenne poi un illustre personaggio della cultura italiana.
A Bologna fu ospitato dal conte Giovanni Marchetti, che nella sua casa riuniva i migliori intelletti del tempo. Negli incontri in questa casa, i temi favoriti erano gli studi danteschi e Troya diceva in quei giorni di amare Dante più di prima perchè, lontano dai parenti e dalla patria, gli pareva di capire meglio il poeta ed i suoi tormenti da esiliato. Nel 1826 a Firenze raccolse i suoi studi pubblicando il Veltro allegorico di Dante Alighieri, con le ricerche e le analisi politiche, con Dante uomo d’azione e la Divina Commedia incardinata nella storia italiana. Troya la fece apparire nel dramma vivo, riflesso di tutti i pensieri ed affetti dei tempi, con la vita degli uomini di Dante, illustrati con passione i nei luoghi percorsi, più noti ed amati dal poeta. Gli studi sul Veltro furono una vera rivoluzione nel mondo della cultura italiana e Troya divenne molto famoso e pochi libri suscitarono tanto interesse e lasciarono un maggiore segno nella cultura italiana, quanto ne suscitò all’epoca il Veltro allegorico. Dagli studi sulla Divina Commedia e sull’epoca di Dante, Troya immaginò la storia del Medio Evo.
Risalì alle origini, quando pochi conoscevano la storia dei barbari e le razze barbare erano confuse, ricercando a fondo e distinguendo le vicende dei vari gruppi etnici giunti in Italia. Imputò infatti ai longobardi la distruzione di ogni vestigia del nome e del diritto romano e i Romani ridotti a servi. I viaggi nella penisola e gli studi storici rafforzarono in Carlo Troya il sentimento di italianità, allora ignoto agli abitanti della penisola. Per lui le vicende medioevali non erano poi così confuse come si riteneva ed era convinto che il Medio Evo fu lotta di civiltà romana e la barbarie ed i barbari, prima vittoriosi con le armi, furono a loro volta domati e romanizzati dalla superiore cultura, dalla religione cristiana e dal papato. Per Troya fu Roma ed il papato a mantenere l’unità di intenti dei popoli italici in quel lungo periodo di caos e di tiranni senza leggi e da questo si formò l’uniformità di sentimenti e di idee. L’opera di Carlo Troya del tempo, per erudizione e memoria, occupa un posto importante nella storia della cultura italiana.
Nel 1848 tutta Europa fu sconvolta dai moti liberali ed anche Carlo Troya, da fine intellettuale, condivideva tali principi politici basati sul liberalismo economico, culturale e sociale. Era un riferimento per tutti gli intellettuali napoletani, tanto che, durante i moti di Napoli e la caduta del governo, fu Carlo Troya ad essere indicato alla guida del primo Governo
costituzionalista del regno delle due Sicilie. L’uomo, che concepiva l’Italia come un’unità nel Medio Evo, che parlava di un’Italia e scriveva una storia italiana, nel 1848 apparve il più adatto a guidare un nuovo governo di impronta liberale. Lui poteva illustrare a Re Ferdinando II di Borbone le riforme politiche necessarie ed a perorare la causa per partecipare alla guerra d’indipendenza contro l’Austria-Ungheria. In effetti Carlo Troya aveva 64 anni ed era malato di gotta, ma era uomo di spirito eletto e, nonostante le sofferenze, accettò l’incarico. Il 3 Aprile 1848 Carlo Troya formò un governo di uomini competenti e giovani audaci, pieni d’italianità, ma senza esperienze di governo. Scriveva Massari “Era questo un governo disarmato davanti l’agitazione e Carlo Troya ,da intimo liberale, non volle usare la forza per rimettere ordine dopo i moti di Napoli. Ideologi i ministri e idealista il presidente del Consiglio, ritenevano che il passaggio al nuovo regime poteva avvenire con la saggezza e la moderazione”.
Il governo di Troya si oppose quindi alle misure estreme ritenute necessarie per fermare il caos e fu travolto dalla bufera dei moti del 15 maggio. Disse Settembrini “Sarebbe bastato uno squadrone di cavalleria a spazzare Toledo al mattino di quel giorno”. Il grande merito di Carlo Troya fu l’essere riuscito ad indurre Re Ferdinando II ad aiutare il Regno sabaudo nella guerra di indipendenza, inviando 15 mila soldati in Lombardia, guidati da Guglielmo Pepe. I liberali avrebbero dovuto dare prova di equilibrio politico, invece continuarono a creare agitazioni, parlando di tradimento di Troya e accusando il Re di essersi venduto il regno. Accuse, violenze e paure che produssero la crisi del 15 maggio.
In quel triste giorno, Carlo Troya era a letto per la gotta. Abitava in Foresteria e i ministri Scialoja, Conforti e Dragonetti erano dal Re per far cessare il fuoco contro i dimostranti e far rientrare i soldati, usciti dalle caserme senza l’ordine del ministro. Licenziati bruscamente dal Re, corsero da Troya a raccontare il fallimento della missione. Furono momenti di angoscia per gli idealisti come Troya che sognava un’Italia unita e indipendente. Quella sera Carlo Troya non fu più capo del governo.Carlo Troya si ritirò in buon ordine rifiutando ogni altro incarico e non volle più partecipare ad altre attività politiche.
A casa sua riceveva gli studenti dell’università ai quali illustrava i suoi studi danteschi, sopportando con rassegnazione l’infermità che si aggravava sempre di più. Nel 1858. peggiorò in modo sensibile, anche se con piacere chiacchierava di storia e di letteratura con gli studenti che andavano a trovarlo tutti i giorni.Il 28 luglio 1858, assistito dalla moglie, da Trevisani e da alcuni parenti, il professor Carlo Troya spirò.
Il giorno dopo si fecero modesti funerali con pochi intimi e alcuni studenti ma, nonostante fosse un uomo di alta levatura culturale e politica, nonchè ex capo di governo, furono pochi i frati presenti, nessun discorso, nessun accompagnamento ufficiale o rappresentanze pubbliche. Quando i grandi uomini non accontentano i potenti, in genere vengono lasciati nell’oblio. (estratto dal saggio storico NAPOLI, FINE DI UN REGNO ANTICO).
Enzo Musard