Carlo V d’Asburgo (1500-1558)
1. L’elezione imperiale
Carlo d’Asburgo nasce nella città fiamminga di Gand, nelle Fiandre, il 24 febbraio 1500, da Filippo d’Asburgo il Bello (1478-1506), arciduca d’Austria e signore dei Paesi Bassi, e da Giovanna di Castiglia la Pazza (1479-1555).
La prematura scomparsa di un fratello, di una sorella e di un nipote consente alla madre Giovanna di salire sul trono di Castiglia, con il marito Filippo, nel 1504, alla morte della regina Isabella (1451-1504). Due anni dopo, il decesso del consorte provoca una grave depressione psichica nella regina, la cui mente sarà offuscata per sempre. Il piccolo Carlo eredita quindi sia la Castiglia e le terre del Nuovo Mondo, di cui terrà le redini il nonno materno Ferdinando di Aragona il Cattolico (1452-1516) fino alla maggiore età del principe, sia il dominio paterno sui Paesi Bassi, sotto la reggenza della zia Margherita d’Austria (1480-1530), che lo porta con sé a Malines e a Bruxelles, curandone l’educazione. Nel 1516, alla morte di Ferdinando il Cattolico, Carlo viene proclamato re di Castiglia e di Aragona, di Napoli, di Sicilia e di Sardegna. Tre anni dopo succede al nonno paterno, l’imperatore Massimiliano I d’Asburgo (1459-1519), nel Ducato di Borgogna e, insieme al fratello Ferdinando (1503-1564), nei domini d’Austria. Il 28 giugno 1519 viene eletto Sacro Romano Imperatore con il nome di Carlo V.
L’elezione imperiale non è frutto solo del credito illimitato concesso a Carlo da Jakob Fugger (1459-1525), potente banchiere di Augusta, ma anche delle garanzie offerte dal nuovo imperatore con le capitolazioni elettorali, nelle quali s’impegnava a difendere la Cristianità e la Cattedra di Pietro, a rispettare i diritti e le libertà dei principi e a convocare periodicamente i vari ceti e ordini dell’impero.
Nel 1521 Carlo V, riunendo la prima dieta generale a Worms, nel Palatinato – dove viene bandito l’eretico Martin Lutero (1483-1546), frate agostiniano della Turingia – ricorda di essere “discendente dai cristianissimi imperatori del grande popolo germanico, dai cattolici re di Spagna, dagli arciduchi d’Austria e dai duchi di Borgogna […], figli fedeli della chiesa di Roma […] sempre impegnati a diffondere la fede e la salvezza delle anime”, e si dichiara “perciò risoluto a conservare tutto ciò che questi miei predecessori hanno stabilito sino al presente”.
Autentico rappresentante della tradizione cavalleresca borgognona; erede dello spirito di crociata che aveva animato i regni spagnoli nella Reconquista, cioè nel processo di liberazione della penisola iberica dai musulmani; dotato di una straordinaria forza politica – grazie a pacifiche successioni, giudicate provvidenziali dai suoi contemporanei -, Carlo V interpreta la concentrazione di potenza nelle sue mani come il segno più certo della missione, affidatagli da Dio, di unificare i popoli in una sola architettura politica cristiana. Il progetto di una pace universale e di una grande crociata contro i turchi, di cui si parlava dai tempi di Papa Pio II (1458-1464), sarà presente per decenni nella mente del sovrano e presso i circoli politici e culturali che lo fiancheggiavano, soprattutto grazie all’opera del gran cancelliere Mercurino Arborio (1465-1530), marchese di Gattinara.
2. Il consolidamento dell’autorità
I compiti dell’imperatore si rivelano subito molto impegnativi. Nel 1520 scoppia la rivolta delle comunidades, le città della Castiglia, irritate dal comportamento della corte reale, composta in prevalenza da borgognoni, e del reggente Adriano di Utrecht – il cardinale fiammingo Adriaan Florisz Boeyens (1459-1523), il futuro Papa Adriano VI (1522-1523) -, nonché dal forte prelievo di risorse in favore dei Paesi Bassi. Carlo è costretto a recarsi in Spagna, dove riesce a pacificare la Castiglia, impegnandosi a coinvolgere più strettamente nella politica regia le Cortes, cioè le istituzioni locali, da lui investite di nuove funzioni amministrative. Lascia invece intatte le istituzioni di Aragona, di Napoli e di Sicilia, che rimarranno distinte da quelle castigliane, ma congiunte fra loro grazie a un’unione personale e dinastica fra le più significative nella fisionomia politica e giuridica dell’Europa moderna. Dal 1522 al 1529 Carlo resta in Spagna – apprendendo la lingua e gli usi del paese -, dove sposa, a Siviglia, nel 1526, la cugina Isabella di Portogallo (1503-1539), e dove nasce, a Valladolid, l’erede Filippo (1527-1598).
In questi anni il sovrano deve fronteggiare gli attacchi di Francesco I di Valois (1494-1547), re di Francia, che teme l’accerchiamento politico del suo paese e dà inizio a una serie di guerre contro l’imperatore, trascinatesi per oltre vent’anni e combattute anche in Italia, dove la Lombardia costituiva il punto di contatto fra i possedimenti mediterranei di Carlo V e i domini austriaci. La prima fase – iniziata nel 1521 e conclusasi a favore degli Asburgo con la vittoria di Pavia, del 24 febbraio 1525, dove lo stesso re Francesco è fatto prigioniero – è presto seguita da un’altra campagna, che vede uniti nella Lega di Cognac, del 1526, il re di Francia, Papa Clemente VII (1523-1534) e la maggior parte degli Stati italiani. Ancora una volta l’imperatore è vittorioso e, nel 1529, impone la pace di Cambrai alla Francia e quella di Barcellona al Pontefice, molto scosso dal sacco di Roma, del maggio del 1527, compiuto dai lanzichenecchi di Carlo di Borbone (1490-1527), conestabile di Francia, passato nelle schiere imperiali, ammutinatisi perché rimasti senza paga.
La presenza spagnola contribuirà a fare dell’Italia un’area politica omogenea, comprendente Napoli, Palermo, Cagliari, Milano, Genova, Firenze e le capitali dei ducati padani, e caratterizzata da forme d’integrazione dei principi e dei signori italiani, dalla circolazione delle carriere di magistrati e di uomini di governo, dal movimento di capitali, di idee e di progetti politici.
Nel mese di febbraio del 1530, Carlo V riceve da Papa Clemente VII, nella basilica di San Petronio a Bologna, la corona ferrea di re d’Italia e la corona imperiale, con un rituale che tendeva a sottolineare la dimensione multinazionale dei suoi domini e a simboleggiare l’avvento di una nuova era, che avrebbe garantito pace e prosperità all’intera Cristianità.
3. La monarchia universale
Nel 1532, l’emiliano Ludovico Ariosto (1474-1533), nel poema cavalleresco l’Orlando furioso, al canto quintodecimo, saluta Carlo V come il più saggio imperatore “che sia stato o sarà mai dopo Augusto”, grazie al quale la Giustizia sarà “riposta in seggio” e la monarchia cristiana regnerà sul mondo.
L’idea di una signoria universale, fino ad allora sviluppata prevalentemente in ambito teorico, assume grande concretezza con Carlo V che, dotato di una forza nettamente superiore a quella dei precedenti titolari dell’impero e di ogni altro sovrano dell’Europa cristiana, sembra in condizione non solo di svolgere realmente i compiti legati alla carica imperiale – garantire la pace interna ed esterna della Cristianità e difendere la Chiesa contro gli eretici – ma anche di restaurare l’antico Imperium Romanum, unificando nuovamente l’Oriente e l’Occidente, e di promuovere l’evangelizzazione dei pagani.
Re di Castiglia, con giurisdizione pure sulle Indie, cioè sulle province d’oltremare, partecipa attentamente alla riflessione sull’evangelizzazione del Nuovo Mondo. Dopo l’epica conquista dell’altopiano messicano da parte di Hernán Cortés (1485-1547), nel 1521, Carlo gl’invia minuziose istruzioni, che preparano le Ordenanzas sul buon trattamento degli indios, del 17 novembre 1526, in cui si mostra consapevole più di altri di quello che il filosofo argentino Alberto Caturelli definisce “il dramma della coscienza cristiana”, che scaturisce dalla distanza esistente fra la norma e la sua applicazione concreta a causa della debolezza umana. Nel 1541, rientrato in Spagna dopo una lunga permanenza in Germania, il sovrano decide di procedere a una revisione generale della politica verso le Indie e convoca una giunta a Valladolid, in Castiglia, che elabora il corpus giuridico delle Leyes Nuevas, promulgate nel novembre 1542, in cui viene accentuato il carattere missionario della conquista.
Negli stessi anni Carlo V affronta in Europa la questione religiosa, nata dalla diffusione del movimento luterano soprattutto nell’area germanica, dove un certo numero di principi e di città stava approfittando della Riforma per contestare l’egemonia imperiale. Nel 1530, riunisce una dieta nella città bavarese di Augusta per cercare una soluzione pacifica ma, svanito il progetto di un concilio generale e fallita ogni mediazione, emana un decreto particolarmente severo nei confronti dei luterani, che danno vita, nel 1531, a un’ampia alleanza, la lega di Smalcalda.
Il perdurante conflitto con la Francia, la carenza di liquidità e la scarsa fiducia negli alleati consigliano all’imperatore di non ricorrere alla forza, anche per la crescente pressione militare dei turchi ottomani che, sotto la guida del sultano Solimano I il Magnifico (1495-1566), sbaragliano un esercito cristiano a Mohács, in Ungheria, nel 1526, e minacciano Vienna tre anni dopo. Carlo va in soccorso del fratello Ferdinando – che aveva ereditato anche le corone di Boemia e di Ungheria –, conquista, nel 1536, La Goletta e Tunisi – basi navali dei pirati barbareschi dell’ammiraglio turco Khayr al-Din “Barbarossa” (1465 ca.-1546) –, cerca invano di espugnare anche Algeri, nel 1541, respinge due volte gli assalti di Francesco I di Valois, alleato dei turchi, e lo costringe, nel 1544, alla pace di Crepy-en-Laonnois, in Francia. Finalmente, poiché i principi protestanti rifiutano di partecipare al Concilio di Trento (1545-1563), convocato da Papa Paolo III (1534-1549) per risolvere definitivamente la questione religiosa, l’imperatore li affronta militarmente e – seppur in lettiga, a causa della gotta che lo affliggeva da anni – trionfa a Mühlberg, in Sassonia, il 24 aprile 1547.
Orgoglioso della vittoria che Dio gli ha concesso, commissiona al pittore veneziano Tiziano Vecellio (1488 ca.-1576) un ritratto equestre che costituisce una delle più significative rappresentazioni della funzione imperiale: vi figura il signore del mondo, sui cui domini il sole non tramonta mai, il cavaliere e l’imperatore della Cristianità, con la lancia in pugno e al collo le insegne del prestigioso Ordine del Toson d’oro.
4. Il tramonto
La vittoria di Mühlberg rappresenta il momento più alto del quarantennale regno di Carlo V, che proprio allora comincia la fase discendente. Nel 1552, con il trattato di Chambord, i principi luterani si alleano con la Francia di Enrico II di Valois (1519-1559) e la guerra infiamma tutti i fronti europei, mentre la flotta turca torna nel Mediterraneo centrale. Grazie all’aiuto dei fedeli tercios castigliani l’imperatore riesce a fermare gli aggressori e affida al fratello Ferdinando l’incarico di firmare con i luterani, nel settembre del 1555, la pace di Augusta, dissociandosi di fatto dalla sanzione dell’inevitabile divisione religiosa dell’impero, secondo il principio “cuius regio, eius religio“. Quindi, nei mesi seguenti, si priva dei suoi titoli imperiali, reali e principeschi, e rinuncia alla salvaguardia di un’unica struttura dinastica, affidando al fratello Ferdinando, che gli succederà sul trono imperiale, i domini austriaci, e al figlio Filippo – già re di Napoli e di Sicilia –, con tre atti distinti, i Paesi Bassi, il regno di Castiglia con i possedimenti americani e le piazzeforti africane, e il regno di Aragona con la Sardegna.
Nell’estate del 1556 intraprende l’ultimo viaggio, alla volta del monastero di San Jéronimo di Yuste, in Estremadura, dove aspetterà la fine, confortato dall’amicizia di san Francesco Borgia (1510-1572), terzo generale della Compagnia di Gesù. Muore all’alba del 21 settembre 1558, stringendo fra le mani il crocifisso, al termine di un’esistenza vissuta – secondo lo storico inglese Martyn Rady – da “crociato, scudo della chiesa universale, e monarca universale”.
Per approfondire: di Carlo V, vedi Istituzioni del principe cristiano. Avvertimenti e istruzioni di Carlo V al figlio Filippo, a cura di Gaspare De Caro, Zanichelli, Bologna 1969; su Carlo V, vedi Karl Brandi (1868-1946), Carlo V, trad. it., Einaudi, Torino 1961; e Martyn Rady, Carlo V e il suo tempo, trad. it., il Mulino, Bologna 1997; sull’ideale imperiale nel Medioevo e nel Rinascimento, vedi Frances Amelia Yates (1899-1981), Astrea. L’idea di Impero nel Cinquecento, trad. it., Einaudi, Torino 1990; e Franz Rosbach, Monarchia universalis. Storia di un concetto cardine della politica europea (secoli XVI-XVIII), trad. it., Vita e Pensiero, Milano 1998.
Francesco Pappalardo
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