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Carola “come Garibaldi”? Sì, ma non è una buona notizia

Posted by on Lug 5, 2019

Carola “come Garibaldi”? Sì, ma non è una buona notizia

Monsignor Gian Carlo Perego, vescovo di Ferrara-Comacchio, paragona Carola Rackete (capitano di Sea Watch 3) a Garibaldi, “eroe dei due mondi”. Non è un paragone proprio gratificante, almeno da un punto di vista cattolico. Se solo si andassero a rileggere quel che di Garibaldi scrivevano i suoi contemporanei, compreso Pio IX…

“Se ne ride chi abita i cieli”. Da un po’ di giorni le parole del secondo salmo mi mettono allegria. Proprio così. Tante ne dicono e tante ne fanno i vertici della chiesa non solo italiana che tenere bene a mente chi è il Signore della storia giova a mantenere il senso delle proporzioni e il buonumore. Gian Carlo Perego, ex direttore della fondazione della conferenza episcopale italiana Migrantes, attuale vescovo di Ferrara-Comacchio (diocesi che per la prima volta dopo decenni di dominio incontrastato del Pci-Pd ha visto trionfare alle elezioni europee la Lega), ha paragonato Carola all’eroe dei due mondi Giuseppe Garibaldi suggerendo per lei l’intestazione del porto di Lampedusa. Evidentemente il compito di difendere i migranti comporta un impegno a tutto campo.

Un impegno che non ammette distrazioni. Come pretendere che un vescovo impegnato in questioni umanitarie abbia conoscenze storiche superiori e diverse da quelle diffuse dai mezzi di comunicazione di massa del mondo intero? Chi è Garibaldi? Il massone che definisce Pio IX un “metro cubo di letame” e che ha un odio tanto smisurato per la Chiesa cattolica da avventurarsi nella stesura di romanzi d’appendice contro preti e gesuiti. Garibaldi è l’uomo che nel 1852, prima di dedicarsi alla liberazione dell’Italia meridionale che “gemeva” sotto il malgoverno borbonico, faceva il commerciante di schiavi: il mercantile da lui diretto, la Carmen, mentre all’andata trasportava guano dal Perù alla Cina, al ritorno portava un carico di cinesi.

L‘ideatore della spedizione dei Mille, il massone siciliano Giuseppe La Farina, così racconta a Cavour in allarmati dispacci l’ordine che regna in Sicilia sotto la dittatura del generale: “io non debbo a lei celare che nell’interno dell’isola gli ammazzamenti seguono in proporzioni spaventose”, “l’altro giorno si discuteva sul serio di ardere la biblioteca pubblica, perché cosa dei gesuiti; si assoldano a Palermo più di 2.000 bambini dagli 8 ai 15 anni e si dà loro 3 tarì al giorno”, “Si dà commissione di organizzare un battaglione a chiunque ne fa domanda; così che esistono gran numero di battaglioni, che hanno banda musicale e officiali al completo e quaranta o cinquanta soldati!”, “Si manda al tesoro pubblico a prendere migliaia di ducati, senza né anco indicare la destinazione! Si lascia tutta la Sicilia senza tribunali né civili, né penali, né commerciali, essendo stata congedata in massa tutta la magistratura! Si creano commissioni militari per giudicare di tutto e di tutti, come al tempo degli Unni”. Il 19 luglio 1860 La Farina, segretario della Società Nazionale, così scrive all’amico Giuseppe Clementi: “i bricconi più svergognati, gli usciti di galera per furti e ammazzamenti, compensati con impieghi e con gradi militari. La sventurata Sicilia è caduta in mano di una banda di Vandali”. Quando è la volta di liberare Roma, nel 1867, Pio IX così documenta le gesta dei garibaldini nella lettera Ex quo intensissimi: “si accozzarono improvvisate masnade d’infima plebe, prontissime ad ogni misfatto, che si inoltrarono nelle nostre province per alzare la bandiera della ribellione: col terrore, con le rapine e con ogni sacrilega scelleratezza portarono la desolazione nei villaggi, nei paesi, nelle città senza però riuscire ad allontanare le popolazioni dalla debita fede, dall’ossequio verso di Noi e la Sede Apostolica”. Che il papa non esageri lo si può dedurre dalla descrizione che Garibaldi fa dei suoi uomini: “Tutti generalmente di origine pessima e per lo più ladra; e tranne poche eccezioni con radici genealogiche nel letamaio della violenza e del delitto”. Chissà, forse il paragone fra Carola e Garibaldi porebbe pure avere qualcosa di sensato. Di certo non nel senso inteso dal vescovo di Ferrara.

Angela Pellicciari

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