Giorni fa è balzata agli onori della cronaca la notizia che
“oltre 11000 scienziati da tutto il mondo
si sono uniti” e hanno dichiarato “chiaramente
e inequivocabilmente che la Terra è di fronte a una emergenza climatica”
1.
“…sulla base di alcuni indici inequivocabili” (dei quali, evidentemente, non fanno parte, per esempio, questi2, questi3 e questi4, “ben 11258 scienziati e scienziate di 153 nazioni” hanno sottoscritto il solenne monito1.
Il Sud della Penisola ha dei problemi noti a tutti,
Meridionali, Padani e non solo.
Sulla soluzione di questi problemi, appuratene le origini
storiche, e tutto quello che da esse è seguito fino ad oggi, qui da noi ci
sono, mi sembra di capire, due diverse linee
di pensiero.
La prima linea di
pensiero. Secondo gran parte del mondo revisionista (revisionismo che
porta, ma non necessariamente, ad essere Borbonici, Neoborbonici, Duosiciliani
etc. – ma si tratta di termini ancora
non ben definiti –), non ci può essere riscatto dalla situazione attuale, se
non attraverso il recupero dell’Identità di Popolo (anche questa molto “variegata”
e da definire meglio).
Sembra impossibile, agli assertori di questa tesi, il vero
riscatto, senza il recupero della propria identità di Popolo.
L’altra linea. La
soluzione ci può essere, invece, anche non recuperando l’identità di Popolo o
attraverso un suo recupero annacquato, sembrano suggerire le soluzioni più
“laiche”, politiche o aspiranti tali.
La demarcazione tra queste due linee è diventata ancora più
evidente da quando è nato il Movimento di Pino Aprile (M24A) e, prima ancora,
da quando il Movimento 5 Stelle ha intercettato parte del malcontento degli abitanti del Sud.
Resta fermo il fatto che, non identificando le vere cause
dei problemi (sia storiche che attuali), non ci possa essere vera soluzione (“Chi sbaglia storia, sbaglia politica”,
scriveva Giovanni Cantoni).
Talvolta, gli identitari sostenitori della prima linea di
azione, tacciano di impazienza (o, addirittura, di tradimento) i sostenitori della
seconda, quella “laica”, quella del “pur
di risolvere i problemi più impellenti
e per evitare che, a quelli che già ci
sono, se ne aggiungano altri, partiamo anche se, in quanto a identità, c’è
ancora molto da fare, masse da educare, increduli da convincere, dubbiosi da
confortare”.
L’impazienza, leggiamo, è lo “stato d’animo di chi è insofferente per cosa che lo irriti o molesti o
di chi è ansioso per il desiderio o l’attesa di cosa che tarda”1.
Chi ha qualcosa che lo disturba, lo irrita e che non è più
capace di sopportare, tollerare, facendo finta di niente, qualcosa che,
comunque, non gli causa “danno”, è già definibile impaziente.
Chi, invece, è in una situazione che gli causa nocumento, è
ovviamente irritato, quindi è già definibile impaziente, ma a questa impazienza se ne aggiunge un’altra,
legittima, logica: quella di veder eliminata quanto prima la causa dello stato
di sofferenza. Costui, è impaziente due volte e la seconda impazienza è più motivata,
se vogliamo, più intensa e meno …
contestabile della prima.
Ovviamente, anche chi non sta “male”, può avere ansia di
cambiare (per stare ancora meglio, in questo caso) e, dunque, è definibile
impaziente.
Ma in un meridionale
che ha scoperto le cause storiche e recenti del suo stato, sono presenti
entrambi i tipi di impazienza, che si continuano, se vogliamo, l’uno
nell’altro: egli non può non essere irritato e insofferente per lo stato attuale
di cui ha scoperto le cause e, poi, come è giusto che sia, desidera cambiare
questo stato tanto da diventare ansioso che ciò avvenga.
Il desiderio di cambiamento, però, può essere vago o intenso, a seconda delle condizioni reali di chi lo prova.
Un signore (duosiciliano, neoborbonico, meridionalista che sa la storia etc) alle soglie della pensione, o già
a riposo dal lavoro, o ancora al lavoro in modo sicuro, stabile, garantito, può
anche sentirsi irritato, insofferente
senza provare l’ansia che cambi ciò in cui, comunque, egli ha una buona “nicchia”2; colui che,
invece, non avendo una posizione attuale e/o futura stabile, per sé o per i
suoi figli, è irritato sì, ma anche necessariamente e obbligatoriamenteansioso
(a meno che il naufragare in questo mar non gli sia dolce) di vedere realizzato
il cambiamento da cui si aspetta il miglioramento sostanziale di cui ha
bisogno.
Questo secondo tipo di impazienza, è riscontrabile anche fra
coloro che non sanno, ma soffrono per
una situazione pesante, negativa, di cui, però, ignorano le cause storiche e
attuali.
Ai primi (impazienti
perché irritati, ma con buona nicchia), si può chiedere di pazientare, di
calmare la forse poca ansia di cambiamento che hanno; ai secondi no.
Questa differenza, credo fondamentale, dovrebbe indurre un
Identitario (qualunque cosa di preciso ciò significhi) ad essere … paziente nei
confronti degli “impazienti da ansia di
cambiamento”, quelli, cioè, che sono disposti a mettere temporaneamente in
secondo piano la ricerca e la diffusione dell’identità storica, sociale,
culturale pur di vedere risolti i problemi da cui sono afflitti.
In questa ottica, anche in questa ottica, le iniziative di
tipo laico, poco identitarie, sono accettabilissime.
L’alternativa? Il voto di chi ha bisogno alla lega nordista,
la preghiera con il Rosario in mano etc.
È come in una ricostruzione post bellica: bisogna fare,
agire, costruire e ricostruire e c’è poco tempo per le sottigliezze
ideologiche. È vero: c’è pur sempre chi cerca di incanalare questa attività in
un filone anziché in un altro…ma è un rischio che bisogna correre in una
situazione come quella attuale in cui la ormai ristretta, risicata coperta,
viene tirata ancor di più sulle gambe del più forte.
Due post di questa mattina riassumono bene, a titolo di
esempio, il momento attuale.
Il primo riporta l’encomiabile impegno di Domenico Iannantuoni per la chiusura del museo Lombroso; il secondo, quello di Saverio De Bonis, tratta del ventilato proposito governativo di togliere le agevolazioni sul gasolio agricolo, del conseguente aggravio dei costi dell’agricoltura e del necessario impegno affinché ciò non avvenga.
Ecco: nella vita di un meridionale di oggi (per cosciente o
meno che sia della vera storia) sono necessarie
entrambe le cose.
Questo, secondo me, giustifica la nascita e l’appoggio anche a movimenti che vogliono agire
sul piano più prettamente politico.
In caso contrario potremmo apparire, quanto meno, come quei
medici del proverbio, quelli che erano intenti a discutere al capezzale
dell’ammalato che, intanto, si aggravava.
Certo, sarebbe auspicabile che il recupero dell’identità e
l’azione politica si fondessero in un unico soggetto. Ma i Movimenti Identitari
o Revisionisti di oggi sono decine e decine, ognuno convinto della propria
linea e geloso della propria autonomia.
Non si vede, in essi
e per ora, un unico moto unificatore (al posto dei due, tre noti) che è il
primo passo per un’azione politica, comune e di sperabile successo.
Dunque?
Chissà che un movimento
laico, poco identitario, non possa rappresentare anche una spinta all’unificazione
delle forze non laiche.
Una sorta di sasso che, lanciato in uno stagno, finisce per
generare onde anche in quello vicino.
Non sono andato al Parco della Grangia oggi, all’incontro per la posa della prima pietra di un’azione politica meridionale.
Lì si raccoglievano le idee, si faceva il punto circa il programma da stilare, sulle cose da fare per la salvezza del nostro Sud e, prima ancora, sulle “regole” da seguire.
Interessante riflessione di Bevilacqua sulla iniziativa di Pino Aprile di costituire (Si è convinto finalmente!) necessariamente un Partito che sappia essere tutore degli interessi del Sud Italia e difensore della sua Memoria. A differenza di tanti altri giudizi negativi espressi impropriamente da tuttologi ed “ignoranti” del tribolato lungo percorso che ha dovuto affrontare, anch’io mi associo per un giudizio positivo dell’iniziativa da me caldeggiata personalmente da diversi anni ma inascoltata per diverse ragioni. Ma alcune considerazioni sono necessarie: Speravo ed ero convinto che la nascita di un Partito così importante si organizzasse almeno un mese prima, a Napoli con una chiamata alle armi generale che avesse radunato tantissima gente in qualche sala congressuale. Si poteva approfittare di qualche festività entro dicembre (l’8 sarebbe stato ideale) e ci sarebbe stato tutto il tempo per organizzarsi e venire a Napoli da tutta Italia. Un evento di tale portata storica, nel quale, addirittura, si vuole costituire un Partito, darci un nome, un simbolo e finanche dei candidati, non si può organizzare in brevissimo tempo, senza nemmeno una bozza di Statuto in mezzo ad un bosco che per arrivarci ti devi fare il segno della croce e con un servizio di vitto e alloggio lasciato ad un agriturismo familiare. Sinceramente la fondazione di un Partito sudista non merita un luogo simile ad un’area pic nic in cui si improvvisano Statuti, ruoli, denominazione e bandiera. Tanti di noi che lottiamo da decenni, probabilmente, avremmo preferito un percorso di costruzione diverso. Basta con le solite cose “vediamoci e parliamo”. Avevo già risposto sotto un altro post che a mio avviso si dovevano scegliere 12 saggi/attivisti tra coloro che negli ultimi 20-30 anni hanno contribuito alla diffusione di una coscienza identitaria sudista e ad una critica professionale delle attuali condizioni socio-economiche della nostra terra. Costoro avrebbero dovuto, secondo la mia umile considerazione, stilare una Bozza di Carta Costituente aperta, informata di principi condivisi e soprattutto espressione di SINTESI delle varie anime meridionaliste ed un PROGETTO chiaro e sintetico di una decina di punti al massimo. Nell’ambito della Adunata Generale in NAPOLI capitale, si approvavano le varie norme statutarie. Tutta l’organizzazione dell’importantissimo e vitale EVENTO dovrebbe essere affidata a soggetti già esperti. Ma una cosa, per me, e soprattutto, tanti altri, (tantissimi altri) sarebbe IMPRESCINDIBILE: La presenza massiccia della nostra BANDIERA STORICA DI STATO nella quale ormai ci ricononosciamo TUTTI e di cui non possiamo né DOBBIAMO più avere vergogna! Darebbe un fortissimo segnale di inclusione e di spirito IDENTITARIO. Se, al contrario si vuole ripetere il percorso costruttivo partitico di UM-MO e simile alle liste-civetta del PD, faranno a meno della mia presenza.
L’iniziativa di Pino Aprile, di far partire un’Azione politica meridionale, non è che
l’ultima di una lunga serie1 .
Penso che la prima sia stata la pubblicazione di Terroni, libro che ha fatto uscire dall’ambito geografico e culturale “locale”, la questione del Sud maltrattato e vittima necessaria (e perciò predestinata) della cosiddetta Unità.