C’è qualcuno dietro la promozione dell’ideologia gender?
Oggi assistiamo tutti con stupore – che rischia però di cedere il posto all’assuefazione e alla rassegnazione – ad un fenomeno che dovrebbe rammentare angosciosi precedenti storici: l’imposizione forzata di un’ideologia.
L’ideologia di cui parliamo, ovviamente, è quella del “genere” (gender), inteso come percezione
psico-culturale della sessualità distinta dal sesso biologico: l’essere
uomo/donna sarebbe cioè slegato dal
sesso biologico e determinato unicamente da
condizionamenti culturali.
L’ideologia gender si
prefigge lo stesso obiettivo delle campagne per l’introduzione del matrimonio
gay: scardinare
gli assetti sociali basati sulla famiglia e sulla complementarietà di sessi che
ne è premessa.
Se parliamo di “imposizione forzata” di quest’ideologia è perché – come dovrebbe balzare agli occhi di tutti – si tratta di campagne calate dall’alto, senza nessun radicamento sociale, propagandate con insistenza ossessiva dai media e imposte innanzitutto da sentenze di tribunali, le quali vogliono creare il “fatto compiuto” e, quindi, la rassegnata assuefazione delle persone.
In Italia, per approvare a spron battuto la legge Cirinnà che introduce il simil-matrimonio omosessuale, il governo Renzi non ha avuto remore a ricorrere al voto di fiducia, cosa mai avvenuta su temi sociali (e addirittura senza che si fosse concluso il dibattito in commissione).
Senza considerare, inoltre, la violenta espulsione dal dibattito pubblico delle opinioni contrarie, tacciate in maniera liquidatoria di “omofobia” (il dissenso retrocesso a malattia mentale) e accompagnate dal tentativo di sanzionarle penalmente, introducendo un reato d’opinione.
In questo articolo, però, piuttosto che rimarcare – come
abbiamo già fatto altrove – l’assurdità e la pericolosità distruttiva di questa
ideologia, vogliamo puntare i riflettori su un altro aspetto: come ha fatto a
imporsi se non ha radicamento sociale? Chi la sostiene? E a quale scopo?
L’azione delle multinazionali USA
Non dovrebbe essere difficile rilevare la violenta pressione su questi temi delle maggiori multinazionali USA.
Questi poteri economico/finanziari di dimensioni enormi condizionano pesantemente la volontà democratica dei popoli: con l’azione dei media (che controllano); investendo centinaia di milioni di dollari in campagne politiche e in azioni lobbistiche sulle istituzioni nazionali e internazionali (agenzie delle Nazioni Unite e dell’Unione Europea); minacciando e ricattando chi esprime pareri difformi (Guido Barilla, Domenico Dolce, Phil Robertson, ecc.); boicottando Stati che promuovono leggi non gradite (di recente il North Carolina); premendo addirittura perché siano discriminati i Paesi in via di sviluppo nella concessione di aiuti (!).
Lo scopo immediato che si prefiggono, come anticipato inizialmente, è molto semplice: la disarticolazione della famiglia tradizionale. Si tratta di una strada indiretta e parzialmente mascherata: non è mai bello dire apertamente che si è “contro” qualcuno o qualcosa; meglio sostenere che si è “a favore dei diritti” di qualcun altro… (i gay, la cui protezione dalle “discriminazioni” è una foglia di fico).
Ma qual è lo
scopo ultimo che intendono raggiungere disarticolando la
famiglia?
Ebbene: promuovere
il controllo delle nascite e indebolire l’autonomia sociale delle persone, per
salvaguardare l’assetto socio-economico globale che garantisce la preminenza di
chi detiene il potere.
Ci stiamo abbandonando alla tentazione del “complottismo”, sulla
falsariga delle “scie chimiche”?
Ci facciamo prendere la mano
da forme stantie di antiamericanismo e anticapitalismo?
Beh, innanzitutto non è neanche esatto parlare di “complotti”,
visto che queste multinazionali sono schierate apertamente…
(Peraltro, se Obama chiama
Renzi per congratularsi il giorno stesso dell’approvazione della legge Cirinnà,
significa forse che al di là dell’Atlantico non sono così disinteressati a
queste vicende… Il Presidente del Consiglio potrà essersi vantato di aver
eseguito prontamente le indicazioni ricevute)
(…)
Ma vediamo su quali dati di fatto si poggia l’asserto che lo scopo immediato dell’ideologia gender è la disarticolazione della famiglia, e che lo scopo ultimo è quello di promuovere la denatalità e indebolire le autonomie sociali.
La strategia contro la natalità
Negli ambienti delle élites economico-finanziarie
USA, a partire dalla fine degli anni Sessanta, si diffusero le teorie
neomalthusiane sui pericoli derivanti dall’incremento demografico della
popolazione mondiale (la “bomba demografica”). La famiglia Rockfeller fu tra i
principali sostenitori della costituzione del celebre Club di Roma, che nel
1972 pubblicò il Rapporto
sui limiti dello Sviluppo che formulava una serie di
previsioni catastrofiste sullo sviluppo economico (esaurimento di gran parte
delle riserve di petrolio entro il 2000, ecc.): questo rapporto ebbe
un’influenza incredibile nel dibattito culturale e politico degli anni
Settanta, anche se le sue previsioni si rivelarono ben presto esagerate o
infondate (peraltro, sarebbe interessante andarsi a rileggere la stroncatura
che ne diedero le forze di sinistra, accusandolo – col linguaggio di quegli anni
– di voler ostacolare il progresso e l’emancipazione delle classi lavoratrici
per conservare gli assetti di potere borghesi).
Le teorie neomalthusiane
ebbero grande influenza soprattutto sull’amministrazione USA, che decise di
attivarsi con energia in questa direzione: contenimento della natalità, anche e
soprattutto all’estero. Non per sensibilità rispetto ai destini del pianeta, ma
perché lo riteneva necessario per la sicurezza nazionale (come emerge dal “Rapporto
Kissinger”, ormai desegretato e disponibile su internet).
Anche oggi, tutte le politiche
promosse dalle agenzie ONU e definite di “salute riproduttiva” hanno una forte
impronta di questo tipo e sono attivamente sostenute da ong finanziate dai
Governi e dalle multinazionali USA (sono emerse anche iniziative finanziate dai
Governi USA sotto copertura, perché violavano la sovranità di Stati esteri).
È importante sottolineare, sia
pure per inciso, che la
bomba demografica non è scoppiata. La popolazione mondiale è
cresciuta, ma non ai ritmi temuti. La povertà e il sottosviluppo sono
diminuiti. Il ritmo di crescita si è invertito, come avrebbe dovuto sapere ogni
demografo avveduto (la crescita è caratterizzata dai cicli di “transizione
demografica” – equilibrio, crescita, nuovo equilibrio – descritti da una curva
“logistica”).
Attualmente nei Paesi
occidentali siamo anzi entrati in pieno “inverno demografico”,
che soffoca lo sviluppo (indebolimento e distorsione degli investimenti,
latenza del capitale umano, ecc.) e crea dissesti sociali (popolazione
invecchiata, cui non è più possibile pagare pensioni dignitose né garantire la
necessaria assistenza sanitaria. La “soluzione” è quella dell’eutanasia
diffusa… e anche questa non è una “deduzione”, ma una prospettiva apertamente
dichiarata: Jacques Attali, ecc.).
La “crisi finanziaria” del
2008, la più lunga della storia, è stata provocata – oltre che dalle concessioni
troppo disinvolte di mutui immobiliari – dalla necessità di garantire
rendimenti sufficienti ai fondi pensioni USA: da lì la crescita artificiosa
delle obbligazioni-spazzatura collegate al mercato immobiliare, l’esplosione
della bolla. Si tratta di una crisi non più ciclica, ma strutturale, perché la
composizione demografica delle popolazioni occidentali non consente riprese
stabili.
Il problema non è solo
dell’Occidente: in Cina hanno abolito la politica del figlio unico.
In alcuni Paesi africani e asiatici
la crescita è ancora alta; ma l’esperienza insegna (…) che la prima ricetta
utile a tale scopo è lo sviluppo, non le politiche neomalthusiane.
E invece siamo ancora qui a
sentir parlare di “decrescita felice”… Perché?
Perché il vero obiettivo
di certe multinazionali USA resta la difesa degli attuali assetti
geopolitici, non la salvaguardia del pianeta (tralasciando il fatto che quando
un obiettivo politico diventa ideologico, si innesca – anche nelle classi
dirigenti – un processo di autoconvincimento difficile da controllare…).
Ad ogni modo, per tornare alla
questione da cui siamo partiti: che cosa c’entra tutto questo con
l’ideologia gender?
Beh, basta
leggersi le proposte per ridurre la natalità formulate
nel marzo 1969 da Frederick Jaffe, vice-presidente della potentissima IPPF, in
un memorandum per Bernard Berelson (presidente del Population Council) e per
l’Organizzazione Mondiale della Sanità: “ristrutturare la famiglia”
(rinviando o evitando il matrimonio, alterando l’immagine della famiglia
ideale); avocare allo Stato l’istruzione obbligatoria dei bambini [anche in
tema di sessualità]; incrementare la percentuale dell’omosessualità; adottare
forme di penalizzazione fiscale e sociale per le famiglie; ecc. (in «Family
Planning Perspective» 1970, 2, 4, 25-31. Una sintesi qui: http://www.amen.ie/downloads/26009.pdf,
in particolare alle pagg. 15 e 16).
La famiglia era dunque
considerata il primo obiettivo strategico da colpire per contenere la natalità
(ovviamente venivano proposti altri strumenti, tra cui… la “depressione
economica cronica”! Negli anni successivi si è aggiunto all’arsenale anche
l’ecologismo radicale: l’ “impronta ecologica” dei nuovi nati, ecc.)
Come mai la famiglia fu posta
nel mirino?
Perché i sociologi hanno
evidenziato che le
donne procreano più facilmente all’interno di un rapporto matrimoniale,
quando hanno la sicurezza di poter condividere stabilmente con un uomo il
compito genitoriale. E questo accade anche in Paesi “evoluti”, in cui le forme
di convivenza alternative sono diffuse – e spesso addirittura prevalenti – da
decenni.
Le teorie gender,
la promozione del “matrimonio omosessuale” (istituto che fino agli anni Novanta
i gay hanno orgogliosamente sbeffeggiato), alterando la naturale
complementarietà dei sessi – uomo/donna -, hanno esattamente questo scopo:
“alterare la famiglia ideale”, suggerire che “quello che conta è l’amore”
(perché non importa il sesso di chi si ama o il progetto di vita che ci pone) e
quindi che il matrimonio è un inutile “pezzo di carta” (utile tutt’al più per
spuntare qualche beneficio legale), che i figli non ne sono il cuore, ecc.
Il movimento gay ha
deciso molto tempo dopo (la
successione temporale è incontestabile) di far propria una battaglia di altri,
vedendovi l’occasione di ottenere dallo Stato non solo la tutela dei propri
diritti, ma anche un pubblico riconoscimento “etico” della propria condizione.
E va detto anche che in questo cambio di strategia i movimenti gay (ILGA in primis)
sono stati “incoraggiati” dai generosi finanziamenti delle “solite” fondazioni
e multinazionali, che avevano bisogno di attivisti per la propria battaglia.
Tutte le multinazionali sono
unite nel “complotto”? Ovviamente
no.
Ci sono i gruppi economici più consapevoli e attivi in
quest’azione, tramite le fondazioni ad essi collegate: Rockfeller, Gamble,
Vanderbilt, Ted Turner, Bill e Melinda Gates, Packard, Hewlett, Open Society
Institute di Soros, Google, ecc.
Poi ci sono quelli che
preferiscono agire sottotraccia; quelli che aderiscono solo per seguire la
scia; quelli che lo fanno per timore di essere vittime di campagne denigratorie
o azioni di boicottaggio (come è già successo)…
La strategia per l’indebolimento delle autonomie sociali
Il secondo obiettivo – più sottile e meno confessabile – che si pongono le principali multinazionali USA con la destrutturazione della famiglia (anche mediante l’ideologia gender) è quello di isolare gli individui e indebolirne l’autonomia. Il sistema economico basato sull’incentivazione esponenziale dei consumi e l’induzione dei bisogni ha bisogno di persone che siano “consumatori” e “mano d’opera” prima che persone e cittadini.
Una famiglia fornisce un sostegno psicologico profondo, importante anche per resistere agli acquisti e agli stili di vita compulsivi: la moglie/marito che ti ricorda di contenere le tue “fissazioni”, i figli che ti richiamano al senso di responsabilità, ecc.
Una famiglia fornisce sostegno economico: ti puoi permettere di resistere ai ricatti del “capo”, se hai alle spalle una rete di sostegno.
Una famiglia ti educa alla comunità e ti predispone a forme di
solidarietà sociale salde e non effimere.
Questo non significa che chi
non cresce in una famiglia solida sia destinato necessariamente ad
essere più fragile e manipolabile. Gli individui hanno grandi capacità di
adattamento. La famiglia, però, offre un indubitabile – e documentato –
sostegno alla persona. E, nella proiezione statistica generale, un tessuto
sociale basato su famiglie forti è un tessuto sociale più solido. Questo sanno
i sociologi, questo temono i “poteri forti”, politici ed economici.
Esemplare, in questo
senso, l’analisi del filosofo neomarxista Diego Fusaro: “Quella gender è
a tutti gli effetti ideologia di legittimazione di un ‘capitalismo
assoluto-totalitario’ che mira alla distruzione dell’identità umana, di modo
che possa imporsi, tramite una ‘mutazione antropologica’ (Pasolini), la nuova
figura del consumatore senza sesso e senza identità, integralmente plasmato dai
flussi desiderativi governati ad arte dal mercato”.
In questa prospettiva, l’ideologia gender è un tassello del mosaico politically correct, che vuole sopprimere le differenze e, con esse, l’idea di qualità.