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Cenni Storici di Troia

Posted by on Ott 14, 2022

Cenni Storici di Troia

Nello stemma di Troia era raffigurata inizialmente una scrofa, che allatta sette porcellini. Carlo V lo sostituì nel 1536 con un’anfora d’oro sormontata da una corona, dalla quale guizzano cinque serpenti, a perenne ricordo dell’astuzia dei suoi abitanti.

Troia sorge sul dorsale di una stretta collina (439 m. l. m.) tra l’assolata piana del Tavoliere e le verdi valli in cui dolcemente digradano i monti del Preappennino Dauno Meridionale.
Le sue origini sono antichissime. Fondata agli albori dell’XI sec., essa inglobò tra le sue mura una preesistente “città vecchia” le cui origini si perdono nella notte dei tempi.
Inizialmente (IV-II millennio a. C.) dovette trattarsi di un insediamento umano dedito alla caccia; verso l’VIII sec. di una comunità dalle già evolute forme di vita materiale e spirituale e successivamente, a partire dal VI-V sec., di una florida e raffinata città collocabile nell’orizzonte politico e culturale della Magna Grecia.
Si sa invece, che il suo nome era Aecae in epoca romana. Lo attestano gli scritti di Polibio, Strabone e Livio, i quali forniscono anche le prime notizie certe sulla storia della città. Nel 217, nei pressi di Aecae, sulla collina, si accampò Quinto Fabio Massimo per controllare da vicino i movimenti di Annibale ritiratosi a Vibinum (Bovino). Nel 216, dopo la battaglia di Canne, la città si schierò col vincitore e per questo sarà ricordata come castra Hannibalis. Ma nel 214 i Romani ne ripresero il controllo senza tuttavia infierire sui cittadini.
Sito al centro di una fitta rete viaria (Egnathia, Appia-Traiana, Aecae-Sipontum) che collegava Roma all’Oriente passando per la Puglia, favorito da una invidiabile posizione strategica, il municipium conobbe il suo massimo splendore tra la fine della repubblica e l’inizio dell’impero. Con Settimio Severo, Aecae si aprì alla penetrazione del cristianesimo.
Tra il III-IV sec. venne eretta in diocesi. Incerta la cronotassi episcopale dei primi secoli. Fonti agiografiche e liturgiche attesterebbero l’esistenza tra il IV-VI sec. di tre vescovi santi: Marco (patrono di Bovino), Eleuterio e Secondino (patroni di Troia). Ormai certa è invece l’esistenza di Marcianus che partecipò ai concili di Roma del 501, 502, 504 e di Domnino destinatario di una lettera di Papa Pelagio (556-561).
La tradizione attribuisce alla spedizione di Costante II in Italia del 663 la distruzione di Aecae.
Che cosa ne fu di Aecae nei successivi quattro secoli non è possibile stabilirlo per mancanza di fonti. E’ ipotizzabile però che la vita nella città non si spense mai del tutto se agli albori dell’XI sec. il suo territorio pullulava di casali, chiese e conventi che orbitavano intorno a due importanti monasteri (VII sec.?), uno basiliano, l’altro benedettino tra loro collegati da una via detta “fra due terre” (oggi corso Umberto I).
Accanto a questa città e come suo naturale ampliamento, nel 1019, il catapano Basilio Bojoannes ricostruì la città alla quale per ragioni ancora del tutto oscure, venne imposto il nome di Troia.
Dopo soli tre anni dalla sua fondazione, nel 1022, essa fu assediata dall’imperatore tedesco Enrico II, intenzionato a strappare il Mezzogiorno d’Italia al dominio di Bisanzio. La generosa resistenza della popolazione costrinse l’imperatore, dopo mesi di inutile assedio, a venire a patti con la città. Grazie alla mediazione di Papa Bendetto VIII, la resa fu vantaggiosa; unica condizione l’adozione del rito latino. In seguito alla “conversione” Troia venne eretta in diocesi ed ebbe in Oriano il suo primo vescovo.
Rimasta alle dipendenze del potere poco più che nominale di Bisanzio, la città godette di fatto di una larga autonomia che difese strenuamente e progressivamente accrebbe con un’abile politica delle alleanze, strappando ai contendenti di turno donazioni, immunità e privilegi fino ad ottenere nel 1127 da Papa Onorio II una vera e propria “Charta Libertatum”.
Per questo prima si oppose ai Normanni combattendo contro Roberto il Guiscardo (1053), poi ne divenne fedele alleata. Artefice di tale politica fu l’episcopato: guida non solo spirituale della civitas troiana, esso si avvalse del prestigio che gli derivava dal dipendere direttamente da Roma per proiettarne i destini oltre gli angusti confini delle sue mura. E così in meno di 40 anni Troia ospitò ben 4 concili, tutti presieduti personalmente dal Papa (Urbano II nel 1093, Pasquale II nel 1115, Callisto II nel 1120, Onorio II nel 1127); e un suo vescovo, Gualtiero Paleario, ricoprì sotto Enrico VI la carica di Cancelliere del Regno di Sicilia, divenendo membro del Consiglio di reggenza durante la minorità di Federico II.

Della prosperità e dell’importanza raggiunte resta la testimonianza della Cattedrale i cui lavori iniziarono nel 1093 sotto il vescovo Girardo a conclusione del concilio di Urbano II, quando divenne evidente che la chiesa di S.Maria era inadeguata al nuovo ruolo che Troia andava assumendo.
Interrotti ben presto a causa di un incendio e di altre avversità, i lavori ripresero sotto il vescovo Guglielmo II dopo che la traslazione (19 luglio 1105) da Tibera a Troia delle Reliquie dei Santi Eleuterio, Ponziano e Anastasio, rese urgente il completamento dell’edificio per accogliere il gran numero di pellegrini provenienti dalle regioni confinanti.
I lavori terminarono nel 1119.
Nel 1139, dopo un’epica resistenza immortalata nel bronzo della porta minore di Oderisio (detta “della Libertà”), Troia venne sottomessa dal primo re di Sicilia, Ruggero II.
La pacificazione col nuovo regno durò solo fino alla morte (nel 1197) di Enrico VI: un sovrano che seppe ricompensare con molte elargizioni la fedeltà del popolo Troiano.
Il conflitto riesplose violento sotto Federico II: l’intenzione dello svevo di dare vita ad uno stato laico, accentrato, moderno doveva inevitabilmente scontrarsi con la tradizione guelfa, autonomista, libertaria della civitas troiana. Per domarla Federico le contrappose Lucera e Foggia, ma senza risultati. E allora la espugnò, la rase al suolo e ne mise al bando gli abitanti (1229). La popolazione rientrò in città dopo che Carlo d’Angiò, battuto Manfredi (1266), divenne il nuovo re di Sicilia.

Nel 1322 fu costruita, accanto al Castello d’Oriente, la Chiesa di San Domenico o di San Girolamo.
Possesso della regina Giovanna I (1306-1375), nel 1405 passò al conte Pierotto o Perrotto D’Andrea. Nel 1423 fu concessa a Muzio Attendolo Sforza, che divenne Conte di TROIA (1369-1442). Nel 1442 la Città capitola con l’assedio d’Alfonso d’Aragona (1396-1458) e, vent’anni dopo, aiuta Ferdinando I d’Aragona (1431-1470) a sconfiggere definitivamente gli Angioini in una battaglia immortalata sulle porte bronzee del Maschio Angioino.
Nel 1500, in seguito alla spartizione del Mezzogiorno sancita dal trattato di Granada, Troia passò con la Puglia e la Calabria sotto il dominio della Spagna.
Il 13 febbraio 1503, nell’ambito degli scontri provocati da Francesi e Spagnoli per il possesso dell’intera Italia meridionale, a Barletta 13 cavalieri Italiani vinsero un’epica “disfida” contro 13 cavalieri Francesi. Tra gli eroi capitanati dal Fieramosca figurava un cittadino troiano: Ettore De Pazzis, soprannominato “Miale da Troia”.
Il 4 luglio 1521, per disposizione dell’imperatore Carlo V, la città fu venduta a Troyano Gavaniglia, conte di Montella, per 30.000 ducati, ma conservò gran parte delle franchigie e dei capitoli di libertà. Il Gavaniglia nel 1528 diede ricovero entro le mura della città ai soldati spagnoli inseguiti dai Francesi scesi nel Regno dopo il sacco di Roma (1527) per vendicare l’oltraggio subito dal Papa ad opera dei mercenari al soldo di Carlo V. Circondata dalle milizie francesi, la città si salvò perchè ben consigliati da Giampaolo Cossa (un oriundo schierato dalla parte avversa): i Troiani astutamente fecero fuggire nottetempo gli Spagnoli e aprirono le porte agli assediati che si limitarono perciò al solo saccheggio.

Per l’aiuto ricevuto, Carlo V le concesse molti privilegi e ne modificò lo stemma. Alla scrofa che allattava 7 porcellini sostituì 5 serpenti guizzanti da un’anfora d’oro sormontata da una corona, forse a perenne ricordo dell’astuzia dei suoi abitanti.
All’ avversità dei tempi il popolo troiano seppe tuttavia reagire attingendo, alle sorgenti della fede.
Nel 1590 giunsero, infatti, i Fatebenefratelli che assunsero la cura dell’ospedale e introdussero il culto a San Giovanni di Dio, destinato ad incidere profondamente sulla religiosità popolare; nel 1605 le benedettine ebbero il nuovo monastero, voluto da mons. Felice Siliceo nel cuore del paese, di fronte alla Cattedrale e nel 1616 i cappuccini si stabilirono in un’ala del diruto castello svevo ricavandone il monastero e la chiesa di San Bernardino, distrutti qualche decennio prima da un incendio doloso. (Ricordiamo per inciso che al Concilio di Trento partecipò come legato pontificio, Gerolamo Seripando, un cardinale nato a Troia).
Dalla metà del XVII sec. alla fine del XVIII sec. furono principi di Troia i Marchesi d’Avalos del Vasto. Essi contribuirono alla rinascita della città cooperando con grandi figure di vescovi che si succedettero in quegli anni alla guida della Comunità ecclesiastica. Particolare menzione meritano: Mons. De Sangro (1676-1694) cui si deve il restauro della Cattedrale; Mons. Cavalieri (1694-1726) di cui è in corso la causa di beatificazione e che fu artefice del risveglio spirituale della città con la fondazione del Seminario e l’istituzione delle “Missioni”; Mons. Faccolli (1728-1752), che rivestì d’ornamenti barocchi la Cattedrale e ne fece ricostruire, dopo il terremoto del 1731, il braccio sinistro destinandolo a Cappella dei Santi Patroni; Mons. De Simone (1752-1777) cui si deve il braccio destro della Cattedrale (Cappella dell’Assunta), il campanile e il monumentale Palazzo Vescovile.
Con l’arrivo a Napoli (1734) di un despota illuminato come Carlo di Borbone, inizia anche per Troia una stagione di profondi sconvolgimenti. nel 1745 venne istituito il catasto e qualche anno dopo venne abolito il “Sedile di Nobiltà”: entrambi i provvedimenti infersero un duro colpo alla feudalità locale.
Nel 1788, per ordine del re Ferdinando IV, 56 preziosi codici furono confiscati all’Archivio Capitolare e trasferiti a Napoli dove sono tuttora custoditi in una camera blindata della Biblioteca Nazionale con il nome di “Fondo Cavalieri”. Ciò nonostante i Troiani si schierarono col loro re quando nel 1799 i giacobini napoletani proclamarono la Repubblica Partenopea: l’albero della libertà, simbolo della rivoluzione francese, piantato nella città venne sradicato e due medici rivoluzionari rimasero uccisi.
La restaurazione borbonica, seguita alla sconfitta di Napoleone a Waterloo (1815), segnò per Troia l’inizio di un lungo periodo di pace.
In seguito all’epidemia colerica del 1835 venne riaperto infatti l’Ospedale di San Giovanni di Dio e affidato alle cure delle Suore di Carità (1840); per volere del vescovo Monforte furono istituiti un Monte dei pegni e un Monte Frumentario, mentre per iniziativa del Comune fu istituito nei locali del monastero domenicano un orfanotrofio (1842), cui si aggiunsero con gli anni un convitto femminile e un asilo infantile (1902).
Furono questi anni tormentati anche per la comunità ecclesiale: il secolare conflitto tra il clero foggiano e la curia troiana assunse anche per una certa ambiguità nel comportamento del vescovo, toni talmente esasperati che il Papa Pio IX si vide costretto a sottrarre Foggia alla giurisdizione di Troia, e ad erigerla in diocesi autonoma. Per la città fu un grave smacco. A confortarla fu inviata una santa figura di vescovo, il domenicano fra’ Tommaso Passero che ridiede entusiasmo alla Comunità facendo eseguire lavori di restauro e di abbellimento della Cattedrale.
Nel 1860, dopo la spedizione garibaldina, con 1464 voti favorevoli e nessun contrario, Troia approvò l’annessione al regno d’Italia, ma all’indomani dell’unificazione, tra il ‘62 e il ‘63, partecipò al fenomeno del brigantaggio, divenendo teatro di violenze: tre furono le vittime. Tra di esse un sacerdote, Don Francesco Cibelli reo di essersi schierato dalla parte dei Savoia.
Tuttavia, sotto il nuovo regno, la città progredì notevolmente. I beni ecclesiastici confiscati con le leggi del 1866-67 furono destinati a servizi di pubblica utilità: intorno alla chiesa di San Bernardino sorse l’attuale cimitero e dall’orto dei Cappuccini venne ricavata la villa comunale.
Fu costruita la strada ferrata Foggia-Napoli, che ancora oggi passa per la frazione di Giardinetto a pochi chilometri dal paese e la nuova strada provinciale Troia-Foggia (1876).

Nel 1915 l’on. Salandra, da un anno alla guida del Governo, dichiarò guerra all’Austria, scaraventando l’Italia nel primo conflitto mondiale.
Tra il 1940 e il 1970 in Troia aumentò considerevolmente il numero dei suoi abitanti per l’immigrazione proveniente dai Comuni del Preappennino dauno raggiungendo 11650 abitanti nel 1956.
Dopo 964 anni, nel 1986, la Diocesi di Troia e quella di Lucera sono state soppresse ed è stata istituita una nuova diocesi denominata: Lucera-Troia.
Oggi è sede del Distretto Sanitario e comprende anche i comuni dell’ex distretto sanitario di Accadia.

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  1. Tra Medioevo, 1799 E 1860 a Troia in Capitanata ne parliamo con Pino Marino – Alta Terra di Lavoro - […] , non poteva il Prof. Massimo Viglione coniare un termine migliore, e questa volta faremo tappa a Troja in…

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