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Cenni storici sul fiume Garigliano di Fernando Riccardi

Posted by on Ott 12, 2018

Cenni storici sul fiume Garigliano di Fernando Riccardi

Baia – Bacoli (Napoli) Sala conferenze Castello Aragonese Convegno “Lassate fa’ o’ guaglione”… E nacque il Ponte Real Ferdinando. Storia di una meraviglia dell’ingegneria borbonica” Domenica 7 ottobre, ore 10.30

Nel parlare di quella straordinaria opera di ingegneria che è il “Ponte Real Ferdinando” sul fiume Garigliano, non si può non parlare delle vicende storiche che, nel corso dei secoli, hanno avuto come cornice quei luoghi, così strategicamente importanti e, soprattutto, del fiume Garigliano.

In un suo bel libro, edito negli anni ottanta del secolo scorso, l’avvocato Cosmo Damiano Pontecorvo, così scriveva: “Sulle rive del Garigliano, che è stato testimone di grandi eventi, è passata la storia delle nostre contrade. Ma, contestualmente, si tratta anche della storia d’Italia”.

Un inestricabile intreccio, dunque, tra microstoria e macrostoria, di cui andremo a tracciare un rapido e per forza di cose incompleto ma, nello stesso tempo, significativo excursus.

 

La guerra tra i Romani e la Pentapoli Aurunca

(340-341 a. C.)

 Il primo evento storico di un certo rilievo si verifica tra il 340 e il 341 avanti Cristo, nell’ambito della prima guerra sannitica, quando i Romani tentano di espandersi verso sud, in direzione di Capua e Napoli.

E fatalmente vengono a scontrarsi con gli Ausoni-Aurunci, la popolazione che fin dall’antichità abitava quelle contrade, che si erano alleate con i Sanniti.

Il territorio a cavallo del fiume Garigliano era controllato dalla cosiddetta “Pentapoli Aurunca”, una lega di cinque città comprendente Ausona (Ausonia), Suessa (Sessa Aurunca), Minturnae (Minturno), Vescia (borgo posto tra Cellole e Sessa Aurunca) e Sinuessa (nei pressi di Mondragone).

A dar manforte agli Aurunci c’erano anche i Latini, i Capuani, i Sidicini e i Volsci, un’alleanza quindi di tutto rispetto.

Lo scontro decisivo, dopo una lotta feroce e senza esclusione di colpi (uno dei due consoli romani, Publio Decio Mure, rimase ucciso nella mischia nei pressi di Roccamonfina) si ebbe in una località chiamata “Trifanum”, ai piedi del Massico, dove l’altro console, Tito Manlio Torquato, sbaragliò l’esercito avversario riportando la decisiva vittoria.

E così Roma, che non aveva pietà alcuna per gli sconfitti, decretò lo sciogliomento della “Pentapoli Aurunca” e la fine dell’autonomia per quelle fiere e bellicose popolazioni.

 

La sconfitta dei Saraceni

(915-916 d. Cristo)

 Già a partire dalla metà del IX secolo i Saraceni si erano insediati sulle coste tirreniche e, soprattutto, alla foce del Garigliano, dove avevano costruito un formidabile campo trincerato, che costituiva la base delle loro micidiali incursioni nell’entroterra.

Nell’882 una schiera di Mori aveva raggiunto il monastero benedettino di San Vincenzo al Volturno e lo aveva distrutto dalle fondamenta, facendo gran strage di monaci.

Nel’estate dell’885, risalendo il fiume Garigliano con le loro agili imbarcazioni, i Saraceni avevano dato l’assalto all’abbazia di Montecassino, avevano ucciso i monaci e lo stesso abate Bertario ed avevano incendiato il monastero.

Nell’888 avevano raggiunto la città di Teano mettendola a mal partito.

La minaccia saracena, insomma, si faceva sempre più temibile ed i tentativi di arginarla per qualche tempo si rivelarono infruttuosi.

Fino a quando scese in campo, con energia e determinazione, il vescovo di Ravenna che nel 914 fu eletto papa con il nome di Giovanni X.

Il nuovo papa si rivolse subito al re d’Italia Berengario e lo esortò a mettere insieme ed a capeggiare un’ampia coalizione che mettesse finalmente fine alla minaccia saracena.

Radunato un poderoso esercito, Berengario, senza frapporre indugio, marciò con i suoi capitani alla volta del Garigliano.

E qui subito andò all’assalto del campo trincerato dei Saraceni.

L’assedio durò ben tre mesi, con i mori che resistevano gagliardamente.

Alla fine, però, furono costretti a tentare una sortita dal campo che costò loro tantissimi morti e prigionieri.

Berengario, dunque, aveva riportato una grande vittoria, acclamata in tutta la Penisola italica, e soprattutto era riuscito a scacciare i Saraceni dalla foce del Garigliano.

Tale evento si colloca temporalmente tra la fine del 915 e gli inizi del 916.

 

La vittoria della Spagna sulla Francia (1503)

Saltiamo ora avanti di qualche secolo fino ad arrivare agli inizi del Cinquecento quando Spagna e Francia si contendono aspramente il possesso dell’Italia meridionale e non solo.

Lo scontro decisivo si ebbe nei pressi del fiume Garigliano: lì, il 28 dicembre del 1503, si fronteggiarono due poderosi eserciti.

Quello spagnolo, guidato dal celebre Consalvo di Cordova, meglio conosciuto come il “Gran Capitano”, e quello francese affidato al comando del marchese di Saluzzo.

Gli Spagnoli, dopo aver occupato Napoli, marciavano in direzione di Gaeta mentre i francesi, facendo perno su quella inespugnabile fortezza, li aspettavano sulle sponde del fiume decisi a sbarrare loro il passo.

Dopo qualche giorno di stasi, gli spagnoli, dopo aver simulato una ritirata sul fronte del Volturno, gettato sul Garigliano un ponte di barche, passarono senza essere notati sull’altra sponda, prendendo alle spalle i francesi, che presidiavano il ponte.

Dopo aver resistito per qualche tempo il Saluzzo ordinò la ritirata per non correre il rischio di essere presi alle spalle.

I francesi andarono a chiudersi a Gaeta e gli spagnoli iniziarono subito l’assedio che durò soltanto pochi giorni in quanto, constatata la situazione ormai molto compromessa, i difensori reputarono opportuno non prolungare l’agonia e il 31 dicembre innalzarono sui bastioni di Gaerta la bandiera bianca della resa.

Con la vittoria ottenuta nella battaglia del Garigliano gli Spagnoli si assicurarono il possesso della parte meridionale della Penisola e, nello stesso tempo, estesero il loro controllo anche su buona parte degli stati italiani.

Iniziava da questo momento il periodo che nei libri di

scuola viene definito della “dominazione spagnola” in Italia, periodo che si protrasse per più di duecento anni, fino al primo decennio del XVIII secolo.

Il marchese di Saluzzo, che aveva comandato l’esercito francese e che aveva perduto una battaglia così importante specialmente per gli esiti che andava a determinare, non sopportando la grave onta della sconfitta, qualche giorno dopo, era il 27 gennaio del 1504, mori a Genova stroncato dal crepacuore.

Gli eventi del 1860

L’ultimo evento di cui voglio parlare è quello connesso con i fatti che nel 1860 videro iniziare il tumultuoso processo che qualche mese dopo condusse all’unità d’Italia.

La sconfitta del Macerone (20 ottobre 1860) indusse i borbonici ad abbandonare in tutta fretta la linea del Volturno ed a ritirarsi, in un primo momento, nella zona tra Calvi, Teano e Sessa, abbandonando al suo destino la fortezza di Capua.

La posizione di Teano, però, venne considerata troppo debole per essere tenuta a lungo e così si decise di arretrare ancora, attestandosi sulle sponde del Garigliano, nei pressi di Minturno e Scauri.

Cialdini si gettò all’inseguimento del napoletani per cercare di impegnarli in battaglia prima ancora che si fossero attestati sul nuovo fronte difensivo.

Ma la ritirata borbonica si svolse in maniera ordinata, con i reparti della retroguardia, agli ordini del maresciallo Von Mechel, che proteggevano la marcia dagli attacchi nemici.

Un combattimento particolarmente violento si ebbe il 26 ottobre nel villaggio di San Giuliano (Teano) e a Santa Maria La Piana (Sessa Aurunca).

Qui la brigata “Bergamo” e i bersaglieri si scontrarono con i “Cacciatori” di Polizzy e con la brigata estera di Mortillet, tra i migliori reparti borbonici, mentre il generale Negri con le sue artiglierie falcidiava i piemontesi, infliggendo loro gravi perdite e costringendoli a battere in ritirata.

La sera di quello stesso giorno l’armata del generale Salzano, che aveva sostituito al comando il parigrado Ritucci, poteva schierarsi in tutta tranquillità sulla sponda settentrionale del Garigliano.

Il 29 ottobre Cialdini, furioso per lo smacco subito tra Teano e Sessa dove, tra morti e feriti, aveva accusato una cinquantina di perdite, sferrava un poderoso attacco, con più di tremila uomini, per cercare di scompaginare la linea di difesa napoletana.

Ma nei pressi del ponte sul Garigliano incontrò la fiera resistenza dei borbonici che, guidati dal maresciallo Colonna e dal generale Negri, si batterono valorosamente.

E ancora una volta, dopo un serrato combattimento, fu costretto a retrocedere.

Il generale Negri fu l’anima della resistenza, sempre in prima linea a dirigere ed a incitare i suoi soldati.

Ferito gravemente ad un piede e all’addome, cadde dicendo ai suoi ufficiali: “Difendete questo passo e vinceremo”.

Condotto in una casa della vicina Scauri, dopo qualche ora spirò tra le braccia del fratello.

Il suo corpo fu trasportato a Gaeta e, dopo solenni esequie alle quali parteciparono anche il re Francesco II di Borbone e la regina Maria Sofia di Baviera, fu sepolto nella cattedrale dove tuttora riposa.

I napoletani avrebbero potuto sfruttare meglio la situazione gettandosi all’inseguimento del nemico che si ritirava in disordine ma, l’aver tolto le tavole al ponte sul Garigliano (in un primo momento si era addirittura pensato di far saltare il ponte con l’esplosivo), condannandosi una volta di più ad una campagna bellica esclusivamente difensiva, rese impossibile la manovra e vanificò una ghiotta opportunità.

Attestati sulle sponde del fiume i borbonici correvano, però, il serio pericolo di essere aggirati da parte dei piemontesi che tentavano di prenderli alle spalle, avanzando dalle parti di San Germano (Cassino) e Pontecorvo.

Per questo motivo alcuni reparti del genio ricevettero l’ordine di far crollare il “ponte curvo” di Pontecorvo, quello di Spigno e tutti i passaggi e le “scafe” esistenti da San Giorgio alla foce del Garigliano.

Ma così facendo l’esercito napoletano si precludeva qualsiasi chance di controffensiva, andandosi a chiudere in un angusto lembo di terra dove era arduo resistere agli attacchi piemontesi che potevano arrivare da terra ma anche dalla flotta di Persano che, dal largo di Scauri, aveva già iniziato a bombardare le postazioni borboniche.

Anche se, come annota il canonico Buttà, le navi di Persano “non si avventuravano più a spingersi risolutamente in avanti, facendo come que’ cani che vi perseguitano latrando se fuggite, ma fuggono essi quando lor mostrate il viso ed il bastone”.

Ciò anche per non entrare in collisione con la flotta francese di Barbier de Tinan, ormeggiata davanti a Gaeta.

E così, anche se di tanto in tanto cadeva qualche proiettile, il 1° novembre, nel campo borbonico nei pressi del Garigliano, si tenne una messa molto partecipata per festeggiare la ricorrenza di tutti Santi.

La situazione sembrava essere entrata in una fase di stallo quando, su sollecitazione giunta da Londra, Napoleone III ordinò al suo ammiraglio di non ostacolare le manovre delle navi piemontesi e di limitarsi soltanto a sorvegliare Gaeta.

Il 2 novembre ripresero fitti i bombardamenti dalle navi di Persano che stazionavano in quel braccio di mare, appoggiate da barconi armati di bersaglieri che tentavano di approdare per prendere i difensori alle spalle.

Il che indusse lo stato maggiore borbonico ad ordinare la ritirata a Mola di Gaeta (l’odierna Formia), adagiata sulla via Appia.

Ancora una volta i napoletani si batterono con grande ardimento e valore, grazie soprattutto al sacrificio del capitano Domenico Bozzelli, che con due sole compagnie del 6° Cacciatori (più o meno duecento uomini) si sacrificò fino all’estremo, consentendo il ripiegamento sulla nuova linea difensiva.

Dopo aver impedito il passaggio del fiume ai piemontesi per un’intera giornata e non avendo ottenuto “l’onore delle armi da un nemico che non sapeva riconoscere l’eroismo e l’onore se non quando la cosa interessava le sue truppe, preferirono soccombere tutti grazie al coraggio ed all’esempio dato dal capitano Bozzelli”.

Viene da pensare che se la gran parte degli ufficiali napoletani avessero avuto la tempra del generale Negri o del capitano Bozzelli, oggi la storia da raccontare sarebbe stata molto diversa.

E invece le cose andarono come tutti sappiamo.

Dopo lunghi mesi di assedio e un fitto, crudele e all’atto pratico inutile bombardamento, ordinato dal truce generale Cialdini, la fortezza di Gaeta fu costretta a capitolare il 13 febbraio del 1861.

I regnanti borbonici si trasferirono a Roma ospiti del pontefice Pio IX e un mese dopo, il 17 marzo, ci fu la proclamazione del Regno d’Italia.

Dopo un secolo e mezzo, o giù di lì, il glorioso Regno di Napoli, poi delle Due Sicilie, governato dalla dinastia borbonica, cessava di esistere.

E qui si conclude anche la mia esposizione sui principali eventi che videro come protagonista il “taciturnus amnis”, ovvero sia il fiume Garigliano e il suo ponte, diventato poi “Ponte Real Ferdinando” dal nome del sovrano che ne commissonò la mirabile costruzione all’ingegnere Luigi Giura.

Ad onor del vero ci sarebbe da parlare di altri importanti accadimenti quali quelli connessi con gli eventi del 1799 che molto interessarono, purtroppo in maniera drammatica specialmente Castelforte e Traetto, oggi Minturno, ed anche degli eventi, altrettanto drammatici e a noi temporalmente più vicini, della seconda guerra mondiale.

Ma, siccome il tempo è per definizione tiranno, di queste altre cose parleremo magari in una prossima occasione.

Un sentito ringraziamento agli organizzatori di questo evento, che ha consentito di rievocare pagine ormai dimenticate di storia e, soprattutto, un ringraziamento a voi tutti per la cortese attenzione

Baia-Bacoli, li 7 ottobre 2018

 

Fernando Riccardi

 

 

 

 

 

 

1 Comment

  1. bellissima questa carrellata di tre millenni di storia intorno al fiume Garigliano… credo che nessun fiume d’Italia ne abbia vissuta tanta, e tutta documentata!… peccato che non la si conosca,… neppure nelle zone interessate ne faranno cenno le scuole dove non si insegna più niente, ed è un vero peccato!

    complimenti all’ Autore! caterina

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