C’ERA UNA VOLTA … 29 GIUGNO, SAN PIETRO LA FIERA DEL BESTIAME
Sessa è stata da secoli un importante punto d’incontro commerciale per l’abbondanza e la peculiarità di molti prodotti agricoli ma anche per l’allevamento di bovini e ovini e per tale motivo gli appuntamenti con le sue Fiere annuali erano ben noti e rispettati da compratori e venditori di un’ampia zona.
L’ Annuario del Regno d’Italia 1896 postato su Sessafotoestoria da Gianni Bencivenga alcuni giorni fa, le cita riportando anche le date: 25 marzo, Mercoledì Santo, Ascensione, 29 giugno, l’Addolorata a settembre, ma solo quella di giugno, la Fiera di San Pietro, viene riportata come fiera esclusivamente di bestiame e non mercato generale e come tale viene ancora riportata dall’ Annuario generale d’Italia e dell’Impero ( 1935) (anch’esso qui precedentemente pubblicato).
L’elemento interessante è che dopo appena quarant’anni le Fiere elencate sono passate da 5 a 10 il che denota chiaramente un vistoso incremento delle attività non solo legate alla zootecnia ma anche generalmente commerciali. Diciamo subito che oggi sono pochi quelli che ormai anziani possono ricordarne due o tre. Per i mutamenti dell’economia e dell’ambiente sono tutte scomparse, soprattutto nel dopoguerra, l’ultima a scomparire in tempi più recenti è stata quella dell’ Addolorata perché coincideva ogni sette anni con una grande festa religiosa. Anche la loro ubicazione è certamente cambiata nel tempo, per logici motivi esse si tenevano sempre in spazi aperti a nord o a sud di Sessa, prima nell’area successivamente diventata Campo Cappuccini e negli ultimi tempi a nord, nella zona tra la Torre di Mazzarella e l’Ospedale.
Come si vede dall’unica (forse) foto disponibile e risalente agli anni ’30, la presenza più numerosa era di vacche e buoi, indispensabili nei campi per i lavori agricoli e per la produzione del latte più che per la carne. Infatti fino agli anni ’50 il consumo di carne bovina, per motivi economici, era piuttosto ridotto a vantaggio del consumo di pollame, conigli e per buona parte dell’anno anche di cacciagione allora abbondante. Gli allevatori in zona erano diversi (alcuni citati negli Annuari) e le loro bestie apprezzate data l’ottima qualità dei foraggi. Gli animali naturalmente provenivano da tutto il circondario, ma ogni zona aveva una prevalenza: da Cellole e dalla Piana venivano soprattutto bovini mentre dalle zone collinari delle Toraglie venivano capre, pecore e muli.
I maiali non erano presenti perché avevano il loro caratteristico mercato settimanale del mercoledì (ancora alla fine degli anni ’50) quando in gran numero, ma in piccoli gruppi, arrivavano a Sessa dalle campagne vicine. Negli ultimi anni il loro mercato si teneva nello spiazzo di San Domenico (nella foto è un luogo diverso) e poiché non era possibile il loro trasporto sui mezzi dell’epoca (carretti e traini), era uno spettacolo, almeno per noi ragazzi, vederli arrivare dal primo mattino con un coro di grugniti dietro solitamente una contadina che li precedeva, lasciando cadere ogni tanto, da un paniere al braccio, una manciata di ghiande per spronarli a procedere e per evitare che si sbandassero in tutte le direzioni. Inutile dire che questo era un mercato florido perché il maiale era allevato da tutti i contadini e fino a non molti anni fa anche in tante case dei paesi, Sessa inclusa, perché rappresentava una vera e propria “dispensa” di cibo per i lunghi inverni. Alle compravendite era possibile servirsi della “consulenza” di esperti “sanzani”, ognuno nel suo campo di esperienza, presenti sul posto per facilitare le trattative. Per i maiali per esempio c’era Francesco Asciolla più noto come “Cicciglio Ciccotto” il cui soprannome era una onomatopea già indicatrice delle sue competenze. Chi non aveva la possibilità di farlo direttamente spesso il maiale se lo cresceva “ ‘a parte” cioè lo comprava piccolo e lo lasciava ad un contadino che lo allevava e col quale quand’era il momento lo divideva.
Riportando il discorso alle Fiere, è chiaro che tra i vari quadrupedi erano i cavalli, specialmente quelli di razza “salernitana”, gli animali più ricercati dopo l’asino e il mulo, i cavalli che hanno da sempre assicurato la mobilità e i trasporti di carretti, traini, calessi e delle meno plebee carrozze e il possederne di buona qualità era indizio di competenza, prima che di possibilità ecco perchè le famiglie più in vista della zona affidavano ai loro “fattori” la scelta e l’acquisto delle bestie migliori. Anche in questo caso logicamente ci si poteva avvalere di “sanzani” esperti non solo nella contrattazione ma soprattutto nella “qualità” dell’animale, ultimo tra i molti, il “ghieppo” al secolo Michele Bonelli, cavallaro, o in passato “Giacchinieglio”, un metro e quaranta di statura, la cui caratteristica era di presentarsi sempre con un bastone appeso al braccio come indicazione del suo “mestiere”.
E parlando di cavalli alle Fiere non mancavano mai gli “zingari” che si occupavano di compravendita solo di questi, anche se di capi di più scarso valore. La loro presenza era sempre motivo di apprensione per il paese data la numerosa presenza delle loro donne al seguito, zingare dai capelli nerissimi e vesti lunghe variopinte che non hanno mai avuto peò una buona nomea.Attorno ai cavalli, a differenza degli altri animali, ruotava tutta una serie di competenze, di artigiani e dei loro prodotti che meritano di essere qui ricordati, a cominciare dai maniscalchi, a Sessa tutti bravi ma nessuno forse quanto il mitico Cicciglio “Stella” curiosamente notissimo per ben altro e cioè per la sua bravura come cantante da tenore.
Pochi sanno forse che Cicciglio (Francesco Monaco) l’arte di ferrare i cavalli l’aveva imparata presso la culla dell’equitazione e cioè la Scuola di Cavalleria di Pinerolo. Per questo gli era capitato anche di vedersi portare qui a Sessa un cavallo da corsa che valeva milioni ma che nessun maniscalco dell’Ippodromo di Agnano era riuscito a correggere nella ferratura che evidentemente lo limitava. Ebbene Cicciglio, dopo aver sostituito i quattro ferri con alcuni dei suoi lo rimise a posto e lo provò anche facendolo correre su e giù sulla strada fino al Cimitero. Alle fiere i cavallari si distinguevano subito perché usavano portare sulle spalle le lunghe fruste, cioè la bacchetta col “corrione” e la “puntetta” che per spavalderia, come tutti i carrettieri, sapevano far “sparare” cioè schioccare in aria sfidandosi a chi fosse più bravo.
Cavallo significava anche bardatura e le bardature ( ri uarnimienti) di produzione sessana (è giusto che si sappia) cuciti sapientemente a mano erano molto richiesti sui mercati fuori zona. Insieme alle ottime “bacchette” a cui deve il soprannome la famiglia Buricco, sellai da generazioni, altra “specialità” sessana erano le “capezze” ricoperte con i peli di “tasciuta” (cioè di tasso) molto belle ma costose. La Fiera iniziava presto la mattina, già verso le quattro uomini e animali cominciavano ad affluire negli spazi tradizionalmente preparati e dove le trattative sarebbero andate avanti per tutta la mattinata. C’è da dire in proposito che le trattative, brevi o lunghe che fossero, erano condotte secondo regole tanto antiche quanto semplici e, alla presenza del sanzano, bastava una stretta di mano fra gente che con carta e penna aveva poca dimestichezza.
A mezzogiorno più o meno tutti si concedevano un meritato ristoro prima di rientrare ai loro paesi, mangiando qualcosa nelle varie osterie del tempo fra le quali la più frequentata pare fosse quella di “Rosalia ‘a cantinera” in Piazza Mercato per la squisitezza della sua “trippa”, piatto immancabile insieme a un buon bicchiere di vino (meglio se due) e un’allegra chiacchierata. Tradizionalmente ogni località fieristica aveva per queste occasioni un piatto abitualmente consumato, a Teano per esempio, per la Fiera di Sant’Antonio, non trippa ma “pesce marinato” e anguille fritte. Quasi sempre il pranzo, seppur modesto, finiva con una di quelle ormai dimenticate cantate “a fronna ‘e limone”, se qualcuno dei presenti era notoriamente conosciuto come bravo improvvisatore. Per i più giovani spieghiamo che le canzoni suddette erano delle vere e proprie improvvisazioni che richiedevano appunto un bravo improvvisatore al cui mottetto iniziale un altro rispondeva tenendosi sullo stesso tema; esse riecheggiavano i belli e vari canti campagnoli “a mete” e “a scugnà” nei quali si alternavano nei tempi passati le squadre di mietitori.
E così piano piano ci si avviava al ritorno a casa dopo una giornata faticosa per tutti che, soprattutto per chi doveva vendere e non comprare, era certamente iniziata già alle due della notte precedente, quando ci si metteva all’opera per preparare le bestie in modo che apparissero ben pulite, ben strigliate e col pelo lucido. Gli accorgimenti per questo risultato erano diversi e in proposito mi è stato raccontato un episodio accaduto, in occasione appunto di una Fiera, molti anni fa qui a Sessa quando un contadino della zona portò a vendere una coppia di asini, all’apparenza belli, soprattutto il maschio ben tenuto e dal pelo lucidissimo. Un massaro di Mondragone dopo lunga trattativa lo comprò e per provarne la tenuta gli salì anche in groppa. Il problema nacque quando l’acquirente, rimessi i piedi a terra, si rese conto che i suoi bei pantaloni nuovi di velluto avevano sul posteriore due grosse macchie nere. Ne nacque una lite che per poco non finì a coltellate. Il venditore dovette restituire il prezzo dell’asino ma anche quello dei pantaloni e certamente da allora per lucidare il pelo dei suoi asini non usò mai più la “cromatina”.
Prof. Antonio Varone
fonte
Ringrazio gli amministratori per la precisazione a margine del mio articolo sulla Fiera, precisazione da me sollecitata e della quale mi scuso non avendo dubbi che si sia trattato di una involontaria omissione. Colgo l’occasione per esprimere il mio apprezzamento per una pagina culturale come questa che merita tutta l’attenzione di cui gode. Cordialmente.
Antonio Varone
egr. prof. varone mi scuso per l’inconveniente che non doveva accadere. a parziale giustificazione è che nella fonte non è citato l’autore, o mi è sfuggito, altrimenti lo avremmo fatto come è nostra abitudine. con la presente vi prego di accettare le nostre scuse e vi informo che siamo a vostra disposizione se volesse pubblicare qualcosa. l’occasione ci è gradita per porgere cordiali saluti
claudio saltarelli
gia fatto, nella fonte originale non c’era l’autore altrimenti lo avremmo messo come nostra abitudine. ci scusiamo per il disagio, cordialmente
claudio saltarelli
Buongiorno e grazie per la condivisione di questo post di SessaFotoeStoria.
Vi chiedo gentilmente di menzionare anche l’autore il Prof. Antonio Varone. Grazie
Trovo molto scorretto proporre un articolo (29!San Pietro – la fiera del bestiame ) senza citarne l’autore. Citarne la fonte in tal caso non basta e chiedo che venga corretto come dovuto. Articolo di Antonio Varone