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Chiesa e massoneria, le ambiguità del cardinale

Posted by on Ott 21, 2018

Chiesa e massoneria, le ambiguità del cardinale

Dopo la lettura dell’articolo del cardinale Gianfranco Ravasi, “Cari fratelli massoni”, (Sole 24 Ore di domenica), resta la sgradevole sensazione che il dialogo fra Chiesa cattolica e massoneria vada ufficializzato, superando la secolare contrapposizione frontale. Ma l’articolo del cardinale Ravasi lascia spazio a molte ambiguità.

 

Padre Rosario Esposito (1921-2007), religioso paolino che alla fine della vita ha deciso di rendere pubblica la propria affiliazione alla massoneria, ha calcolato che la Chiesa ha emesso 586 condanne contro l’ordine dei liberi muratori. Moltissime. La ragione di tanto reiterato interesse da parte dei Papi è principalmente dovuta all’instancabile azione lobbistica dei fratelli che non smettono mai, all’indomani di ogni nuova condanna, di professarsi tutt’atro che ostili alla Chiesa cattolica. I Papi non avrebbero visto giusto e, in ogni caso, il nuovo tipo di massoneria avrebbe abbandonato ogni forma di ostilità nei confronti della Chiesa.

La prima condanna antimassonica è emessa da Clemente XII nel 1738 solo pochi anni dopo la fondazione della Gran Loggia di Londra nel 1717. Tenuto conto che ripetuti giuramenti vincolano al segreto i fratelli massoni per tutto quanto riguarda la vita di loggia, tenuto conto anche che la violazione del patto stipulato comporta la pena di morte, la tempestività della condanna è prodigiosa. Nella lettera apostolica In Eminenti papa Corsini specifica che il suo pronunciamento riguarda tutte le associazioni di tipo massonico, indipendentemente dal nome con cui vengono chiamate. Particolare di non poco conto.

L’ultimo pronunciamento a carico della massoneria è emesso il 26 novembre 1983 dal cardinal Ratzinger, allora Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, che scrive con l’esplicita approvazione del Santo Padre Giovanni Paolo II. La secolare condanna è ribadita nei termini più netti. La motivazione della reiterazione del pronunciamento è dovuta –una volta di più- al non aver il Codice di Diritto Canonico del 1983 esplicitamente condannato la massoneria: dalla mancata ripetizione della scomunica le logge deducono (meglio, affermano e divulgano di dedurre) che l’ostilità ecclesiastica nei loro confronti è finita. 

Questo rapido excursus è necessario per cercare di capire l’articolo (“Cari fratelli massoni”) che è stato pubblicato da Il Sole 24 Ore domenica 14 febbraio a firma del cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura. Il cardinale dà risalto a «un interessante volumetto» che, oltre alla Dichiarazione di Ratzinger, riporta «due documenti di altrettanti episcopati locali, la Conferenza episcopale tedesca (1980) e quella delle Filippine (2003)». A partire dall’analisi di questi testi Ravasi giunge alla conclusione che, proprio come scrivono i vescovi tedeschi, «bisogna andare oltre “ostilità, oltraggi, pregiudizi” reciproci, perché “rispetto ai secoli passati sono migliorati e mutati il tono, il livello e il modo di manifestare le differenze” che pure continuano a permanere in modo netto».

Cosa dicono i vescovi tedeschi? Ripercorriamo i punti salienti della Dichiarazione nell’ordine in cui vengono menzionati: è possibile ipotizzare un nuovo rapporto fra Chiesa cattolica e massoneria, si domandano i presuli? «L’opinione che la Libera Muratoria si fosse a tal punto trasformata, che la precedente posizione della Chiesa fosse superata» è stata diffusa tramite «un’ampia attività rivolta alla pubblica opinione, in forma di convegni, sedute aperte di logge, pubblicazione di libri, articoli in giornali e riviste» (curiosamente la Dichiarazione parla di articoli in giornali). I vescovi precisano: l’opinione menzionata fu favorita da un certo modo, completamente falso, di interpretare l’ultimo Concilio «come se la Chiesa avesse abbandonato l’idea orientatrice di una verità obiettiva, sostituendola con quella della dignità umana. Ne conseguirebbe un rapporto di vicinanza fra la Chiesa cattolica e la Libera Muratoria». 

Le cose non stanno così perché «la Libera Muratoria mette in questione la Chiesa in modo fondamentale».  É vero che «sono migliorati e mutati il tono, il livello e il modo di manifestare le differenze» come è vero che la Chiesa sa di dover collaborare «quando si tratta del raggiungimento di fini umanitari e caritativi» (e quando mai è successo il contrario?), ma è altrettanto vero che «La Libera Muratoria non è mutata nella sua essenza» e che quindi «l’appartenenza contemporanea alla Chiesa cattolica e alla Libera Muratoria è esclusa». Le dichiarazioni di incompatibilità non «impediscono, però, il dialogo», scrive Ravasi. La notazione è curiosa perché non c’è periodo storico in cui la Chiesa non sia stata aperta al confronto. E questo vale dall’inizio. 

A cominciare dalla Prima lettera di Pietro («pronti sempre a rispondere a chi vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto»), per continuare con tutto il pensiero filosofico cristiano (vedi la Città di Dio di Agostino o la Summa di Tommaso). Alla massoneria appartiene invece la teorizzazione di un tipo di dialogo particolare, funzionale alla scomparsa della verità cattolica: «Il gran punto sta nel dividere dal Papa il maggior numero possibile di cattolici […] Modo lento, ma certo, a combattere e spegnere il mostro chiamato superstizione cattolica, il quale s’incarna nel Papa e nell’esercito clericale, sì numeroso e sì bene ordinato, è la libera discussione, il cui suono rintrona ormai fin entro le mura del Vaticano», scrive nel 1871 il massone Giuseppe Ricciardi.

Dopo aver parlato di dialogo, il cardinale scrive una frase allusiva che risulta incomprensibile: bisogna «superare quell’atteggiamento di certi ambienti integralisti cattolici che –per colpire alcuni esponenti anche gerarchici della Chiesa a loro sgraditi- ricorrevano all’arma dell’accusa apodittica di una loro appartenenza massonica». A chi si riferisce Ravasi? Chi sono coloro che screditano alcuni membri della gerarchia (quali?) addebitando loro un’appartenenza massonica non dimostrata? L’arma di cui parla Ravasi ha un nome preciso, si chiama calunnia. L’accusa andrebbe pertanto circostanziata, trattandosi di materia grave. Altrimenti si tratta di fare di tutta l’erba un fascio.

Forse non sarebbe stato male, oltre alla citazione di un documento prodotto da una singola Conferenza episcopale, fare qualche cenno al ricchissimo, sempre chiaro e netto magistero pontifico, magistero che mette ripetutamente in evidenza anche il carattere satanico del progetto massonico. Cosa rimane dalla lettura dell’articolo di Ravasi? La sensazione che il dialogo fra massoneria e Chiesa cattolica vada ufficializzato, superando la secolare contrapposizione frontale. Non sarebbe male se, per l’ennesima volta, la Santa Sede tornasse a pronunciarsi contro la massoneria. 

Angela Pellicciari

 

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