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COME MORI’ FERDINANDO II, NUOVE IPOTESI SUL COMPLOTTO

Posted by on Nov 16, 2019

COME MORI’ FERDINANDO II, NUOVE IPOTESI SUL COMPLOTTO

Non c’è da sperare in una storiografia accademica più oggettiva ed equilibrata neanche a 150 anni dalla morte di Ferdinando II, ma le ricerche di studiosi indipendenti, uniti ad una memoria popolare mai estinta e sempre più diffusa, continuano a rivalutare il Sovrano. …………..

Intanto, sulle ragioni della morte di Ferdinando II si affacciano nuove ipotesi che alimentano i dubbi sull’origine della malattia che lo stroncò il 22 maggio 1859, a 50 anni non ancora compiuti, e danno forza alla tesi dell’avvelenamento. Su questi argomenti Lettera Napoletana ha intervistato il prof. Gennaro De Crescenzo, studioso e presidente del Movimento Neoborbonico.

D. Possiamo sperare in una storiografia meno faziosa sulla figura e le opere di questo Re?

R. I 150 anni trascorsi possono fare sperare in una storiografia più equilibrata su Ferdinando II e sulla stessa unificazione italiana: ma non parliamo della storiografia ufficiale. Quella, purtroppo, continua a raccontarci una storia piena di retorica, di mistificazioni e di omissioni. E Ferdinando II è ancora quello delle leggende nere (e tutte false). La verità storica, invece, si diffonde sempre più grazie alle ricerche compiute dagli storici non “professionisti” ma spesso più scrupolosi e attendibili di quelli delle università o degli istituti di cultura lautamente finanziati con pubblico denaro.

D. Che cosa ha significato per il Regno delle Due Sicilie il governo di Ferdinando II ?

R. Considerati i pochi mesi di governo di Francesco II, Ferdinando fu l’ultimo vero Re delle Due Sicilie: l’ultimo Re a rappresentare un Sud forte, autonomo, ricco di primati positivi che camminava sulle sue gambe e a testa, altissima, in Italia e nel resto dell’Europa e del mondo. Conosciuti, rispettati e temuti, gli antichi Popoli delle Due Sicilie si sentivano rappresentati da quel Re che somigliava a loro e che, come loro, parlava usando la lingua napoletana. Parliamo del Re della Napoli-Portici, delle opere pubbliche e delle bonifiche, dei ponti sospesi in ferro o delle grandi fabbriche metalmeccaniche di Pietrarsa o di Mongiana, delle grandi flotte mercantili e militari o dei cantieri di Castellammare, del Re che seppe regalarci i primati di un’industrializzazione e di un sistema fiscale tra i meno pesanti al mondo…

D. È opinione diffusa che, se Ferdinando II non fosse morto a soli 49 anni, l’invasione piemontese e garibaldina sarebbe stata fermata. Si può concordare su questo giudizio?

R. Se Ferdinando non fosse morto nel 1859, Garibaldi non sarebbe mai sbarcato in Sicilia e l’Italia non sarebbe stata unificata (e certamente non nel 1860). La consapevolezza, la fermezza e la lucidità di Ferdinando avrebbero impedito leggerezze e tradimenti e noi oggi, forse, continueremmo a essere Napoletani con la maiuscola. I carteggi dell’ambasciatore piemontese a Napoli con Cavour e la stampa internazionale dimostrano che i nemici del Regno aspettavano e favorirono la fine di quel Re troppo cattolico e troppo napoletano con il quale non si poteva trattare o scendere a patti o a compromessi. È significativa l’ironia di Ferdinando che, dopo l’attentato di Agesilao Milano, si preoccupa di “avvisare Torino delle sue ottime condizioni di salute”… Alla notizia, invece, che il granduca di Toscana aveva lasciato la sua città per una rivolta militare reagì gridando: «imbecille, è andato, non è degno di ritornarci» (il che ci rende l’idea di come si sarebbe comportato all’arrivo di Garibaldi a Napoli, ammesso che lo avesse mai fatto arrivare…. )

D. Lei sta studiando l’attentato di Agesilao Milano, episodio legato al sospetto di un avvelenamento di Re Ferdinando. Ci sono elementi nuovi che emergono?

R. Storici come Giacinto de’ Sivo o letterati come Ferdinando Russo hanno sostenuto la tesi dell’avvelenamento e del complotto. Ho microfilmato un opuscolo raro conservato nella Biblioteca di Firenze di un tale Catanoso, che descrive nei dettagli l’avvelenamento organizzato dai “settari”, riferendosi in particolare a quel Monsignor Michele Caputo che ospitò ad Ariano Irpino il Re nel gennaio 1859, durante il viaggio verso Bari per accogliere Maria Sofia di Wittelsbach, sposa di Francesco. Da quella notte i sintomi della malattia di sarebbero manifestati fino a portare alla morte Ferdinando dopo quattro mesi di agonia. Si tratta di quel Monsignor Caputo che si mise fuori dalla Chiesa e passò con Garibaldi vantandosi spesso di avere avvelenato il Re… Gli elementi di certezza per affermare che il Re morì avvelenato si potrebbero, però, avere solo da esami sui resti del corpo conservato a Santa Chiara. Più certa, invece è la tesi del complotto che da anni si stava organizzando per eliminare fisicamente l’ostacolo maggiore che si opponeva e si sarebbe opposto all’unificazione-conquista piemontese. Dal quadro clinico che ho sottoposto recentemente al prof. Gino Fornaciari, docente di Anatomia Patologica e Paleopatologia dell’Università di Pisa, risulterebbe, invece, una morte causata da un “ascesso saccato” procuratogli dalla ferita del famoso attentato subìto l’8 dicembre del 1856 per opera di Agesilao Milano. Finora la storiografia ufficiale ha minimizzato l’episodio e spesso lo ha giustificato come il gesto di un folle, ma il quadro appare molto più complesso e inquietante. Quello che emerge dallo studio delle carte sull’inchiesta ed il processo contro Agesilao Milano è un quadro sostanzialmente inedito in cui figurano, più volte, liberali, inglesi, massoni e murattiani insieme a figure come quelle di Cavour e di Mazzini. Un vero e proprio giallo internazionale: il Piemonte che “finge” di non sapere e di non intervenire (con la stessa tecnica del 1860), la massoneria che coordina e finanzia con il denaro britannico, alcuni generali dell’esercito napoletano coinvolti nell’inchiesta e artefici di un processo stranamente troppo rapido che portò alla morte di Milano dopo cinque giorni… Di fatto si trattò di un complotto andato a buon fine con qualche anno di ritardo che probabilmente era stato ordito più volte. Ne viene fuori l’immagine di un Regno la cui fine fu senz’altro eterodiretta. Altro che “implosione”, come si continua a raccontare nelle scuole, e altro che “risorgimento italiano”: siamo di fronte ad azioni terroristiche e regicidi tutt’altro che in linea con la retorica alla quale ci hanno abituati.

(da Lettera Napoletana a cura di editoriale “Il Giglio”www.editorialeilgiglio.it)

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