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COMPENDIO DELLA STORIA PATRIA OVVERO DEL REAME DELLE DUE SICILIE DALLA SUA ORIGINE SINO AI TEMPI NOSTRI DI DOMENICO PANDULLO (III)

Posted by on Lug 6, 2025

COMPENDIO DELLA STORIA PATRIA OVVERO DEL REAME DELLE DUE SICILIE DALLA SUA ORIGINE SINO AI TEMPI NOSTRI DI DOMENICO PANDULLO (III)
RUGGIERO I

Il regno di Ruggiero I fu quello di un monarca valoroso e prudente, l a Monarchia fu propriamente fondata nel 1130, allorquando Ruggiero I. figliuolo del gran conte di Sicilia, assunse il titolo di Re di Sicilia e di Puglia, ed ebbe da Anacleto II e da Innocenzo l’investitura della Sicilia, della Puglia, della Calabra, del principato di Capua e del Ducato di Napoli.

Questo principe promulgò pe’ suoi sudditi un codice di leggi, che poser freno alla tirannia feudale. Uno de’ suoi più gran benefizi fu l’istituzione dei parlamenti. Il regno fu general mente ordinato sopra le leggi longobarde, e particolarmente con leggi proprie feudali, e l’amministrazione fu poggiata sopra sette cariche principali, di cui ognuna avea le sue depennenze sotto lo stesso nome. I setti ufizi creati pel governo generale di tutte le bisogne pubbliche e private, del Regno o della Corona, furono: Gran Contestabile, Grande Ammiraglio, Gran Cancelliere, Gran Giustiziere, Gran Camerario, Gran Protonotario, Gran Siniscalco: e per l’amministrazione della giustizia i Balii ed i Giustizieri nelle province e nelle città principali; i Capitani ed i Castellani nelle città di minor conto, a stabilire molte leggi e molte istituzioni, conformi ai principii del governo feudale. Ruggiero risultò sempre vittorioso in tutte le guerre ch’ebbe a sostenere. Nella prima di queste il papa e Lotario, imperator d’Occidente, eransi contro a lui tra di loro collegati; ma Ruggiero forzò Lotario a far ritorno ne’ suoi stati d’Alemagna, e fece, del pari che i suoi maggiori, prigioniere il pontefice. Poscia il vinse la pietà, e, sì come gli avoli suoi, fece omaggio dei suoi stati al successore di Pietro, e contrasse l’obbligo di pagare alla corte di Roma un annual tributo di seicento schifati, cd ottenne dal papa Lucio li l’uso dell’anello, de’ sandali, dello scettro, della mitra della dalmatica. Convocò varie assemblee in Ariano e in Capua, fermò sua sede in Palermo, e dalla Sicilia portando le sue armi in Africa, sottomise Tripoli, Tunisi, Sface, Capua, passò in Grecia, ed insignorissi di Mutine, di Corfù, della Morea, di Corinto; di Acaia, di Tebe. Dopo avere speso gli ultimi anni di sua vita in costruire monumenti, in cui la magnificenza all’utilità si allegava, morissi in età di 58 anni nel 1154 Ebbe tre mogli di cui non gli restarono figliuoli, salvo che Costanza e Guglielmo. Quest’ultimo, vivente il padre, fu coronato Re di Sicilia nel 1151e Costanza divenne a 30anni moglie dell’imperatore Enrico.

GUGLIELMO II il MALO

GUGLIELMO, molto via diverso a suo padre, fu di tanta indolenza che le redini del governo furon affidate ad odiosi favoriti, i quali non ¡stando contenti ad arricchirsi delle spoglie del popolo, avvisavansi pur anche del modo onde svestire lo stesso re del velo della sua autorità. Imperò asperatisi gli animi dei suoi suggelli, e a lui disaffezionati, sorsero molti tumulti nel regno e varie ribellagioni, nel comporre i quali mostrò poi accorgimento cd animo grande, che sopravveduto e riguardoso erosi fatto. Il principe avea dapprima abbandonato il governo a Maione, figliuolo d’un mercatante d’olio da Bari, ma addatosi dopo lunga pezza d’aver moltissimi sudditi rubelli, il papa e gl’imperatori d’Oriente e di Occidente nemici, guidando egli medesimo le sue schiere, percorse il regno, appiccò la battaglia co’ baroni ribellanti e li sommise, punì molte città, in tra le quali Bari fu adeguata al suolo, strinse d’assedio Bene vento, ove erasi inchiuso papa Adriano, e, appaciatosi, fermò l’accordo col pontefice, il quale diè l’investitura del regno non solo al re ed al figliuolo di lui Ruggiero, ma a chiunque trasferisse il re la corona, e conchiuse con l’imperatore d’Oriente sì stabilmente la pace che non fu più guerra tra’ Normanni e gli imperatori orientati.. Questi fatti così terminali, meritossi il nome di Grande. Ma egli fu pur domandato il Malo, perché venuto in discordia con la Santa Sede, e però scomunicato: ancora perché, per ottemperare a Maione suo grande ammiraglio, punì con i. strabocchevol efferatezza tanti onesti signori, sol perché affidato l’aveano, Maione esser reo di fellonia e traditore. Ed in fatti, questi ingrato e disleale, congiurato avea con Ugone arcivescovo di Palermo di spegner la vita al Monarca. Poscia l’uno in sospetto dell’altro venendo, Ugone di veleno si moriva portogli da Maione, quando questi da Bonello, partegiano dell’Arcivescovo, fu morto a ghiado cattivamente. Il re non seppe grado a Bonello di aver posto a morte un uomo, nella cui casa erasi trovato e scettro e serto e regio ammanto e quant’altro mai alla sovranità si pertiene. Imperò molti signori ordinato, una congiura contro a Guglielmo, assalirono la reggia, l’avvinsero di ceppi, e salutaron re il putto Ruggiero suo figliuolo. Né stette poi guari tempo che Guglielmo, campata la prigione, fe’ spirare nelle torture Bonello, e privò di vita il giovinetto principe con un ca ciò tiratogli violentemente al petto, furibondo perche a sé l’avea veduto anteposto. Ritornò al reggimento de’ suoi popoli, e dopo aver debellato i baroni, che poc’anzi maggioreggiavano, diessi a tener gran vita, poco calendosi delle bisogne del suo reame. Matteo Notaio, suo ministro, fu igualmente potente e odiato come Maione, e quando gli eunuchi e le femine eran donni della corte, Guglielmo venne a morte nel 1166.

GUGLIELMO II IL BUONO

Quanto fu crudele, avaro, guerresco ed in dolente Guglielmo I, altrettanto fu umano, liberale, pacifico e all’armi adusato e delle militari fatiche non insofferente il primogenito di lui, il quale ebbe lo stesso suo nome, ma il titolo diverso, cioè dì Buono. Durante il suo reggimento non era città alcuna che da altra dipendesse. Avevasi ciascuna provincia i suoi Giustizieri, Camerari ed altri particolari ufiziali, né l’una de’ fatti dell’altra pigliavasi briga. Non però di meno il real palagio non fu scemò affatto di sommovitori di turbolenze, per aschio ed invidia tra i cortigiani ed i baroni. Allora molti valorosi o pregevoli personaggi, per uscire di quelle rivolture politiche e cansar discordie, queste terre lasciarono, in altre regioni riparandosi, e di questi cotal i fu il Gran Cancelliere Stefano di Parzio, Pietro di Blois ed altri.

Minacciato a que’ giorni papa Alessandro III d’invasione dall’imperatore Federico Barbarossa, Guglielmo con galee e con danaro ai bisogni del Pontefice pietosamente sovvenne. Edificò il grandioso tempio e chiostro di Monreale vivono a Palermo, dove mandò alquanti monaci della Trinità della Cava. Si avvinse in coniugal nodo a Giovanna, figliuola di Enrico II, re d’Inghilterra, rifiutando la figlia dell’imperatore Enrico di Svevia: fermò una tregua di 10 anni col re di Marocco. Spedì Tancredi, conte di Lecce, figlio naturale dell’avol suo Ruggiero, in Costantinopoli con poderosa oste contro ad Andronico tiranno, uccisore di Alessio e persecutore de’ Latini in Oriente. Da ultimo, per arbitrio della volontà di Colui che regge i destini del mondo, non avendo Guglielmo figliuoli, nel 1180 diè sua zia Costanza in moglie all’imperadore Enrico di Germania, nato di Federigo Barbarossa, e nel 1189 di questa vita trapassò, in età di anni 36, da tutti rimpianto. Nella pace che nel cielo eterna esalava Guglielmo l’ultimo suo fiato, e lascia va il suo regno da grandi calamità travagliato, perché in un’assemblea tenuta in Troia di Puglia, destinato aveva al trono Costanza col suo consorte Enrico.

Fiorivano a quei giorni la giurisprudenza sopratutto ed in ispecialità il dritto feudale. Ragguardavansi i feudi sì come beneficia del principe conferiti a coloro, che, per servigi prestati, aveano ben meritato dello Stato, coll’obbligo a’ possessori di servire nella milizia in persona, e con gente a spese decenti, baroni o militi feudatari intrattenuta. Anzi il tempo di Corrado il Salico nessuna legge scritta esisteva riguardante i feudi già intradotti in Italia. Governavansi le faccende secondo gli usi e. i costumi già ricevuti, e quest’essi eran differenti ne’ regni di Sicilia e di Puglia: e in molte città degli stessi regni quelle medesime leggi svariavano. Tenendo la signoria Federico, i giureconsulti milanesi compilarono così fatte consuetudini, e più tardi i giureconsulti napoletani furon i migliori interpetri e co men latori di cotal i costituzioni. A questi tempi visse il famoso abate Giovacchino Calabrese monaco Cisterciense, di cui così scrisse Dante:

Raban e quivi, e lucemi da lato

Il Calabrese Abate Giovacchino

Di spirito profetico dotato.

TANCREDI

Alla morie di Guglielmo non erano superstiti della stirpe del gran Ruggiero se non una figlia postuma ed un figlio naturale di questo eroe. La figlia Costanza, crasi in marital nodo congiunta ad Arrigo VI imperator d’Alemagna; il bastardo Tancredi fu gridato re dai grandi di Sicilia, e, ricevuta l’investitura da Papa Alessandro VI, fu coronalo a Palermo nel 1190. Presso i Normanni le femine eran capaci della corona, né dalle investiture de’ Romani Pontefici venivan escluse; e del feudo, e non mica del trono si disse, non si potere dalla lancia passar al fuso. Imperò i reami di Sicilia e di Puglia legittimamente in eredità toccavano alla principessa Costanza. Ma Tancredi, mercé le sue provvisioni, diede opera di non cader dal trono? Parecchi baroni. contumaci furono da lui con la forza sommessi, e coll’arte allacciossi i cuori di tutti i suoi soggetti. Adunò un parlamento a Termoli, ammogliò Ruggiero, suo figliuolo primogenito, con Irene, figlia d’Isacco imperator Greco, e ’I fece coronar re in Brindisi. Arrigo intanto alla lesta di possente armata prende la volta d’Italia, perviene a Rocca d’Arce, luogo forte degli Apruzzi, e prendela di assalto, di là procede sino a Montecassino, e quindi sommise le terre di Fondi, del Contado di Molise e della Campania, e sostò anzi lo mura di Napoli vigorosamente apparecchiata a difesa. Ben veggendo allora Enrico che la Capitale sotto il comando di Aligerno per nulla agli assalti cedeva, avvisossi di far ritorno in Germania. A Salerno venne il destro d’impadronir’ si di Costanza, la quale, colta alla sprovvista, raggiugner non potè suo consorte. Tancredi, largo di onori e donativi apro di lei, all’Imperatore rimandolla. Adenolfo, Decano di Montecasino, avvegnacché scomunicato fosse dal Papa, riconoscer non volle Tancredi: tennesi dalla parte di Enrico, fece accolta di truppe, attaccò coll’oste di Tancredi, danneggiò i soldati reali e distrusse Venafro. Ma questi fatti non ingeneraron punto di temenza nell’animo di Tancredi, che andava già tutto a devozion sua ritornando, quando venuto a morte il suo primogenito Ruggiero, infermò di dolore, e in Palermo nel 1193depose le sue mortali spoglie, avendo avuto appena il tempo di far cingere del realserto la fronte al suo secondogenito Guglielmo, che fu terzo di questo nome. Enrico, fatto allor condegna con coloro che per lui setteggiavano, di colpo discese armato nel regno, e, dell’universalesgomento e confusione giovandosi, di tutto il reame ottenne tostamente la signoria. Salerno fu saccheggiata e distrutta, e dell’antica grandezza di Capua, di Benevento, di Salerno e di Bari, devastate da Guglielmo I, non rimase vestigio. La regina Sibilia, vedova di Tancredi, ritirossi in Calatabellotta in Sicilia, ed Enrico, punto non attenendo la promessa a lei fatta del contado di Lecce, e del principato di Taranto al figliuolo, entrambi mandò prigioni in Germania.

Cosi i reami di Sicilia e di Puglia da’ Longobardi a’ Normanni per conquista passavano, e dai Normanni agli Svevi per legittima successione nella persona di Costanza. Imperò Federico II adusato era chiamare questi stati, eredità sua preziosa. La dinastia Normanna tenne le nostre terre per 68 anni dal 1130 al 1198.

EPOCA SECONDA

Dinastia dogli Svevi. — Enrico VI. — Federico II. —Corrado. — Manfredi.

ENRICO VI detto il Severo, cui converrebbe meglio il nome di Barbaro, aveva a bella prima corrotto a forza di danaro molti signori siciliani partigiani della Famiglia di Tancredi: egli aveasi procacciato quest’oro mediante una speculazione quanto strana altrettanto perfida. Riccardo cuor di Leone, di ritorno dalla Palestina, avendo fatto naufragio sulle coste della Dalmazia, riparò in su le terre di Leopoldo, duca d’Austria, il quale, in disprezzo d’ogni legge divina ed umana, l’avvinse in ceppi e ‘l vendé come schiavo ad Arrigo VI, che lo rivendé con considerabile guadagno.

Questo nuovo re delle due Sicilie, gonfiò il cuore del tosco dell’odio e della vendetta, fa dissotterrar il corpo di Tancredi, cui vien reciso il capo: i carnefici càvan gli occhi al figlio di lui, il privan degli organi della generazione, gettandolo in prigione con la madre e le sorelle. Tutt’i partigiani di questa sventurata famiglia, sia baroni, sia vescovi, muoiono tra’ supplizi. In onesta guisa ritoglie Arrigo i tesori che lor distribuiti avea. Nel farsi beffe della giurata fede, e nello sgozzare i sudditi per arricchirsi delle loro spoglie, riponeva questo monarca tutta l’arte di regnare. Le sue depredazioni e la barbarie sua spintefuron a tale, che l’imperatrice Costanza, degna figlia di Ruggiero, coraggiosamente tra il giustiziere e le vittime s’interpose. Questa principessa giurando di protegger il paese, ov’ebbe sua cuna, mettesi alla testa dei potentati del regno, s’impadronisce di Palermo, avviasi a gran passi all’incontro di suo marito, che seguito veniva da numerose bande germaniche, pienamente il rompe, ed a segnar il costrigne un trattato, di cui ella medesima gli articoli dettava. Non andò guari che questo principe inopinatamente morissi, dopo un regno che felicemente non fu di lunga durata. Avvi chi pretende che sua moglie, per vendicarsi dell’uccisione di sua famiglia, avvelenar lo facesse. Ella non gli sopravvisse che un anno, lasciando unico erede Federigo II, dell’età di quattr’anni, privo di amici, di rivali accerchiato.

FEDERICO II

In Esi o Jesi, città nella Marca d’Ancona, nacque Federico II nel 1198, e fu chiamato Federico Ruggiero o Ruggiero Federico. Suo padre l’Imperadore Enrico morissi due anni dopo in Messina, e due anni dopo la morte di! suo marito, pur passò di questa vita Costanza: nel 1199, avvisatasi di lasciar il picciol Federigo sotto il baliato di Papa Innocenzo III. Dui panie la pupillare età di Federigo, Marcovaldo, conte di Molise, tedesco, eccitò rivolture politiche nel regno, con la speranza di usurparsi il trono, Gualtieri, conte di Brenna, marito di Albina, figlia di Sibilla, vedova di Tancredi, mise il regno a rumore ed a sangue, aspirando allo scettro, Cuma, asilo e covo di ladroni, fu adeguata al suolo dai cavalieri napolitani molestali da’ guastamene e dalle loro scorrerie, Papa Innocenzo navigò in Sicilia, conchiuse le nozze di Federico con Costanza, figliuola di Alfonso II re di Aragona, e difese il regno dall’invasione di Ottone IV Imperatore. Federico II imperator di Germania e re delle due Sicilie, aggiunto al]’età. di 18 anni, nel 1211 lasciata Costanza in Sicilia con un figliuolo, che di lei aveva ingenerato, di nome Enrico, imbarcasi su legni di Gaeta, e vassene a Genova, e quindi in Aquisgrana, dove nel 1213 fu coronato imperatore. Nel 1215 Innocenzo tenne il concilio Lateranense in Boma, nel quale fu pronunziato contra Ottone IV, doversi la corona imperiale a Federico, le cui ragioni erano da’ Milanesi impugnate. Di poi per Papa Onorio III, successor d’Innocenzo, negli anni di Cristo 1220 il dì di S. Cecilia di novembre a grande onore fu coronato e consecrato a Roma a Imperadore Federigo II re di Sicilia e di Puglia, imponendogli l’espressa condizione di partir per la Palestina, e di ceder alla Chiesa il contado di Fondi, situato al mezzogiorno delle Paludi Pontine. Federigo sposò questo doppio impegno.

Papa Gregorio IX. scomunica l’imperatore, perché non aveva adempito al voto di andar a combattere nella Terra Santa. Il principe, che temea l’effetto de’ fulmini spirituali, affrettasi di partire. Lungo sarebbe il narrare le cose avvenute a Federigo in Palestina fino a che Gregorio IX, per nuove discordie avute con esso lui, non ebbe offerto il Regno delle due Sicilie a Giovanni di Brenna, suocero di Federigo. Si ribella intanto il giovine Arrigo, re dei Romani, contra suo padre, e mentre l’imperatore, pugnante in Palestina, ubbidisce a Gregorio, questi profittando dell’assenza di lui, sulla nuova sparsasi della morte di Federigo, invade egli stesso gli stati di lui, s’impadronisce della Puglia, e mette in armi la Sicilia.

Alla novella. di siffatte aggressioni, Federigorivola in Europa, batte le truppe pontificie, rientrar fa la Sicilia e la Puglia sotto la sua obbedienza, calma ogni sedizione, e fassi padrone di molte province degli stati. romani. Avanzasi quindi verso Roma, Gregorio muore scomunicandolo.

Innocenzo IV gli succede. Ei tratta contra Federigo tutte le armi, che la spirituale e temperal possanza fornir gli poteano; ma i successi del suo rivale l’astringon a fuggirsi di Roma: il Pontefice giugne a Lione, vi aduna un concilio: questa città, per una serie di avvenimenti troppo lunga a narrarsi, disgiunta trovavasi dalla dipendenza dell’impero e della Francia; i suoi Arcivescovi se n’ avevan appropriata la sovranità, ed ogni real dritto vi esercitavano: ivi il Papa dichiarò Federigo decaduto dall’impero, perché eretico ed increduto, ed Enrico suo figliuolo pur deposto, perché ribellatosi al padre, e suo fratello Corrado coronato Imperatore. L’imperatore energicamente protestò contra quest’adunanza; e vendicossene, molte vittorie riportando sopra i suoi sudditi ribelli, che, per rispetto alla deposizione pronunziata dal Papa, credeano dover impugnare le armi contra il lor sovrano, cui portavan non per tanto affezione. Federigo provato aveva in Palestina un effetto più strano ancora della scomunica papale: i gran maestri Templari e di S. Giovanni fecer protesta di non poter servire sotto di lui, ed ei fu obbligato di soffrire che nel proprio campo non si desser gli ordini in suo nome; a nome di Dio bensì e della repubblica cristiana, Federigo regnò trentanni Imperadore, e fu uomo di gran valore e di grande affare, savio di scrittura e di senno naturale, universale in tutte le cose. Di grandissima forza combatté e sommise i Saracini di Sicilia, e partiti in due colonie nelle due città di Lucera, una delle quali perciò chiamossi Lucera o Nocera de’ Pagani. Fondò in Napoli l’Università degli studi, d’ogni sorte di privilegi colmandola. In tutte le caporali città di Sicilia e di Puglia fece fare un forte e ricco castello, e quello di Capovana in Napoli, e le torri e porte sopra il ponte del fiume del Vulturno a Capua, e ‘lcastello di Prato, e la roccia di S. Miniato, e vari parchi di caccia e uccellagione, e fondò le città di Alitea, Monteleone, Flagella, Dordona, Aquila, Augusta ed Eraclea. Stabilì in sette parti del regno le fiere general i.

Fondò in Palermo un’accademia poetica, e tennesi onorato di esservi ammesso in qualità di poeta: era egli un dei più istrutti del suo tempo: conosceva l’italiano, il latino, il francese, il tedesco, il greco e l’arabo idioma; ma merita, sopra tutto come legislatore, i riguardi della storia: i suoi codici di leggi detti Costituzioni, in cui son altamente conosciuti i dritti dei popoli, sembran degni ancor oggi d’esser meditati dai pubblicisti. Essi furono scritti negl’idiomi greco e latino, e compilati dal famoso giureconsulto Pietro delle Vigne, al quale affidò Federico, come a segretario, i più grandi affari dello Stato: e però Dante nella sua Divina Commedia introducendolo a parlare gli fa dire:

I’ son colui che tenni ambo le chiavi

Del cuor di Federigo, e che le volsi,

Serrando e disserrando, si soavi,

Che dal segreto suo quasi ogni uom tolsi.

Questo Imperatore grandemente protesse gli studi, facendo dall’Arabo e dal Greco traslatare vari libri, e molte savie e utili leggi lasciò per caldeggiarli. Compose un libro de’ natura et cura animalium, e dettò rime in Volgare, il quale allora cominciava a diffondersi in Italia. Ma comunque fosse di ogni virtù copioso, non fu pertanto scemo di vizi. In più guise fu a vizio di libidine e lussuria sozzamente rotto.

Negli anni di Cristo 1250, accignendosi Federigo a novella guerra contra i Lombardi, gravemente ammalossi in Fiorentino, castello or disfatto in Capitanata di Puglia, sei miglia distante di Lucera, e ‘l dì di santa Lucia di dicembre, nell’anno 56° di sua vita, di questo mondo trapassava: Quasi tutti gli storici s’accordano nel credere che Manfredi, suo figliuolo bastardo, desiderando d’avere il tesoro di Federigo suo padre e la signoria di Puglia e di Sicilia, e temendo che Federigo di quella malattia campasse o facesse testamento, concordandosi col suo ciamberlano molti doni e signoria impromettendogli, con un piumaccio, ch’era nella camera, l’affogò, ponendoglielo la notte in su la bocca. Così adivenne a Federico, il quale nemico di santa Chiesa oltre misura, e senza nulla ragione di spirito in sé, morir fece la moglie e Arrigo Re suo figliuolo, e videsi sconfitto, ed Enzo suo figliuolo preso, e se medesimo dal suo figliuolo villanamente uccidere, o di veleno, come alcuni son di credere, morto. Lui spento, il detto Manfredi prese la guardia del reame e tutto il tesoro, e ‘l corpo di Federigo fece portare e seppellire nobilmente alla chiesa di Monreale in Sicilia di sopra la città di Palermo, e alla sua sepoltura furon fatti intagliare questi brievi versi, composti da un chierico Trotano, i quali diceano così:

Si probitàs, sensus, virtutum gratia census,

Nobilitas orti, possent resistere morti,

Non foret extinctus Federicus, qui jacet intuì.

Troppo avremmo dovuto allargarci in parole, se tutti avessimo voluto numerare gli avvenimenti dell’età di Federigo; ma ecci paruto di non doverne due trasandare assai degni di nota, cioè, l’origine dell’inquisizione in Sicilia nel 1213, e la parte che ebbero le fazioni Guelfe e Ghibelline nelle guerre tra l’Imperatore e ‘l Pontefice, come altresì nelle guerre tra l’Imperatore e i Lombardi.

CORRADO

INNOCENZO IV pretendea che le due Sicilie gli fosser devolute, e gli appartenessero di dritto divino, in virtù della scomunica, che fulminata avea su Federigo II nel concilio di Lione. La città di Napoli riconobbe questo pontefice per unico suo padrone; l’imperator Corrado IV, figlio di Federigo II, accorse a difender il suo retaggio, e riprese la città di Napoli, mentre Manfredi, suo fratello, dichiarato già dal re morto, Balio e Governator di Corrado, nell’ubbidienza conteneva il rimanente del regno. Le città che si ribellarono al successor di Federigo, furono, nella Puglia, Foggia, Andria e Barletta; e in terra di Lavoro, Capua e Napoli: tra’ baroni i conti di Casa Aquino, grandi signori di terre tra il Garigliano e il Volturno. Corrado giunto nella Marca di Trivigi, secondato dal suo cognato Ezzelino, tiranno di Padova, fece a’ Veneziani apparecchiare grande naviglio, e di là navigando l’Adriatico, con sua gente arrivò alle radici del monte Gargano, sul suolo dell’antica Siponto, vicin di Manfredonia, gli anni di Cristo 1251. Manfredi, tuttoché intendesse a esser signore di tutto il reame, per tanto con grande sua compagnia, e con buon numero diSaraceni venuti di Lucera e di Sicilia uscì a campo contra i Conti di Aquino, e furon posti a ruba ed a fuoco Arpino, Sessa, Aquino e S. Germano. Capua di leggieri si arrese: Corrado fece oste sopra la città di Napoli, la quale prima da Manfredi, ch’era principe di Salerno, cinque volte era stata osteggiata e assediata, ma senza nullo acquisto, ma a Corrado, per suo grande esercito e lungo assedio, non istette molto che la città si diede, salve le persone, e che la città non fosse guasta; ma Corrado non attenne loro i patti, e, contra la data fede, la quale si dee mantenere ancora a’ nemici, fece disfar le mura di Napoli e tutte le fortezze di essa, quelle mura medesime, che resistettero ad Annibale, e i suoi abitanti furono severamente puniti; e in poco di tempo recò a sua signoria tutto il regno. Egli abbatté pure cherici e religiosi, e le sacre persone fece morire per gravi tormenti, o chi fosse amico di Santa Chiesa o seguace, e chi non era di parte di lui. Da ultimo insospettito pur di Manfredi per l’affetto, che gli abitanti di questo reame gli portavano, e per la grande autorità procacciatasi, lo svestì di ogni potestà e d’ogni suo stato, e fece avvelenare il suo fratello minore. Enrico, che governava la Sicilia. Ma come piacque a Dio nell’età sua più fiorita di 26 anni infermò di grave malattia, ma non però mortale; e facendosi curare a’ medici fisici, credesi che Manfredi suo fratello per rimanere signore l’’abbia fatto da’ detti medici per moneta e gran promesse avvelenare in un cristeo. Adunque con sentenza di Dio per opera del fratello, della stessa morte, che procurata aveva ad Enrico, morissi Corrado in Lavello gli anni di Cristo 1253, mentre accingevasi a partire per Germania. Egli chiamò per testamento erede un. piccolo suo fanciullo, rimaso in Alemagna, ch’ebbe nome Corradino, nato per madre della figliuola del duca di Baviera, e nomò balio dell’erede delle corone Imperiale e Reale il marchese di Honebruch, il quale fuggissene, appena vide che Papa Innocenzo IV con grande oste si mise nel regno per racquistare la terra, che teneva Manfredi contra la volontà della Chiesa, e siccome scomunicato. Dopo varie pratiche Manfredi ruppe l’esercito papale a Lucera, a Foggia e a Troia; ma poco dimorato in Napoli infermò Innocenzo IV, mentre intavolava il trattato di far passare la corona delle due Sicilie ora al re d’Inghilterra, ora al fratello del re di Francia, e passò di questa vita, e nella città di Napoli fu seppellito.

Alessandro IV gli succede, e riprende il corso della negoziazione; ma la Francia esaurita d’uomini e di danaro per l’infelice crociata e pel riscatto di S. Luigi, non permette al conte d’Angiò d’accettar una profferta, che gratuita non era.

Il Papa pubblica contra Manfredi una crociata, che predicasi sino in Inghilterra. Alessandro IV si muore; ma durano non per tanto i suoi divisamenti. Assunto alla sede pontificia Urbano IV, fa immantinente significare a Manfredi di deporre la corona di Napoli e di Sicilia, che tutti gli ordini dello stato a lui per acclamazione decretata aveano, avendosi recato ad amici con ispendio e doni e promesse e uffici i maggiori baroni del regno. Questo papa lancia anatemi su Manfredi; offre il regno di Napoli a diversi principi che per prudenza il ricusano. Carlo d’Angiò, già dal popol romano creato senator di orna, finalmente l’accetta; ma questo atto fu mandato a fine sotto il pontificato di Clemente IV successore d’Urbano. Carlo d’Angiò riceve tosto in Roma con tutte le cerimonie della Chiesa la corona di Napoli.

Carlo, valicato il Garigliano per tradimento del Conte di Caserta, che non difese il passaggio, s’impadronì di S. Germano, non ostante la viril resistenza della gente di Manfredi, il quale si ridusse verso Benevento a Ceperano, e valorosamente combatté in mezzo ad un drappello di Pugliesi. La maggior parte di questi e di altri baroni del regno furono in volta, e infra gli altri il conte Camarlingo, e quello della Cerra, e quello di Caserta; e chi disse per viltà di cuore, e chi per tradimento. Manfredi rimaso con pochi a cavallo fece come valente signore, il quale sostenne morire anzi che vergognosamente fuggire, e dissesi, ma, non si seppe il certo, morto per uno scudiere francese. E però si avrebbe ben il torto chi si facesse a credere traditori solamente i Pugliesi nel leggere Dante:

E l’altra (gente) il cui ossameancor s’accoglie

A Ceperan, là dove fu bugiardo

Ciascun Pugliese;

avendo il poeta cosìdetto per esser allora tutti regnicoli appellati Pugliesi. Questa battaglia e sconfitta di Manfredi fu in un venerdì l’ultimo di febbraio gli anni di Cristo 1265. Il suo corpo non fu recato in luogo sacro, ma a piè del ponte di Benevento fu seppellito, e poscia di quel luogo, ch’era terra di chiesa, fu pur tratto, e fu sepolto lungo il fiume del Verde a’ confini del regno e di Campagna, e di ciò pur rende testimonianza Dante nel Purgatorio, canto terzo, ove tratta del detto re Manfredi, facendolo così favellare:

Poi disse sorridendo: I’ son Manfredi

Nipote di Costanza imperadrice;

Ond’i’ ti priego che quando tu riedi,

Vadi a mia bella figlia, genitrice

Dell’onor di Cicilia e d’Aragona,

E dichi a lei il ver, s’altro si dice.

Poscia ch’i’ ebbi rotta la persona ,

Di duo punte mortali, i’ mi rendei

Piangendo a quei, che volentier perdona.

Orribil furon li peccati miei;

Ma la bontà infinita ha sì gran braccia,

Che prende ciò, che si rivolve a lei.

Se ‘l Pastor di Cosenza, ch’alla caccia

Di me fu messo per Clemente allora,

Avesse ’n Dio ben letta questa faccia,

L’ossa del corpo mio sarieno ancora

In co del ponte presso a Benevento

Sotto la guardia della grave mora.

Or le bagna la pioggia e muove ‘lvento

Di fuor dal regno, quasi lungo ‘l Verde,

Ove le trasmutò a lume spento.

Manfredi fu bello del corpo, e come il padre o più fu rotto a diletto corporale; fu largo e cortese, e di buona aria, sì ch’egli era molto amato e grazioso; tenne molto bene suo reame, e però montò in grande ricchezza e podere per terra e per mare. Ei fece disfare la città di Siponto in Puglia per li paduli, che le erano a intorno e che la rendevano inferma e mal sana; e fece ivi presso a due miglia in su la roccia e in luogo, dov’era buon porto, fondare una terra, laquale per suo nome fece chiamare Manfredonia, e per sua memoria fece fare la gran campana di quella città, la quale e la maggiore, che si trovi di larghezza, e per la sua grandezza non può suonare.

fonte

https://www.eleaml.org/ne/stampa2s/1848-DOMENICO-PANDULLO-Compendio-della-storia-patria-2025.html#EPOCA_PRIMA

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