Alta Terra di Lavoro

già Terra Laboris,già Liburia, già Leboria olim Campania Felix

COMPENDIO DELLA STORIA PATRIA OVVERO DEL REAME DELLE DUE SICILIE DALLA SUA ORIGINE SINO AI TEMPI NOSTRI DI DOMENICO PANDULLO

Posted by on Giu 24, 2025

COMPENDIO DELLA STORIA PATRIA OVVERO DEL REAME DELLE DUE SICILIE DALLA SUA ORIGINE SINO AI TEMPI NOSTRI DI DOMENICO PANDULLO

Introduzione

Questo testo di Domenico Pandullo, pubblicato dal figlio Antonio da Tropea, ci è capitato tra le mani per caso. Gli abbiamo dato una occhiata per pura curiosità. Essendo stati per 40 anni nella scuola elementare – e avendo insegnato anche storia del Risorgimento fino a quando, da una delle tante riforme, non venne riservata alla scuola media –, volevamo vedere come venissero proposte agli studenti dell’epoca le vicende passate del Regno di Napoli.

Ci ha colpito il fatto che non riuscivamo a incasellarlo, non sembrava un testo di parte borbonica e manco di parte liberale. Anche solo per questo meritava di essere pubblicato.

Oltretutto le pagine in cui si narravano i fatti del 1848 possedevano il pregio di apparire come una sorta di ripresa in diretta su una grande illusione: la speranza di un futuro migliore per il regno.

Emergevano le idee allora circolanti dei “rigeneratori italiani” un po’ dappertutto per la penisola italica. Uno dei più citati rigeneratori ovviamente è Gioberti:

«Non si domanda che i Napolitani cedano a’ Siciliani, o viceversa, ma che gli uni e gli altri eleggano da buoni fratelli quel partito che più giova alla nostra comun madre, rimettendo ciascuno de’ propri interessi in grazia del bene universale.»

Siffattamente scriveva l’immenso e generoso Gioberti, cui tanto sta a cuore l’unione e l’indipendenza, la libertade e ‘l trionfo della nostra cara Italia.

[…]Dicasi pur apertamente, checché ardiscan susurrarne alcuni impudenti Zoili, bieca ed obbrobriosa razza che mai non si spegne, e sempre fe’ guerra al vero merito degli UOMINI GRANDI, Vincenzo Gioberti ènon solo integramente cattolico ne’ suoi inimitabili scritti, ma èla colonna principalissima della cattolica filosofia. Si arrossisca dunque una volta chi per soverchio di balordaggine o di malizia osò ed osa peranco mettere a stampa infami scritture contro di lui ed offendere con ingiurie villane e con ¡stolte calunnie la sua persona sacra, ed avverta che procedendo in tal guisa offende la Religione e Pio Nono, il quale mostrò di stimar altamente quel nobilissimo spirito.

[…] Fu cappellano di S. M. il Re CARLO ALBERTO. Nel 1833, dopo breve prigionia, fu astretto ad esultare di gioia e trionfare. Visse in Parigi tutto l’anno 1834. Nel mese di ottobre si ridusse a Brusselle, dove rimase fino all’autunno del 1845; da quell’epoca scelse a soggiorno Parigi. Pel resto, la vita di Gioberti non si narra: essa èsemplice e modesta come quella degli uomini grandi; sta tutta compresa e chiaramente espressa ne’ suoi libri.

Largo spazio veniva dato anche all’amministrazione borbonica, a Ferdinando II, alla concessione della costituzione del 29 gennaio 1848.

Gettando intanto, comunque rapidamente, un colpo d’occhio su le nostre istituzioni fondamentali, tanto dell’ordine giudiziario ed amministrativo, quanto del potere supremo del governo e della disposizione attuale delle leggi, assai chiaro risultano le magnanime cure, i benifici e salutari miglioramenti a noi prodigati dalla REGNANTE DINASTIA, la sola, alla quale noi dobbiamo sempre mai eterna riconoscenza.

Nè i tratti di Sovrana munificenza son pur ora finiti. Il nostro savio e magnanimo Re FERDINANDO II altri espedienti va adottando più energici ed efficaci affine d’apportare un perfetto e compiuto immegliamento nei rami tutti di pubblica amministrazione, di sociale progresso, di positiva ed universale prosperità, e ciò per vie maggiormente render felici e contenti i suoi amatissimi sudditi.

[…] Fratelli, concittadini, posteri, se queste mie carte potranno ammollirvi il cuore, e farvi piangere, troppo bene speso io terrò il lungo amore che mi fece cercare i modi facili ed acconci dell’eloquio italico, troppo avventurosi gli studi: un caldo affetto, un sospiro, una lacrima, sarebber per me un premio, una grazia, una lode più grande assai di quelle ch’io avessi ardito desiderare o sperare.

Fin qui delle tragiche, orrorose scene, onde fu teatro la Città di Palermo, cui volger dovremo peranco un’altra volta il pensiero: vediamo adesso quai destini eran riserbati a Napoli, quai mutamenti politici v’intervenivano, qual condotta osservavasi da’ nostri savi e valorosi concittadini, quali generose riforme a noi largamente concedeansi dal magnanimo cuore del nostro Augustissimo Moderatore e Padre Ferdinando II.

[…] Modellare la società intiera, I’universalcomunanza del nostro paese, su la ferma e solida base d’una morale unione fraternalmente perfetta; c00rdinar le leggi secondarie a questo stesso principio di sociale benessere e d’ingenita uguaglianza, all’ombra consolante ed augusta di queste stesse leggi; sistemare le individuali occupazioni e diriger la ripartizione delle cariche o degl’impieghi, delle nazionali industrie o de’ comunali mestieri in maniera, che, senza colpire alcun interesse legittimo, ritorni ogni cosa al comun vantaggio, al più gran benessere di tutti i nostri fratelli, tal era senza dubbio il gran problema da risolversi, e tal e pur troppo in quest’epoca avventurosa di politica rigenerazione il consolante teorema, che tutte tiene positivamente occupate le generose menti che vanta questa nostra patria, alla cui testa ci e dato provvidenzialmente di veder collocato il nostro Augustissimo Sovrano ed umamssimo Padre, Ferdinando II; è questa la più grandiosa e stupenda opera prescritta alla comune alleanza di cotesti esseri benemerenti della Nazion nostra, che han bramosia di vantare permanenza e vita nella grata memoria nostra, ed in quella altresì de’ posteri nostri.

Un’opera cosiffatta, l’opera sublime ed immortale del nazionale risorgimento, lo direm con piacere a chiunque de’ nostri cari fratelli, sarà costantemente dinanzi a’ nostri occhi, consacrata sempre nel cuore, profondamente impressa e suggellata nella mente.

[…] le preghiere de’ buoni, le dolci insinuazioni. de’ veriamici della patria, le calde insistenze di tutta la Reale Famiglia, cui sta a cuore pur troppo il nostro miglior bene possibile, le calde ed unanimi rappresentanze insomma di tutta intera una comunanza di prodi, cospiranti ad un voto comune, il pubblico voto della nazionale rigenerazione: han talmente colpito ed impressionato l’anima grande e generosa dell’Augustissimo nostro Sovrano Ferdinando II, che il 29 di Gennaio, giorno memorando e sacro ne’ fasti della patria storia, con un atto veramente magnanimo d’impareggiabil demenza, siffattamente si mosse a decretare:

«Avendo inteso il voto generale de’ Nostri amatissimi sudditi di avere delle guarentigie e delle istituzioni conformi all’attuale incivilimento, dichiariamo di essere Nostra volontà di condiscendere a’ desiderii manifestatici, concedendo una COSTITUZIONE;e perciò abbiamo incaricato il Nostro nuovo Ministero di Stato di presentarci, non più tardi di dieci giorni, un progetto per esser da Noi approvato sulle seguenti basi:

«Il Potere legislativo sarà esercitato da Noi, e da due Camere, cioè una di Pari, e l’altra di Deputati; la prima sarà composta d’individui da Noi nominati, la seconda lo sarà di Deputati da scegliersi dagli Elettori, sulle basi di un censo che verrà fissato.

Son sincero, le pagine di Pandullo mi hanno catapultato negli esaltanti e tragici avvenimenti del 1848, quasi un rimpianto per un tempo non vissuto, però immaginato. Un rimpianto soprattutto per una occasione mancata: costruire un altro futuro ovvero una saldatura fra persone di buona volontà che avrebbero cambiato il paese, evitando che tracollasse appena una dozzina di anni dopo. Portando nei decenni successivi milioni di persone ad abbandonare le proprie terre, in cerca di fortuna in idi stranieri.

Invece… o per la ideologia intemperante di taluni liberali o per la paura del nuovo di alcuni sostenitori della dinastia borbonica si sparse del sangue, is crearono rancori, le migliori intelligenze del paese o si rintanarono nelle loro case oppure presero la via dell’esilio.

Non vinsero i liberali, anzi in tanti – foraggiati da Cavour – ci avrebbero svenduto alla dinastia sabauda. Non vinsero i borbonici perché il collante nazionale era debole. Dopo il periodo francese, nonostante il fulgido esempio dell’impresa del Cardinale Ruffo, non si erano serrati i ranghi. Con la restaurazione is era scelto l’amalgama (1),  un espediente che avrebbe impedito il rafforzamento del sentimento nazionale, lasciando tra le file dell’esercito numerosi ufficiali del periodo francese. Le nuove leve sarebbero state inserite in un ambiente in cui si respiravano idee liberali e la fedeltà alla corona non era salda. I fratelli Pisacane, Carlo (di fede italiana) e Filippo (di fede borbonica), rappresentano l’emblema di quanto affermiamo.

Un esercito siffatto, nonostante le cure ad esso dedicate da Ferdinando II, si sarebbe liquefatto al primo urto (2) – e questo accadde nel 1860.

Buona lettura e tornate a trovarci

Zenone di Elea – 7 gennaio 2025

(1) “La politica detta “dell’amalgama”, imposta ai Borbone dal Metternich nel corso del Congresso di Vienna, prevedeva l’inclusione di funzionari e graduati militari che avevano precedentemente aderito alla Repubblica Napoletana di Murat, fra le gerarchie istituzionali dei restaurati governi. Tale espediente, nelle intenzioni del suo promotore (il Metternich), aveva lo scopo di “limare” le divergenze fra i sostenitori della precedente repubblica napoletana e i fedeli servitori della corona. Di fatto però, come molto giustamente sostiene il Mattogno, si trattò di un vero e proprio “Cavallo di Troia”, che già dall’indomani del Congresso di Vienna cominciò a minare le basi di quella monarchia che aveva riammesso fra i suoi ranghi, perdonandoli, i vecchi traditori.”(Schegge di Storia 12/ La “Politica dell’amalgama”, vero e proprio Cavallo di Troia nel Regno delle Due Sicilie che ne accelererà la fine – Giovanni Maduli )

(2)I francesi, contrari al passaggio dello stretto di Messina da parte di Garibaldi, speravano che venisse fermato dalle migliaia di soldati presenti nel continente. Cosi non fu. Per la gioia degli Inglesi che, evidentemente, conoscevano bene la situazione del regno e contavano sulla disfatta dell’esercito napolitano.

fonte

https://www.eleaml.org/ne/stampa2s/1848-DOMENICO-PANDULLO-Compendio-della-storia-patria-2025.html

Submit a Comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.