Comune di Macchia Valfortore nella storia del Dr. Michele Cerulli
acchia Valfortore è comune della provincia di Campobasso nella regione Molise, Italia, dal 17/12/1963. Macchia è situata su una collina coronata da oliveti e frutteti a 477 metri di altitudine sul livello del mare. Macchia ha origine antichissima di cui non si è però trovata documentazione perché distrutta sicuramente dai barbari che invasero l’Italia. E’ un paese trimillenario. Esisteva all’epoca dei Sanniti con il nome di “Maccla” da cui si intuisce che il paese fu fondato in mezzo ad una boscaglia.
A conferma dell’antichissima origine Alessandro Di Meo, nella sua opera storica dal titolo “Annuali Critico Diplomatici del Regno di Napoli della Mezzana Età”, la situa ai confini del “Sannio Pentro” col nome di “Maccla in finibus Samnii Pentri”. Il nome di questa regione deriva dall’antichissimo popolo del Sannio, denominato Pentro, che abitava il territorio dell’attuale provincia di Campobasso. Il “Sannio Pentro” aveva per capitale “Bovianum Vetus”, l’attuale Bojano, ed ha avuto questa denominazione anche per distinguerlo dal “Sannio Irpino” che comprendeva invece gli antichi abitati delle attuali province di Avellino e Benevento. Si consideri pure che antichi testi citano che nell’anno 216 avanti Cristo il potente esercito di Roma, comandato dai consoli Paolo Emilio e Terenzio Varrone, diretto a Canne nell’Apulia (oggi provincia di Bari) per combattere contro l’esercito cartaginese comandato da Annibale, percorrendo la via di Gerione, località sita tra Casacalenda e Montorio nei Frentani, si accampò nella zona di “Maccla”, chiamata dai Romani “Vallum Lani o Vallum Ianuarii” e successivamente denominata prima “Vallo di Giano” e poi “Valgennaro”. E a Valgennaro furono rinvenuti infatti parecchi oggetti dell’antica Roma: scheletri di antichi militi romani con a fianco anfore ed altri oggetti e statuette di bronzo proprie dell’epoca. Ed a proposito di Gerione Tito Livio, il più grande storico del periodo augusteo, scrisse “Geronio in agro larinati”, la conferma che Gerione era situata nei pressi di Larino. I Sanniti erano un popolo forte e bellicoso, anteriore al popolo romano di cui erano accaniti nemici e contro i quali sostennero tre guerre sanguinose (le famose guerre sannitiche) a cui presero certamente parte anche gli antichi giovani guerrieri di “Maccla”. L’esercito romano, capitanato dal Console Manlio Curio Dentato, nell’anno 275 avanti Cristo sconfisse presso Benevento il valoroso esercito sannitico comandato da Pirro, alleato coi Sauni, coi Laucani e coi Tarentini, e sottomise tutto il Sannio che perdette così la sua unità statale. Caduta la potenza dei Romani nell’anno 476 dopo Cristo “Maccla” passò sotto il comando dei Goti che governarono dal 493 all’anno 553 dopo Cristo e proprio in questo anno si svolse un combattimento tra Goti e Bizantini-Greci sulle rive del Fortore, tra “Maccla” e “Celentia” (Celenza). I Goti furono sconfitti e “Maccla” e “Celentia” furono occupati dai Bizantini-Greci. Nell’anno 568 i Bizantini-Greci furono vinti dai Longobardi, popolo di vandali, distruttori di paesi, di edifici e di documenti. Durante l’occupazione dei Longobardi, durata dagli anni 568 al 982, si ebbe l’instaurazione del feudalesimo con l’avvento dei feudatari. I Longobardi furono a loro volta sconfitti dai Bizantini-Catapani che occuparono anche “Maccla” dal 982 al 1035. I Catapani, nell’anno 1035, furono poi vinti dai Normanni che dominarono l’Italia meridionale dal 1035 al 1196. Importanti per il Molise e quindi per “Maccla” i re normanni Ruggero II°, Guglielmo I° e Guglielmo II°. Ruggero II°, quale re delle Puglie e Sicilia, nel 1130 chiamò queste due regioni unite col nome di “Regno delle due Sicilie” e fra gli altri provvedimenti presi divise il regno in dieci Giustiziareti (le nostre attuali province) e tra questi era compreso lo “Iustitieratus Capitanatae” ed lo “Iustitieratus Molisii” ossia la provincia della Capitanata e la provincia del Molise. La provincia del Molise durò pochi anni tenendo presente che Guglielmo I°, figlio di Ruggero II°, salito al trono nel 1154 e chiamato “il Malo” per essersi comportato dispoticamente durante il suo regno, per ragioni politiche abolì la provincia del Molise che perdette così la sua unità diventando “Contado del Molise” e venendo aggregato alla provincia della Capitanata. Quindi anche “Maccla” fu aggregata alla provincia della Capitanata. A Guglielmo I° successe il figlio Guglielmo II°, denominato “il Buono” che viene citato da Carlo Borrelli, nel suo catalogo dei “Baroni di Capitanata”, al capitolo “Baronis sub Guglielmo II° Rege” (i baroni sotto il re Guglielmo II°) riporta “Maccla” assegnata alla Capitanata col suo signore o feudatario Gualtiero Gentile, con la seguente dicitura “Dominus Gualtierius Gentilis tenet Macclam quod est feudum unius militis” (il signore Gualtiero Gentile possiede Macchia che è feudo che dà solo militi). Che “Maccla” appartenesse alla Capitanata lo asserisce chiaramente anche lo storico molisano Giambattista Masciotta di Casacalenda che pubblicò nel 1915 quattro volumi sul Molise e che cita Macchia a pagina 161 del primo volume ed a pagina 210 del secondo volume. I Normanni furono a loro volta sconfitti da Federico II° di Svevia il cui dominio va dal 1196 al 1266 e in questo periodo risulta il nome di “Maccla” in un documento di Winchelman dal titolo “Acta imperii seculi XIII”. Gli Svevi capitanati da Corradino di Svevia il 23 agosto 1265 furono sconfitti da Carlo d’Angiò a Tagliacozzo in provincia dell’Aquila. Gli Angioini governarono il Regno di Puglia e Sicilia dal 1266 al 1381 e Roberto d’Angiò, nel 1311, donò “Maccla in Capitanata” alla moglie Regina Sancia come documentato presso l’archivio vaticano. I Durazzeschi successero agli Angioini e governarono dal 1331 al 1444 e durante il regno di re Ladislao di Durazzo, nel 1401, fu redatto un documento dove vengono citate “Maccla Vallis Fortoris et Celentia in Capitanata”. In questo documento si rileva come re Ladislao concesse in premio anche “Maccla” e “Celentia” al suo fedelissimo soldato Amelio de Iamvilla per i servizi bellici prestati e ancora che “Maccla” apparteneva alla Capitanata. Nel 1443 era feudatario di “Maccla” Antonio Colle o De Colle. Al governo del Regno di Napoli e Sicilia ai Durazzesi subentrarono gli Aragonesi col re Alfonso di Aragona, dagli anni 1444 al 1501. Nel 1463 “Maccla” era posseduta da Nicola Antonio De Regina. Nel 1482 fu investito del feudo di “Maccla” il figlio Francesco De Regina, il cui fratello Antonio De Regina era Consigliere di Re Ferdinando d’Aragona. Durante l’epoca aragonese fu costruito l’attuale palazzo municipale. Dopo gli Aragonesi governarono il Regno di Napoli e Sicilia gli Spagnoli, dal 1501 al 1707 e in questo periodo continuò la famiglia De Regina ad essere feudataria di “Maccla” il cui ricordo imperituro è nella chiesa parrocchiale di S. Nicola esattamente nella cappella di S. Nicola dove è stata murata una lapide nel 1520 che ricorda Gaspare de Regina e la consorte Lucrezia Caracciolo con lo stemma gentilizio. Nel 1559 Giovanni Antonio De Regina ebbe il titolo di conte sopra “Maccla” dal re Filippo II° di Spagna per servigi prestati in guerra e nel 1577 fu nominato Governatore delle province di Bari e di Otranto. Nel 1597 il figlio Francesco De Regina fu nominato governatore della Calabria da cui nacque il conte Gaspare che genererà Giovanni Antonio De Regina, ultimo conte, che vendette il feudo di “Maccla”, che ora assunse il nome volgare di Macchia, ad Andrea Gambacorta, marchese di Celenza, che l’acquistò in data 4 marzo 1618. Il Gambacorta andò ad abitare nel palazzo baronale, oggi sede del Municipio, con la moglie Faustina Caracciolo e con il suo primogenito Carlo e qui nacquero sei figli che sono annotati nei registri parrocchiali. Ad Andrea Gambacorta Macchia deve parecchie innovazioni e trasformazioni. Egli sistemò i dintorni del palazzo baronale demolendo le muraglie di tufo che erano a difesa del palazzo stesso e quindi spianò il terreno adibito a semina a monte del palazzo costruendovi l’attuale strada diritta, oggi chiamata via Mazzini, che porta alla cappella di S. Maria del Bagno. Fino al 1619 all’ingresso del palazzo baronale c’era una piccola porta che permetteva appena il passaggio di un uomo, chiamata dal popolo macchiarolo “Caùta”, che Gambacorta fece abbattere sostituendola con una grande porta su cui fece incidere la seguente iscrizione “Philippo Tertio Regnante Anno Domini 1619 Andrea Gambarcurt Marchio Celentie Portam Munificam Concinnavit viam Directam aperit” (Filippo III° regnante nell’anno del signor 1619 Andrea Gambacorta marchese di Celenza costruì una grande porta ed aprì una via diritta). In quegli anni Macchia era un abitato molto ristretto, formato dall’attuale piazza selciata dal Gambacorta e oggi pavimentata con basole e denominata Largo Chiesa. Esistevano la piazza di sopra, oggi via Roma, la piazza di sotto, oggi via Napoli, e questa era chiusa da un lato dalla porta di S. Nicola, ancora esistente e dall’altro era chiusa dalla porta denominata “Sporto”, che fu demolita pochi anni fa essendo pericolante. Esistevano pure il Vico Terravecchia ed altri vichi come si vedono attualmente. Col dominio feudale di Gambacorta, durato per Macchia dal 1618 al 1634, furono effettuate le costruzioni di case in via Arena, oggi via Cesare Battisti, e le case del rione Ospedale, oggi via Trento. Ad Andrea Gambacorta successe nel feudo nel 1634 il figlio primogenito Carlo da cui il figlio Pietro. A Pietro Gambacorta per non aver avuto eredi successe lo zio paterno Francesco Gambacorta, quartogenito di Andrea e a Francesco successe il figlio Gaetano. E Gaetano, ultimo della famiglia Gambacorta, è noto nella storia del reame di Napoli per essere stato capo della congiura che prese il nome del suo primo titolo nobiliare, ossia di principe (aveva anche i titoli di conte e marchese), e da qui il nome di “congiura del principe di Macchia” ordita contro il Governo vicereale spagnolo. La rivoluzione scoppiò a Napoli il 23 settembre 1701 e vi parteciparono non solo parte dei napoletani ma anche parecchi cittadini di Macchia e Celenza. Dopo tre giorni di combattimenti la rivoluzione fallì e Gaetano Gambacorta fuggì da Napoli sicuro che il governo spagnolo lo avrebbe fatto decapitare come fece per molti altri congiurati davanti alla porta di Castelnovio a Napoli. Infatti il Vicerè di Napoli, don Luigi della Zarda, fece processare in contumacia gli esuli ed il 10 ottobre 1701 il Tribunale speciale pronunciò la sentenza di condanna a morte contro Gaetano Gambacorta e i suoi complici dichiarandoli rei di fellonia e pubblici nemici e come tali ordinò anche la confisca di tutti i loro beni. Pertanto la terra di Celenza col suo Casale di Carlantino e le terre di Macchia e di Colletorto, che facevano parte del patrimonio di Gaetano Gambacorta, furono confiscate e nel 1704 furono vendute all’asta pubblica nella Regia Camera della Sommaria in Napoli. Le terre di Celenza col Casale di Carlantino furono comprate da Domenico Mazzaccara, le terre di Colletorto furono comprate dal Marchese Bartolomeo Rota, patrizio di Cremona, mentre le terre di Macchia furono acquistate da Ceva-Grimaldi, marchese di Pietracatella, il cui ultimo erede fu Francesco Ceva-Grimaldi, deceduto senatore a Roma il 21/11/1896. Giunti nel 1800 Giuseppe Bonaparte, re di Napoli, fratello di Napoleone, in virtù delle legge 8 agosto 1806, stabilì la nuova circoscrizione amministrativa del regno di Napoli che venne ripartito in tredici province. Tra queste tredici province comprese in una sola la Capitanata ed il contado del Molise trasferendo il capoluogo di provincia da Lucera a Foggia. Con la legge speciale del 27 settembre 1806 Giuseppe Bonaparte creò la provincia di Molise o Campobasso. Patrocinatore della nuova e autonoma provincia, distaccata dalla Capitanata, fu Giuseppe Zurlo, nato a Baranello nel 1759, statista e ministro del Governo di Giuseppe Bonaparte, a cui è intitolata una strada di Campobasso. Questa legge speciale era di soli tre articoli: art. 1 – Il contado del Molise della provincia della Capitanata formerà una provincia a parte, Campobasso capoluogo. art. 2 – La residenza dell’Intendente (l’attuale Prefetto) sarà Campobasso. art. 3 – Vi sarà in Isernia un sottintendente. Creata la provincia di Campobasso Macchia fu distaccata dalla Capitana e fu aggregata a Campobasso. Intanto le terre di Macchia passarono in eredità al conte De La Feld che, nel 1908, vendette il piano superiore del palazzo baronale all’amministrazione comunale ed il piano inferiore a privati cittadini insieme ai terreni.
Tratto dal libro “CELENZA VALFORTORE NELLA CRONISTORIA” – di Michele Cerulli.
fonte
https://www.halleyweb.com/macchiav/zf/index.php/storia-comune