Contro Pietro Colletta di Gianandrea de Antonellis

Da più di settant’anni ferve intorno al Colletta ed alla Storia che egli scrisse una lotta di accuso o di difese; quelle assai superiori a queste come di numero cosi, a parer mio, anche di peso.
Michelangelo Schipa[1],
Premessa
La pubblicazione del testo dell’abruzzese Pasquale Borrelli (Tornareccio, 8 giugno 1782 – Napoli, 13 aprile 1849) è un omaggio, tardivo ma non per questo meno sentito, alla venerata memoria di Silvio Vitale, che cercava questo scritto, di assai difficile reperibilità, e di cui io gli avevo parlato, avendolo trovato nella biblioteca della mia famiglia.
Quando gli accennai all’ironico titolo, subito all’Avvocato si illuminarono gli occhi e mi chiese di fargliene avere una copia, perché cercava di riunire tutti i lavori che erano stati pubblicati con critiche rivolte alla Storia del Regno di Napoli di Pietro Colletta, oltre al saggio di Antonio Capece Minutolo, Principe di Canosa[2], di cui aveva curato una riedizione[3], ai tre volumi del Principe di Strongoli Francesco Pignatelli[4] e ai passi che Giuseppe Buttà dedicò a confutare gli errori di quello che ironicamente chiamava “eroe di Antrodoco” lungo la sua ampia e brillante disamina I Borboni di Napoli al cospetto di due secoli.
Purtroppo, la prematura scomparsa dello studioso gli impedì di pubblicare i risultati delle sue riflessioni e dei suoi vari studi inediti – difficilmente accessibili – non mi risulta sia stata fatta alcuna raccolta.
Poiché comunque, nel corso degli ultimi anni, la figura del pensatore e politico teatino, che pure ebbe un certo rilievo pubblico, essendo stato presidente del parlamento napoletano del 1820-1821, non è stata particolarmente valorizzata, la presente pubblicazione permette di colmare in parte una lacuna.
Culturalmente eclettico (scrisse di letteratura e di zoologia, di colera e di Ossian, si cimentò in arringhe e discettò di filosofia)[5] e politicamente equidistante dagli estremi (e quindi non amato né dai liberali, né da certi “borbonici”[6]), ad ogni modo Borrelli percorse una brillante carriera e fu apprezzato come giudice, come avvocato ed anche come oratore: ecco perché delle sue pubblicazioni fanno parte anche varie orazioni funebri, tra cui quella dedicata a Maria Cristina di Savoia, Regina delle Due Sicilie.
Prima di passare alla lettura della confutazione, vorrei riportare tre aforismi che Borrelli raccolse (usando come pseudonimo l’anagramma del proprio nome) sotto il titolo Istoria[7]:
I.
Se qualcuno ti narra di aver trovata in un’istoria semplicità, precisione e marziale franchezza, non ha bisogno di dirti che ha letto Giulio Cesare, il prigioniero di Sant’Elena, Montecuccoli o Davila. Se ha poi veduto che l’istorico è tutto intento a filtrare la falsità e la maldicenza nel lambicco del purismo, hai ragion di sospettare che abbia letto Colletta.
II.
Colletta non è contento di calunniar l’innocenza: ei calunnia la colpa.
III.
Innanzi ad una dama di spirito taluno disse che Colletta è una specie di Tacito. E la dama: «Nol credo tacito, se non relativamente a coloro che dicono il vero».
Tre sentenze su cui meditare, partorite da una mente che ci ammoniva anche sostenendo: «Non ogni verosimile è vero; non ogni vero è verisimile»[8].
Una perla che gli storici dovrebbero sempre ponderare.
* * *
A fianco della critica di Pasquale Borrelli, ne pubblichiamo un’altra, non meno circostanziata e feroce, visto che giunge a definire la Storia del Reame di Napoli una «bugiarda ed ampollosa filastrocca»[9]: questa è dovuta alla penna di un altro liberale, dalle propensioni decisamente rivoluzionarie: il Principe di Strongoli Francesco Pignatelli (1792-1853), che poco dopo la pubblicazione dell’opera collettanea[10] – dette alle stampe tre libretti di 33, 35 e 63 pagine[11] per emendare i numerosissimi errori commessi dal Colletta.
È interessante notare come Pignatelli, ancor più di Borrelli e a differenza di un Buttà o del Canosa, sia stato vicino alle idee di Colletta: militare e giacobino, fedele ai Napoleonidi ed infido (benché beneficato) verso i Borbone. La sua critica assume quindi un notevole valore, perché evidentemente non può essere attribuita ad una opposizione dottrinaria, ad una incompatibile visione del mondo, bensì a un effettivo riscontro di errori oggettivi. Che, sommati a quelli evidenziati dai due citati scrittori “tradizionalisti”, “lealisti” o “borbonici” che si vogliano definire (Canosa e Buttà), nonché a quella segnalati dal liberale Borrelli, fanno della Storia del Reame di Napoli il saggio paradossalmente più criticato e comunque più stampato non solo sull’argomento in questione, ma addirittura dell’intera produzione saggistica italiana.
Ripercorriamone assieme le numerose edizioni (senza contare le ristampe):
- Capolago (Canton Ticino), Tipografia Elvetica, 1834, 18362, 18373, 18384, 18445, 18456;
- Parigi, Baudry, 1835, 18372, 18433;
- Losanna, Buonamici e Compagni;
- Malta, Tip. di L. Tonna, 1839;
- Firenze, Le Monnier, 1846, 18482, 18563;
- Bruxelles, Hauman, 1847;
- Losanna, S. Bonamici e Compagni, 1847, 18622;
- Napoli, Matarazzo, 1848;
- Milano, G. Reina, 1848;
- Milano, presso Ernesto Oliva, 1848, 18612;
- Milano, Tipografia patriotica Borroni e Scotti, 1848;
- Firenze, Tipografia del progresso, 1849;
- Napoli, Stab. tip. del Tramater, 1850;
- Losanna, a spese dell’editore, 1851;
- Torino, Pomba, 1852;
- Milano, [s. n.], 1860;
- Torino, Unione tipografico-editrice (poi Utet), 1860, 18612, 18933, 19734, 19755;
- Napoli, stamperia Masaniello, 1860;
- Napoli, Stamperia del Fibreno, 1861;
- Napoli, E. De Angelis, 1861;
- Milano, Francesco Pagnoni, 1861, 18702;
- Prato, Tip. Fratelli Giachetti, 1862;
- Firenze, Sansoni, 1890, 19622, 19783;
- Napoli, Libreria scientifica, 19??;
- Milano, F. Vallardi, 1905, 19302;
- Milano, Istituto editoriale italiano, 1920 (?), 19302;
- Milano, Bietti, 1930, 19332;
- Milano, Società Anonima Notari, 1930;
- Napoli, SEI, 1951;
- Napoli, Libreria Scientifica Editrice, 1953, 19572, 19693, 19704;
- Milano, Rizzoli, 1967;
- Roma, Gherardo Casini, 1989;
- La Spezia, Fratelli Melita, 1990;
- Cosenza, Brenner, 1992;
- Milano, S.a.r.a, 1992;
- Milano, Franco Maria Ricci, 1995, 20002;
- Napoli, Grimaldi, 2001, 20132;
Un successo incredibile, per non dire immeritato: ben trentasette edizioni (più 26 ristampe, per un totale di 63 impressioni)! Il che, per un’opera notoriamente squalificata, è un traguardo notevolissimo. A meno che non si voglia attribuire tale successo editoriale alla propaganda e alla malafede…
Gianandrea de Antonellis
[1] Michelangelo Schipa, Una nuova edizione del Colletta, in «Annali della Società Napoletana di Storia Patria» XXXI (1906) p. 336.
[2] Epistola ovvero Riflessioni critiche sulla moderna storia del Reame di Napoli del Generale Pietro Colletta, Capolago 1834.
[3] Il Principe di Canosa e l’epistola contro Pietro Colletta, Berisio, Napoli 1969.
[4] Discorsi critici sulla storia del Reame di Napoli del general Colletta, di un antico uffiziale, Normand figlio, Lugano 1836.
[5] Su veda a tal proposito l’esauriente Bibliografia di Pasquale Borrelli (Coblenza, 1840), che in 140 pagine elenca i saggi del Nostro, suddividendoli in argomenti: scienze naturali, filosofia, filologia e linguistica, giurisprudenza, eloquenza, produzioni di vario genere.
[6] Usiamo le virgolette perché molti sedicenti “borbonici” lo furono soltanto per timore del potere: furono cioè difensori del Re quando sul trono sedeva saldamente Ferdinando II, mentre rimasero magari monarchici, ma liberali ed attaccati alle prebende più che alla dinastia, quando la possibile caduta di un debole Francesco II poteva aprire loro spiragli di carriera se avessero appoggiato le pretese sabaude.
La figura di Alessandro Nunziante indubbiamente ricalca questo tipo di “borbonico” sui generis.
[7] Pirro Lallebasque, Pensieri miscellanei. Coblenza 1840, p. 54.
[8] Ivi, p, 84. Titolo: Verità.
[9] Discorso terzo, nota 1 a p. 45; qui, nota 67 a p. 126.
[10] Nel duplice senso del termine: “di Colletta” ed effettivamente “collettanea”, essendo stata in parte scritta (e non semplicemente corretta) da una serie di amici che la maneggiarono nei tre anni successivi alla morte del principale autore, avvenuta nel 1831.
[11] Tolti i tre frontespizi, sono 125 pagine di testo in 16°.
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La “Barbajada” è una bibita inventata dal mio bisarcavolo Domenico Barbaja, mischiando cioccolato, caffè e latte, per stimolare, irrobustire e addolcire. La presente rubrica intende rivolgersi al lettore stimolandolo con il caffè delle considerazioni, irrobustendolo con il cacao delle dimostrazioni e, possibilmente, addolcire il tutto, rasserenandolo con lo zucchero dell’ironia o la panna della leggerezza.