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Conversazioni cromatiche: incontro con Sylvain Bellenger

Posted by on Mar 26, 2017

Conversazioni cromatiche: incontro con Sylvain Bellenger

Benedetta de Falco, notare la “di ” minuscola, è una giovane nobildonna napoletana carina, elegante, garbata che sa ben parlare, la quale, invece di starsene a oziare e a godersi il giardino della sua bella villa posillipina, lavora con passione e per passione. È responsabile della segreteria generale del Gruppo del Mezzogiorno dei Cavalieri del Lavoro, animatrice culturale della società “Intraprendere – arte, natura e tecnologia” e quindi ideatrice, nel 2016, del Premio “Green Care” (di 5000 euro) per chi si è distinto nella cura del verde pubblico. Certo l’intraprendenza a Benedetta non manca.

E’ stata ospitata a Napoli dalla galleria di arte contemporanea “Intragallery” (via Cavallerizza 57) di proprietà di Annamaria de Fanis e Rosa Francesca Masturzo  dove si svolge, in più, un’iniziativa originale e stimolante, giunta alla terza edizione: le “Conversazioni cromatiche”. Consistono nell’invitare a Intragallery qualche personaggio interessante perché dica la sua su Napoli, partendo dalla risposta alla domanda: secondo lui, quale colore caratterizza questa città? Quest’anno la prima “conversazione cromatica”  è stata tenuta da Sylvain Bellenger, Direttore generale del Museo e del Real Bosco di Capodimonte.

Con quale colore Bellenger vede dipinta la città? Con il colore arancione. “Perché – dice – è formato dal rosso caldo del Vesuvio e dal giallo luminoso del sole”. Bellenger parla a lungo, serenamente, e incanta il pubblico con il suo charme forestiero. Ma di sé dice: “Sono francese, ma non mi sento straniero qui. Sarà perché sono un francese un po’ speciale, un normanno e i normanni sono arrivati a Napoli prima di tanti altri”.

Infatti, anche prima del francese Carlo d’Angiò, che la rese, per la prima volta, capitale.  Bellenger è appena tornato da Chicago, dove era direttore museale prima di diventarlo a Capodimonte. Negli Usa ha ripreso i contatti con gli Amici di Capodimonte americani. Sono soprattutto oriundi italiani, che lo aiuteranno anche economicamente a gestire la Reggia, il Museo e il Real Bosco di Capodimonte.

“Farne il direttore è un’impresa pazzesca. L’ho detto a Franceschini, che me l’ha proposta, – dice – e lui mi ha risposto: e non sono pazzo io a fare il Ministro della Cultura in Italia?”. Gli amici americani istituiranno undici borse di studio e un gruppo di loro, a settembre, sarà a Napoli. Forse potrebbero essere ospitati nella foresteria, cioè in uno degli edifici recentemente messi a nuovo nel Real Bosco di Capodimonte. Del quale Bellenger, in sintonia con la sua ospite, si sofferma a descrivere l’interesse naturalistico e storico.

Il Real Bosco (140 ettari e 20 chilometri di muro di cinta) è il giardino barocco più bello d’Europa, voluto da un re e disegnato da un grande architetto. Vi sono alberi che rendono l’aria odorosa di essenze rare, alberi antichi, che i Borbone fecero venire dalle Indie, dal lontano Oriente e dalle Americhe. Ma il bosco si era trasformato in un luogo pericoloso, infestato da erbacce e dalle siringhe dei drogati che lo popolavano.  Bellanger lo ha sanato, facendone curare le piante, ristrutturare parte degli edifici e ridando a Napoli e ai napoletani questo luogo bellissimo, dove si può passeggiare in piena sicurezza per i viali ombreggiati e tra il verde dei prati (nelle domeniche di sole, anche in carrozzella). Il bosco ospiterà anche quella scuola per giardinieri di cui Napoli è priva.

Poi Bellenger parla dei ragazzi e dei bambini di Napoli, che hanno così pochi spazi per giocare. A Capodimonte giocavano a calcio sui prati davanti alla Reggia, rovinandoli. Allora ha fatto costruire per loro due campi di calcio e ne sta facendo costruire un terzo. È addirittura commovente la sensibilità di questo Direttore verso gli scugnizzi napoletani. Invece di colpevolizzarli, come fanno tanti, cerca di aiutarli.

“Quelli che imbrattano i monumenti con la pittura e con le scritte tipo ‘Lucia io t’amo’ ecc. lo fanno soprattutto per ignoranza; – dice – quindi gli si dovrebbe far  capire che si tratta di opere belle, da proteggere e conservare. Educare alla storia e alla bellezza i napoletani, anche gli adulti, li porterebbe a un maggior rispetto della loro città. Gli scempi imbruttiscono i luoghi, ne alterano l’immagine, ne nascondono la bellezza. Danno un’idea di trascuratezza, di decadenza, di insicurezza. E producono anche conseguenze economiche. Se i turisti vedono questi scempi hanno l’idea di una città non controllata e quindi insicura. E non tornano”.

Potremmo anche citare a sostegno di queste parole la teoria urbanistica cosiddetta “delle finestre rotte”, quella di James Wilson e George Kelling,  che affermano la capacità della trascuratezza e del disordine urbano di generare criminalità aggiuntiva.

Bellenger confida che la sua azione è volta a fare del bene a Napoli e ai suoi ragazzi più che indirizzata al ricavo economico dalla vendita dei biglietti d’ingresso al museo, cosa che – aggiunge- è certo molto importante. Poi affronta un altro tema del quale molti napoletani non hanno piena consapevolezza: “Statisticamente a Napoli accadono molto meno numerosi atti criminali che in altre città, ad esempio a Milano. Eppure la Stampa e la Tv parlano soprattutto della criminalità napoletana. E sembra che i napoletani, per chissà quale masochistico complesso, ci credano”.

Parla anche di una Napoli che non ama la schematizzazione delle regole, che si adegua prontamente alle varie situazioni ed è pronta a comprendere genti diverse. “Napoli è un porto,- dice – nasce come tale. E, come porto, ha accolto varie genti e varie culture”. Personalmente sono aliena, però, dal considerare la mia città semplicemente come un ‘crogiòlo di culture‘ come vien detto da molti napoletani.

E ricordo in proposito i versi di Tagore, il grande poeta indiano: “non si può veramente conoscere se non quello che già si sa”. E Napoli sa. Perché ha insegnato al mondo la sua grecità preclassica e quindi ellenistica, la quale, negando la rigidità monumentale di un rigoroso classicismo, è duttile e umana. Come rivela tutta la storia artistica napoletana, che infine  si è espressa, più viva che mai, nel barocco seicentesco e nel glorioso Settecento.

Napoli ha anche ispirato Picasso, che la conobbe nel 1917. E l’esperienza di questo viaggio è testimoniata nel suo più grande dipinto (circa m. 17 X m. 10), “Parade”, che ora, cento anni dopo, dal 7 aprile, sarà in mostra nel Museo di Capodimonte, per iniziativa di Bellenger  Che poi racconta di Firenze, la  quale, tra la fine dell”800 e il ‘900 è stata riscoperta  dagli inglesi e dal grande  Bernard Berenson.

Ma si può anche supporre che Bernard Berenson forse non avrebbe chiamato Firenze “culla dell’arte”, se avesse saputo dell’episodio della testa del cavallo (? ! ).  Un episodio chiarito soltanto recentemente. Si mormorava che la testa di cavallo che era nel palazzo Carafa fosse opera di Donatello ma i più importanti critici lo avevano negato, considerandola chiara testimonianza dell’arte greca. Sennonché recentemente sono stati trovati dei documenti che accertano senza possibilità di dubbio che la testa di cavallo è opera di Donatello. Dal che si  può affermare che anche l’arte del fiorentino Donatello ha avuto la sua culla nella grecità (ora questa testa di cavallo fa impropriamente bella mostra di sé al Museo Archeologico Napoletano).

Tornando a parlar di colori, si può anche dire – come ha detto Bellenger – che Napoli  ha la luce più chiara e il buio più profondo. Che ha tante buone capacità – aggiungo – ma anche una forza satanica, oscura, lurida, viscida e falsa che le si oppone, trascinandola in basso.

Questa “conversazione cromatica” è stata una sorta di test, non sul Direttore di Capodimonte ma sul pubblico presente.  Che, entusiasta dell’incontro, è riuscito pienamente a riconoscere la cultura profonda, la mentalità aperta, la capacità di guardare ampio e lontano di questo normanno venuto da Chicago, dotato dell’aristocrazia della mente e dell’intelligenza del cuore.

Adriana Dragoni

 

gia pubblicato agenziaradicale.com

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