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Cosa mangiavano i nostri avi, nell’ottocento, a Natale?

Posted by on Gen 1, 2020

Cosa mangiavano i nostri avi, nell’ottocento, a Natale?

Ippolito Cavalcanti duca di Buonvicino (Afragola, 2 settembre 1787 – Napoli, 5 marzo 1859), riconosciuto inventore della pastasciutta, cuoco di rango reale, fine cultore d’arte culinaria e scrittore in lingua e vernacolare, ne offrì i dettagli nelle sue molteplici pubblicazioni di fine anni trenta e inizi anni cinquanta dell’ottocento (tra cui:“Cucina teorico pratica” e “Cusina casarinola”, entrambe in diverse edizioni, tutte di successo).

 I suoi trattati gastronomici erano completi sia di menu, sia di ricette e caratterizzati da un linguaggio sciolto e, a tratti, divertente. Ippolito Cavalcanti discendeva da antica e nobile famiglia toscana, che annoverava Guido Cavalcanti, poeta, amico di Dante.

Nel quattordicesimo secolo i Cavalcanti si trasferirono in Calabria. Uno di loro fu nominato viceré. Verso la fine del settecento, la monarchia borbonica conferì al casato il titolo del ducato di Buonvicino. Ippolito Cavalcanti amava portarsi sul Tirreno cosentino e bisbocciare nelle campagne buonvicinesi, insieme con i parenti, alcuni dei quali furono sindaci del paese a cominciare dagli inizi dell’ottocento e in diverse fasi dello stesso secolo e di quello successivo.

La sua cucina, indubbiamente la più rinomata del Regno, da una parte, assorbiva non pochi caratteri della cucina propria della ruralità dell’entroterra altotirrenico (uno dei suoi vanti era il “Gattò di lasagnette alla Buonvicino”), dall’altra, esportava dalla tradizione napoletana i piatti a lui cari, che, in massima parte da lui creati o rielaborati, erano già entrati nelle predilezioni dell’aristocrazia e della borghesia partenopea.

Cavalcanti riuscì a proporre una versione raffinata della cucina calabro-campana e a farne una felice sintesi mediterranea, non priva di richiami popolari, sulla spinta prevalente dei gusti dettati dalle tendenze della capitale. In “Cucina teorico pratica” del 1839, il celebre cuoco per la cena della vigilia di Natale consigliava:

” Minestra di broccoli all’oglio con alici salse. Vermicelli all’oglio, potrebbesi sostituire un Gattò di vermicelli mollicato come il sartù ripieno di pesce, olive, capperi, ecc. e volendo un piatto più nobile si potrebbe fare una zuppa di pesce e frutti di mare. Lesso di pesce con salsa alla majonese. Fritto di pesce. Pasticcio di pesce. Arrosto di pesce. Caponata con pesce. Croccanda di mandorle, o struffoli”. Per il giorno di Natale:” Minestra di cicorie. Lesso di capponi, e vaccina, con salsa o di riso, o di faggioli. Pasticcio di carne con sfoglio. Polli disossati farsiti caldi. Presciutto rifreddo. Arrosto di filetto di nero di Sorrento. Insalata qualunque. Zuppa d’ovi faldacchiere, o un Gattò alla Cinese”.

Nella versione di metà secolo, per la Vigilia il menu era questo: broccoli soffritti. Vermicelli “aglio e uoglie” (in dialetto). Fritto d’anguille e calamari. Aragoste bollite. Pasticcio di pesce. Arrosto di capitone. Caponata. Struffoli. Vino rosso di Calabria.

Qualche esempio di ricette. Per quattro commensali, ventiquattro cime di broccoli da scaldare; in una padella, quattro misurini di olio, quattro spicchi d’aglio, otto alici salate pulite da far soffriggere; versare i broccoli nella padella, condire con sale e pepe e fare stufare il tutto “asciutt’asciutt’e”.

Altro primo.

Condire i vermicelli bolliti con tre misurini d’olio, qualche spicchio d’aglio, sale, pepe e mezzo quarto di alici salate. Pasticcio di pesce: scaldare due rotoli di merluzzo e cefali puliti; tritare un po’ di scarola e soffriggere nell’olio (un misurino e mezzo); aggiungere un po’ di olive senza ossa, capperi e un po’ di alici salate, sale, pepe e un pugno di pinoli; fare una pasta frolla, in buona parte, da stendere in una tortiera, mettere una metà della scarola senza brodo; in mezzo, mettere il pesce (“perché chisso se mette sempe mmiezo”), sopra l’altra metà della scarola e, infine, coprire il tutto con la parte restante della pasta frolla in un’adeguata cottura.

Per il pranzo del giorno di Natale. Minestra di cicorie. Bollito misto. Capone in padella. Pasticcio di interiora di pollo. Carne di maiale selvatico o di cinghiale. Arrosto di maiale nero. Insalata di cavolfiori. A fine pranzo, a tavola: “’na quantità de piattine de frutte, de sciosciole, de piattine de cose doce, acquavita, e no poco de cafè, pecché sempe è buono”. Auguri.

Luigi Michele Perri

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