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Croce e il cristianesimo. Il voto sul Concordato

Posted by on Mar 3, 2016

Croce e il cristianesimo. Il voto sul Concordato

chi di spada ferisce di spada perisce infatti Benedetto Croce, nipote di Silvio Spaventa, è stato fondamentale per la demolizione del Regno delle Due Sicilie ed è stato molto importante per il neonato stato italiano nel legittimarsi. ora invece, nel terzo millennio, la cultura italiana lo ha dimenticato infatti appena subito la sua morte hanno portato un po alla volta la cultura a Torino, che l’ha sola assorbita, fino ad arrivare a fare il salone internazionale del libro, la sede legale della Rai e tutto quello che si muove in Italia nel libro, nella danza lirica, come nella gastronomia, nel calcio ecc ecc passa per Torino. Gli unici a non accorgersi di questo isolamento culturale di Croce sono i giacobini napoletani che sono rimasti a re nasone e che napoli e importante solo per la camorra, per il mandolino, strumento di grande pregio e difficilissimo da suonare, e la pizza dimenticando che lo stesso Croce diede della pizza una descrizione originale e bella “la pizza il più nobile monumento elevato alla povertà”. bellissimo il libro di Francesco Palmieri IL LIBRO NAPOLETANO DEI MORTI dove ci sono vari confronti tra il Croce e Ferdinando Russo, di seguito un dialogo sul Corriere tra un lettore e Sergio Romano…………

Il lettore Abelardo Ignoti “Sono rimasto sorpreso nel leggere che Benedetto Croce non aveva un buon rapporto con la cultura cattolica. Mi chiedo se fosse proprio anticlericale o propugnasse semplicemente la separazione tra Chiesa e Stato. Non mi pare che il Concordato segnasse necessariamente una sottomissione alla Chiesa, per cui l’avversione che Croce manifestò non mi pare giustificata. Se l’aveva accettato Mussolini, di cui si ricorda la sfida a Dio di fulminarlo entro cinque minuti, c’è da supporre che il Concordato fosse stato una intesa doverosa. Vorrebbe esprimere la sua opinione?””

Risponde Sergio Romano “”Caro Ignoti, In una saggio intitolato «Perché non possiamo non dirci cristiani» apparso su La Critica nel 1942, Benedetto Croce scrisse: «Il cristianesimo è stato la più grande rivoluzione che l’umanità abbia mai compiuta: così grande, così comprensiva e profonda, così feconda di conseguenze, così inaspettata e irresistibile nel suo attuarsi (…). Tutte le altre rivoluzioni, tutte le maggiori scoperte che segnano epoche nella storia umana, non sostengono il suo confronto, parendo rispetto a lei particolari e limitate». Non era una conversione. Quando parlava di «rivoluzione compiuta dalla umanità», Croce escludeva implicitamente interventi ultraterreni e verità rivelate. Benché scritto nel pieno della Seconda guerra mondiale, il saggio fece molto baccano e fu oggetto di diverse interpretazioni. Ma non indusse la Chiesa Romana a modificare il suo giudizio su un filosofo di cui le opere erano state messe all’Indice sin dal 29 giugno 1934.
Quanto al Concordato, caro Ignoti, Croce non poteva approvare che lo Stato facesse alla Chiesa concessioni destinate a trasformare l’Italia in una specie di condominio. Non gli piaceva, per fare qualche esempio, la creazione di un Ordinariato militare per l’assistenza spirituale delle Forze armate, l’insegnamento religioso impartito nelle scuole medie, l’impegno a non impiegare in un servizio pubblico «sacerdoti apostati o irretiti da censura». Non gli piaceva che il sacerdote, per la celebrazione del matrimonio concordatario, divenisse ufficiale di stato civile e che il Presidente del Consiglio del Regno d’Italia avesse firmato con la Santa Sede due documenti (il Trattato del Laterano e il Concordato) che cominciavano con le parole «In nome della Santissima Trinità».
Al Senato, quando fu messo ai voti un documento che «plaudiva alla felice soluzione della questione romana», il senatore Croce dette voto contrario insieme a Luigi Albertini, Alberto Bergamini, Emanuele Paternò, Francesco Ruffini e Tito Sinibaldi. Prima di votare, aveva pronunciato un discorso in cui aveva tirato una implicita stoccata a Mussolini con queste parole: «Accanto e di fronte agli uomini che stimano Parigi valer bene un messa» vi sono quelli «per i quali l’ascoltare o no una messa è cosa che vale infinitamente più di Parigi perché è affare di coscienza».””

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