Cronache dal brigantaggio e dintorni di Valentino Romano (XVI)

Il fiume della Storia trascina e sommerge le piccole storie individuali, l’onda dell’oblìo le cancella dalla memoria del mondo; scrivere significa anche camminare lungo il fiume, risalire la corrente, ripescare esistenze naufragate, ritrovare relitti impigliati sulle rive e imbarcarli su una precaria Arca di Noè di carta.
Claudio Magris
Le monete tosate
Brindisi, agosto 1862
Calano i Piemontesi al Sud e subito si mette mano alla riforma del sistema monetario: dal ducato napoletano si passa alla lira italiana. Prima del 1860 nel Regno delle Due Sicilie, accanto alle monete ufficiali, circolavano diverse altre monete, vecchie anche di secoli, che venivano tranquillamente usate per transazioni di ogni genere. Il controvalore di ciascuna di queste monete era determinato esattamente dal valore effettivo del metallo prezioso di cui erano composte, valore che costituiva una sorte di convertitore attuale. Per fare un esempio chiunque avesse una moneta in metallo prezioso, ancorché fuori corso, poteva tranquillamente cambiarla in oro o argento di eguale valore.
I Piemontesi scelgono la lira come moneta unica nazionale e imposero la transizione forzosa, con una serie di decreti che stabiliscono il ritiro e la sostituzione di tutte le vecchie monete.
Ma la moneta diventa anche un veicolo simbolico di opposizione: non usare la lira italiana è un modo di contrastare la percezione della sovranità piemontese che si veicola anche attraverso la diffusione delle monete con l’effige del monarca: la situazione, si trascina per anni, anche nella nostra provincia. Con D.R. del 6 luglio 1862 si stabilisce che le monete di conio napoletano attualmente in corso in corso delle provincie meridionali ed in quella delle Marche saranno ritirate dalla circolazione e surrogate con nuove monete di bronzo decimali.
Lo stesso decreto fissa tariffa, modalità e tempi di cambio della moneta: il corso legale delle vecchie monete cesserà il 1° ottobre. La data viene voi spostata al 31 ottobre. E, nel frattempo si litiga allegramente sull’uso della nuova moneta.
Cos’è accaduto? Le fonti ufficiali nulla dicono. I fatti possono però facilmente desumersi rovistando tra le carte d’archivio: il 14 agosto 1862 il Sottoprefetto dell’Intendenza di Terra d’Otranto manda un messaggio urgente al Sindaco di Brindisi, Balsamo: è giunto a conoscenza del sottoscritto che continue questioni si fanno in questa piazza a causa che molti individui non vogliono ricevere la moneta di nuovo conio. Lo scrivente è nell’obbligo d’interessare V.S. sul proposito onde si compiaccia far disporre un bando che tutti coloro che si rifiutano a ricevere tal moneta saranno arrestati ed inviati al potere giudiziario.
Dunque, la maggior parte della popolazione brindisina, con buona pace di Re Vittorio, se ne frega del decreto: continua ad usare la vecchia moneta, anche a costo di incorrere nei rigori della legge che prevede nel caso specifico l’arresto fino a cinque giorni, l’ammenda fino a 50 lire (nuove, per giunta), il sequestro e la confisca della vecchia moneta.
Ad accrescere le difficoltà nella sostituzione delle monete contribuisce il ricorso ad un’espediente truffaldino: la tosatura delle monete, un sistema ingegnoso e largamente in uso; la moneta di metallo nobile, oro e, soprattutto argento, viene rifilata dagli speculatori lungo i bordi, perdendo parte del suo peso e rendendo così difficoltoso il cambio.
Lo Stato italiano, modificato il sistema di conversione, è costretto – nella fase di transizione – ad accettare le monete tosate. Queste – nella fase di doppia circolazione – vengono ancora date in pagamento ai militari delle guarnigioni di stanza nel brindisino e ritornano in circolazione.
Il Sindaco di Brindisi è costretto allora a scrivere al Sotto Prefetto del Circondario lamentando che: moltissime monete usoconsunte di antico conio, ed anche rase vengono estratte da questa Regia Cassa della Ricevitoria Distrettuale e distribuite soprattutto ai militari qui di guarnigione, i quali la spendono in Piazza. La cosa spiega Balsamo suscita il malcontento dei venditori i quali malgrado una certa ripugnanza a riceverle, pure alla fine sono costrette dalla forza.
E al danno, come sempre, si aggiunge pure la beffa: …intanto avviene che nel versarsi le monete istesse alla Cassa d’onde partono, vengono dal Ricevitore, o dai suoi agenti respinte. Il Sindaco è giustamente indignato e, rotti gli argini, della tolleranza denuncia un altro inconveniente: si verifica ciò particolarmente coi venditori forestieri i quali riportando nei loro Comuni la moneta consunta, le casse pubbliche degli stessi la rifiutano, e la moneta ritorna qui.
Lo Stato cioè paga i soldati con le monete tosate di antico conio; con queste vengono pagati i commercianti, i quali, allorchè si apprestano a cambiarle nelle casse pubbliche, se le vedono rifiutare: detto più chiaramente, lo Stato prima rifila monete tosate e poi si rifiuta di riceverle.
Non c’è che dire: la nuova organizzazione statuale comincia proprio bene; la burocrazia si adopera a creare disagi all’utenza, pretendendo che i cittadini applicano norme che esso stesso non rispetta.
Nel frattempo però sforna proroghe su proroghe al provvedimento: l’8 maggio 1864 fissa il termine perentoriamente al 31 agosto, per poi spostarlo al 7 settembre.
Il 23 marzo dell’anno successivo il Ministero delle Finanze è costretto ad ammettere che il disegno di ritirare le vecchie monete è riuscito solamente in parte, essendosene raccolta una quantità non maggiore di tre quarti di quella della presunta. E si ricorre alle maniere forti, minacciando le rivocazioni degli esercenti gli uffici del lotto e del sale e tabacchi che facciano uso delle antiche monete.
E non è ancora finita: il Governo, successivamente, ritenuto di dover riconoscere che non venne spiegata dai Contabili ed Agenti Governativi quella diligenza, e dai Municipi quel concorso che sarebbero stati necessari per la compiuta riuscita del cambio…, è costretto a concedere un novello ritiro non maggiore di un mese. Una sorta di telenovela che ancora oggi non è finita. Non perché circolino ancora monete napoletane, s’intende: piuttosto perché si usa una moneta il cui peso, ad ogni passaggio di mano (soprattutto pubblica) perde un po’ del suo valore.