Cronache dal brigantaggio e dintorni di Valentino Romano (XVII)

Il fiume della Storia trascina e sommerge le piccole storie individuali, l’onda dell’oblìo le cancella dalla memoria del mondo; scrivere significa anche camminare lungo il fiume, risalire la corrente, ripescare esistenze naufragate, ritrovare relitti impigliati sulle rive e imbarcarli su una precaria Arca di Noè di carta.
Claudio Magris
Accidenti alla coppola
Villa Castelli, ottobre del 1862
E’ l’alba di una qualunque domenica d’inizio autunno nelle campagne di Villa Castelli, un borgo della più popolosa Francavilla Fontana.
Massari e giornalieri di campagna accendono i fuochi e si preparano ad accudire il bestiame.
Anche a masseria Monte Scotano – posta a meno di due chilometri dal borgo – “nelle stanze superiori” – il massaro Rocco Cavallo, la moglie Caterina Epicoco e i nipoti Francesco e Vita Lucia Maggi indossano gli abiti della festa, per recarsi a Ceglie ad ascoltare la messa domenicale; i “gualani ne’ sottani”, invece accudiscono il bestiame.
Per tutti l’incubo si materializza improvvisamente rompendo la nebbia e s’ingigantisce progressivamente: “… vedemmo arrivare interpolatamente persona e a cavallo, che noi in su le prime credemmo Carabinieri; ma ben presto ci avvidimo essere briganti, giacché si doedero ad imprecare e minacciare gli abitanti della masseria ed a percuotere con scudisci…”
Racconta massaro Rocco: “mi vidi aggredito da una banda di briganti, dè quali se ne presentavano prima due, dopo un momento altri dieci e dopo altri pochi minuti dieci altri, i quali minacciandomi la vita richiesero che mettessi la sella alle due giumente…”
Cavallo è terrorizzato, appartiene alla Guardia Nazionale e sa bene quanto in odio siano i suoi componenti alle bande brigantesche che scorrono la campagna: asseconda perciò ogni richiesta dei briganti: sella una giumenta sola perché l’altra ha appena partorito, consegna lo schioppo, tutta la biada immagazzinata. I briganti depredano tutto quello che capita a tiro: briglie, selle, ferri per cavalli, stivali, camicie, pane, formaggio, fichi secchi. “Inoltre nel prendersi pane ed altri commestibili, vollero che prima ne avessero mangiato le persone della masseria, dubitando che non vi fosse propinato veleno”.
Poi – sotto minaccia della vita e di bruciare la masseria – gli fanno “ minacciose premure onde aver pistole” che il malcapitato non ha; come non li può può accontentare nella richiesta di procurare senza indugi “dieci paja di ferri da cavallo e cento paja di chiodi”.
Fin qui il racconto, fatto dal malcapitato Massaro il 1° novembre successivo al giudice del mandamento di Ceglie, Salvatore Aprile, che – nel frattempo e per sovrapprezzo – lo ha pure fatto arrestare… per non aver denunciato il fatto e al quale tenta di spiegare che “ nel di seguente venni in Ceglie e resi pubblico l’accaduto e mi portai a questo Sig. Delegato Comunale per riferirlo, ma non potei eseguire tale mia convinzione per non averlo trovato, essendo in perlustrazione con una colonna mobile; né venni dalla Giustizia, atterrito dalle minacce e per timore della mia vita…”
Al giudice precisa pure di non aver riconosciuto alcuno dei briganti ma fornisce alcuni indizi che permettono di individuarne con certezza, se non proprio i nomi, almeno l’appartenenza alla banda: “… quelli che mi avvicinarono io non li conobbi, ma avevano l’idioma di Carovigno, S. Vito e Latiano…”.
Si tratta – senza ombra di dubbio – di uomini appartenenti alla cosiddetta “banda Romano”, cioè uomini agli ordini di Pasquale Domenico Romano, il famoso “Sergente di Gioa” che proprio in questi giorni scorre la campagna di Terra d’Otranto e che solo la notte prima ha attaccato due masserie (Castelluzzo e Sciotta) a pochi chilometri di distanza. Nella sua formazione vi sono infatti elementi conosciuti come Laveneziana (di Carovigno), altri meno noti come Baldari, Barco, Biase, Patisso e Valente (sempre di Carovigno), Carella, Cavallo, Chionna, Greco, Marulli (di S. Vito), Gianfreda, i fratelli Montanaro, Scalingi e Campana (Latiano).
La conferma viene dalla deposizione del nipote del massaro, Francesco Maggi: “…per quanto potei scorgere il Capo di essi era detto il Carovignulo ossia di Carovigno forse di cognome La Veneziana…”. E, sempre attraverso le parole dell’uomo, emergono le motivazioni legittimistiche dei briganti che, agli abitanti della masseria, spiegano che “agivano per la difesa di Francesco Secondo, a favore del quale tutti doveano concorrere”. Si informano inoltre, chiedendolo a Grazio Chirico, giornaliero sedicenne, se Massaro Rocco “avea qualche volta gridato Viva Vittorio Emanuele, viva Garibaldi…”
Finalmente i briganti “ si allontanarono dalla masseria Montescotano, presero la volta de’ monti di Martina” ma, nel farlo, incrociano Domenico Carlucci di Villa Castelli che – andando anch’egli a Ceglie – per la messa, passa nelle vicinanze della masseria e “lo minacciarono di fucilarlo perché aveva la coppola di Guardia Nazionale…”. In attesa dei documenti d’archivio. Da completare.