Cronache dal brigantaggio e dintorni di Valentino Romano (XX)

Il fiume della Storia trascina e sommerge le piccole storie individuali, l’onda dell’oblìo le cancella dalla memoria del mondo; scrivere significa anche camminare lungo il fiume, risalire la corrente, ripescare esistenze naufragate, ritrovare relitti impigliati sulle rive e imbarcarli su una precaria Arca di Noè di carta.
Claudio Magris
Il compleanno di Sua Maestà
Cantalupo, marzo del 1863
Il 14 marzo non è una data qualsiasi nella Nuova Italia: è il genetliaco di Sua Maestà, il Re Galantuomo. Occorre quindi festeggiarlo, e pure solennemente, in ogni angolo del Regno. Così almeno la pensano in molti, compreso il capitano Facciola comandante della decima compagnia del 45° Reggimento Fanteria di stanza a Cantalupo in Sabina, nel rietino, che si sbraccia onde festeggiare anche religiosamente l’Anniversario dell’Augusto Capo dello Stato, in cui si è personificata l’Unità di Italia.
Un bel Te Deum è quello che ci vuole per ringraziare Domineddio per cotanto fausto regalo alle popolazioni dello stivale.
C’è un problema però: il paese, non sappiamo perché, non pare proprio tanto grato per il dono non richiesto, dal momento che da subito si manifestò in Cantalupo una opposizione a tutte le nuove istituzioni, al punto che in quella Comune non ricevette libero corso la moneta di nuovo conio, e trovasi esclusivamente in uso l’antica dell’ex Reame.
La detta avversione è conseguenza delle mene reazionarie di cui è l’anima l’Arciprete. Figuriamoci quindi come questi accoglierà la proposta di un rito religioso pro rege Vittorio.
E difatti, l’arciprete, don Tito Perella, interpellato in merito oppone un netto rifiuto alla proposta di cantare il Te Deum in occasione del del giorno natalizio di S. M il Re.
Non se ne parla nemmeno!
Il capitano Facciola però non demorde: il Te Deum si farà ad ogni costo, ne va del suo onore di ufficiale; si rivolge quindi ad un sacerdote di un paese vicino, don Carlo Casali, il quale spontaneamente (?) e senza alcuna retribuzione (??) da Bojano si reca appositamente in Cantalupo.
Si frega le mani il bravo capitano: tutto è predisposto nel migliore dei modi: a rendere sempre più solenne e brillante quel giorno insieme alla truppa intervenne in chiesa la Guardia Nazionale, il Corpo Municipale e il Giudice del Mandamento. Aggiunge pure nel suo rapporto l’ufficiale che vi partecipa anche un gran numero di popolo, il quale col grido di Viva Vittorio Emanuele faceva echeggiare le Sacre Pareti. Nel rapporto non è specificato, però, dove il capitano abbia trovato tutto questo popolo entusiasta, dal momento che lui stesso ha dichiarato che gli abitanti di Cantalupo non vogliono vedere Vittorio Emanuele … nemmeno effigiato in moneta.
L’arciprete Perella, comunque, nel vedere la chiesa piena, sia pure di baionette in festa, rosica di brutto. E che s’inventa allora quel discolaccio, in cui sembra incarnato lo spirito reazionario?
Il malnato, mal sopportando la gioia che traspariva dal volto dei popolani, non volendo che la festa si compisse con quella stessa solennità e tripudio con cui veniva iniziata, non potendo d’altronde inibire che il reverendo Casoli celebrasse il Santo Sacrificio, non solo vieta espressamente che siano somministrati gli abiti che il prete doveva vestire onde intonare l’Inno Ambrosiano, ma si nega recisamente dar la chiave del Tabernacolo.
In poche parole l’arciprete sembra voler dire al confratello: Vuoi cantare il Te Deum e cantatelo pure, ma senza rompere le scatole a me.
Il popolo basso, almeno stando a quanto afferma Facciola, si lascia andare a un sussurro di generale disapprovazione.
Don Perella non si dà per vinto e continua, imperterrito, nel suo atteggiamento gridando non esservi legge che l’obblighi a ciò, malgrado che la preghiera gli venisse ripetuta dal Sindaco, dal Giudice e dal tutti i buoni che amano la Patria.
Sono autentici momenti di tensione e, a misura che l’imprudenza e lo scandalo, le grida e le invettive dell’Arciprete crescevano, tanto maggiore diveniva l’imprecazione del popolo, il quale vedeva nell’ostinazione e nello scandaloso rifiuto dle Parroco un insulto alla Religione (sic!) e alla Patria.
Vogliamo la Benedizione!, urla nel frattempo la folla dei fedeli.
La chiesa, a questo punto, è un’autentica polveriera: il capitano rompe ogni indugio e, poiché tutto esigeva che l’Arciprete dovesse cedere e poiché la sua ostinazione era la sommo, fu d’uopo che gli facessi intimare rilasciare la chiave o sarebbe stato condotto fuori dalla Forza.
Don Perella capisce che non può tirare oltre la corda e prescelse cantare da se il Te Deum: però, ugualmente, non si esime dal cavarsi un sassolino dalla scarpa e, posto il Sacramento sull’Altare, si volge al popolo e con vive parole di eccitamento inveisce contro il Sindaco e il Giudice e accusa di dispotismo e di tirannia il giorno del Re.
Un fremito di rabbia si manifestò allora nella popolazione ma il fermo contegno della Truppa e della Guardia Nazionale, la calma prudenza dell’Autorità, volsero ad impedire tosto il tumulto cui l’Arciprete forzavasi provocare.
Alla fine il sospirato e contestato Te Deum, seppure tra le baionette e i fucili spianati, viene cantato.
L’ufficiale, successivamente avrà pure notizia che i preti i quali stavano presso l’Altare fossero armati di pistola. Da ciò si può bene arguire come questi accaniti nemici della Patria si tenessero pronti al colpo che intendevano fare e come questo Arciprete stringendo tra le mani il Santissimo, avesse il pensiero alla ribellione.
Insomma per un compleanno si è rischiato di provocare una tragedia! Ma, fortunatamente, non è successo nulla di irreparabile. Tutti contenti allora?
Certamente lo sono le Autorità e il capitano Facciola; probabilmente lo è anche la parte di popolo presente (e magari più interessata a un ipotetico rinfresco finale); forse anche l’Arciprete che – è proprio il caso di dirlo – gliele ha cantate a tutti e che mentre intonava con le labbra il Te Deum, con il cuore salmodiava un De profundis all’indirizzo dell’augusto personaggio.
Forse l’unico non esattamente entusiasta è il titolare del Tabernacolo, ma – nella sua saggezza – avrà pure sorriso: sono circa duemila anni che gli tirano la giacchetta da una parte all’altra, anche a colpi di Te Deum; pure questa volta, come in passato, non se ne sarà dato soverchio peso.
E il festeggiato? Come avrà trascorso la lieta ricorrenza? Non lo so, ma sicuramente non ascoltando … un Te Deum