Cronache dal brigantaggio e dintorni di Valentino Romano (XXIII)

Il fiume della Storia trascina e sommerge le piccole storie individuali, l’onda dell’oblìo le cancella dalla memoria del mondo; scrivere significa anche camminare lungo il fiume, risalire la corrente, ripescare esistenze naufragate, ritrovare relitti impigliati sulle rive e imbarcarli su una precaria Arca di Noè di carta.
Claudio Magris
Brigante per gelosia.
Tuoro di Sessa Aurunca, ottobre del 1863
Pasquale Perrotta è un contadino ventiquattrenne di Tuoro: come tanti giovani della sua età ha una ragazza: io amoreggiava con la nubile mia compaesana Gaetana Esposita.
É un ragazzo tranquillo, senza grilli per la testa, lavora duramente nei campi e si tiene lontano dalle tempeste del periodo; la pubblica Autorità non può rimproverargli nulla.
Ad un certo punto però, nell’agosto del ’63, si dà improvvisamente alla macchia. Il venticinque incoccia nella banda di Francesco Tommasino che lo arruola: con una dozzina di briganti, sopravvivendo alla giornata, si dirigono verso Caspoli. Qui incontrano la banda di Ciccio Guerra (il marito della più famosa Michelina di Cesare) che li aggrega alla sua formazione, composta da una quarantina di uomini.
Guerra, che scorre la campagna autonomamente, ma unendosi spesso con Fuoco e Pace, si muove lungo il confine tra l’ex Regno delle Due Sicilie e lo Stato Pontificio, operando nel primo e rifugiandosi nel secondo. È vita dura quella alla macchia, la latitanza rende particolarmente costosa ogni cosa, dall’approvvigionamento dei viveri alla complicità dei fiancheggiatori. E Ciccio Guerra si arrangia come meglio può: così, una decina di giorni dopo l’arruolamento della banda di Tomasini, dice di volersi indennizzare di ducati mille e duecento che aveva speso per nostro vitto. Potrà farlo solo se Tomasini e compagni commettono qualche piccolo furto: questi però sono solo poveracci travolti dalle circostanze, non autentici briganti e se la svignano con il pretesto di visitare i nostri parenti.
Il nostro Pasquale e gli altri continuano a girovagare per le campagne e, in cerca di cibo, l’otto settembre cercano di penetrare in un casolare di Fontanafredda; ma la casa è vigilata e sono costretti a fuggire. Per giunta Pasquale si ammala ed è costretto a rifugiarsi in una grotta vicino a Tuoro. La vita brigantesca non fa per lui, decisamente. Per questo, nell’ottobre, si costituisce al delegato di Pubblica Sicurezza.
Per lui si aprono le porte del carcere e inizia la trafila degli interrogatori: le autorità vogliono sapere i nomi degli altri componenti la banda, le mosse di Ciccio Guerra, chi sono coloro che li aiutano, in quali posti si rifugiano. Insomma, tutte le notizie utili alla caccia dei briganti.
Pasquale balbetta le poche risposte che è in grado di dare, ma non basta: gli inquirenti insistono, vogliono sapere anche il motivo per il quale si è dato alla latitanza, chi è che velo ha indirizzato, di quali trame reazionarie è stato complice. E il giovane – che non sa nulla di trame e complicità, di reazionari e liberali, di Francesco e di Vittorio – ammette candidamente che è fuggito nelle campagne per… gelosia!
Infatti nel mese di agosto ultimo venne in congedo l’altro compaesano Andrea Turcoletti, bersagliere Nazionale. La Gaetana mi tradì e nella sera del diciotto agosto, avendoli incontrati uniti presso l’abitato, per far paura alla Gaetana, le sparai contro una pistola carica a piccoli proiettili senz’aver idea di offenderla; ed infatti non colpii.
I rozzi inquirenti stentano a credere che Pasquale non avesse veramente in animo di uccidere la Gaetana: non sono in grado di capire che, quando si è amata veramente una persona, non si può odiarla al punto di farle del male. E che, se anche si preme un grilletto non è per rabbia ma per delusione. Ma le autorità devono colpire i briganti, anche quelli che lo sono diventati per amore: e lo condannano.
Però, e senza giustificare affatto la violenza contro una donna, dobbiamo convenire – sia pure sottovoce – che un pochino Gaetana se l’è cercata: benedetta figliola, proprio con un bersagliere nazionale dovevi cornificare un contadino del Sud?