Alta Terra di Lavoro

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Cronache dal brigantaggio e dintorni di Valentino Romano (XXXVII)

Posted by on Ott 9, 2025

Cronache dal brigantaggio e dintorni di Valentino Romano (XXXVII)

Il fiume della Storia trascina e sommerge le piccole storie individuali, l’onda dell’oblìo le cancella dalla memoria del mondo; scrivere significa anche camminare lungo il fiume, risalire la corrente, ripescare esistenze naufragate, ritrovare relitti impigliati sulle rive e imbarcarli su una precaria Arca di Noè di carta.

Claudio Magris

Guardie e ladri a teatro

Catanzaro, luglio del 1865.

Il generale Pallavicini è infuriato come un toro a cui si è appena mostrato un drappo rosso: più paonazzo del detto panno gira e rigira nervosamente tra le mani alcuni fogli; sono i rapporti, appena arrivatigli, che il Comandante territoriale della zona di Catanzaro prima e il Luogotenente Generale Ispettore dei Reali Carabinieri gli hanno inviato.

Roba da matti: un brigante appena costituitosi è stato visto al caffè, a cena e – udite, udite – persino a teatro con il Delegato di Pubblica Sicurezza che lo aveva in custodia.

Le carte sono inequivocabili: la mattina del 13 luglio il brigante Giosafatte Rotondo di Gimiglaino si costituiva al Delegato  di PS, sig. Romano e il 15 veniva tradotto a Catanzaro, scortato da un ufficiale del Regio Esercito, il Sottotenente Pietro Mazzalorso del 29° Reggimento Fanteria.

Ivi giunti s’introdussero tutti e tre nel caffè Maltese per prendersi dei rinfreschi. E, per giunta, mica un caffè qualsiasi! Il migliore della città! Sissignore, proprio in uno dei posti più in, frequentato dall’ufficialità tutta del presidio e dai più distinti cittadini.

A Pallavicini fischiano le orecchie di brutto, gli sembra di sentire i mormorii indignati dei benpensanti e di vedere i sorrisetti ironici degli ufficiali del presidio. Ma il peggio, per lui, deve ancora venire perché i tre compari, fattasi l’ora del teatro uscirono e volsero  verso il medesimo. Arrivati alla porta dello stesso – dice il rapporto dei RR. CC. – il sottotenente si ritirò e il Delegato col brigante s’introdussero prendendo posto in platea, ove rimasero durante tutto lo spettacolo, terminato il quale uscirono entrambi.

Non ci può credere il bravo generale: invece di portare il brigante in Prefettura, interrogarlo e spremerlo per bene per avere notizie utili alla cattura di altri briganti e fiancheggiatori, se lo spupazzano in giro facendogli fare il turista. E magari – avrà temuto il nostro sconsolato generale mentre scorre i rapporti – dopo se lo sono pure portati a cena.

Infatti caro Pallavicini, non è che si voglia infierire, ma è proprio così: il Delegato e il brigante, finito lo spettacolo, unitisi all’uffiziale più volte ripetuto si recarono a mangiare nell’albergo Roma

Questo è troppo per il generale che, urlando come un ossesso, ordina immediatamente un’inchiesta interna e l’arresto del sottotenente Mazzalorso.

I superiori di quest’ultimo, dopo aver messo agli arresti di rigore, l’ufficiale si rendono conto che lo stesso è estraneo ai fatti: è vero che quel giorno si trovava a Catanzaro, ma per tutt’altro servizio: giungeva infatti da scorta al canonico don Gabriele Fabiani. Adempiuto all’ordine si era recato presso al caffè e più tardi al teatro in compagnia di Uffiziali e non del brigante che vide però a teatro ove questi era in platea. E prima ancora che lo spettacolo finisse uscì solo dal teatro e dispose il proprio drappello per la aprtenza senza recarsi in alcuna trattoria o locanda.

Viene così arrestato un altro sottotenente, Leopoldo Castellacci che si difende sostenendo che in effetti ha scortato lui il Delegato e il brigante e che li ha accompagnati in Prefettura; è effettivamente andato al teatro ma non in platea con i due, anzi ci è andato per conto suo, trovando posto sul palco degli militari con un ufficiale dei RR.CC. Il delegato a metà spettacolo lo ha chiamato e lo ha fatto scendere in platea, dove gli ha riferito come il brigante fosse in libertà per parte del prefetto e rimaneva a disposizione militare, e perciò glielo consegnava.

Il Castellacci, conoscendo come non dovesse essere posto in carcere ma lasciato libero custodito per prevenire una fuga, sentì quanta responsabilità pesasse su se stesso e non ha  creduto far meglio che fermarsi in platea rimanendo però in piedi verso la porta d’uscita mentre il brigante trovavasi seduto sulle panche alquanto avanti.

Ed è per tale motivo che, finito lo spettacolo, ha accompagnato i due alla trattoria e poi alla locanda Serravalle ove dormirono e solo alla mattina successiva verso le ore sei ritornarono a Gimigliano.

Pallavicini, come dirà al Comando del Dipartimento Militare di Napoli, adotta le più severe misure nei confronti dell’incauto ufficiale, gli arresti di rigore con sentinella armata alla porta, ma deve assolutamente togliersi un sassolino dallo stivale nei confronti del prefetto di Calabria 2ª Ultra, Homodei, che proprio non sopporta. Così si arma di penna e calamaio e gli scrive una letteraccia: possibile che non avverta il discapito del prestigio dell’Autorità politica di questa Provincia? Non gli passa per la testa che un Delegato di P.S, rivestito della sciarpa tricolore con revolver a lato non rappresenta in teatro e in caffè un cittadino qualunque ma bensì un funzionario pubblico nell’esercizio delle sue funzioni?

Il Delegato – continua il generale – è stato già trasferito ma merita un esemplare castigo che valga a pubblica soddisfazione. Non è infatti passeggiando in città accompagnato da briganti a modo di trionfatore che si acquista fama di uomo attivo e intelligente!

E, visto che ci troviamo, chi ha dato l’ordine di traduzione a Catanzaro? Come mai non è stato preventivamente avvertito il colonnello Fontana che ha la responsabilità militare della zona?

Ed è, scrive Pallavicini, in nome del Comando Generale della Divisione Militare di Catanzaro che io venga a dimandarle come Ella si sia arbitrato a spedire in Gimigliano ordini di immediata traduzione di un brigante!  

Chiariamo le cose una volta per tutte: all’Autorità Politica, signor Prefetto, nelle cose di brigantaggio spetta tutt’altra parte di quella ch’Ella sovente si attribuisce: dia Ella a questo Comando le abbisognevoli notizie, le faccia Ella dare dai suoi delegati di PS ai miei Comandanti di distaccamento e poscia lasci fare al Potere Militare la cura di perseguitare i briganti.

Insomma, detto papale papale: i briganti sono…cosa nostra e guai a ci si mette di mezzo! Il sig. Prefetto Homodei ritiene di poter assumere in cose di brigantaggio un predominio che io non sono punto disposto a cederle? Sappia allora che io non intendo che s’invertano le nostre parti e perciò non tollererò alcun atto che possa da lei essere praticato a questo scopo.

La storia del brigante finisce qui, essendo privo il fascicolo di qualsiasi riscontro di Homodei. Ma che Pallavicini, nelle cose di brigantaggio non abbia mai voluto nessuno tra i piedi è risaputo.

Resta un dubbio: Eccellenza Pallavicini, dove sta scritto che i briganti non possano andare a teatro?

E un’ultima domanda viene spontanea: Eccellenza, non certamente per difendere un Delegato narcisista solo perché porta il mio stesso cognome, ma non trova che il suo pavoneggiarsi con un brigante a teatro sia da preferirsi a quello dei suoi soldati con le teste mozze e i cadaveri sfigurati dei contadini del Sud?

A me sì.

Non mi guardi però in cagnesco per cotanta impertinenza. In fondo se l’è proprio cercata Lei.

Stia bene, ovunque si trovi!

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