Alta Terra di Lavoro

già Terra Laboris,già Liburia, già Leboria olim Campania Felix

Cronache dal brigantaggio e dintorni di Valentino Romano (XXXVIII)

Posted by on Ott 16, 2025

Cronache dal brigantaggio e dintorni di Valentino Romano (XXXVIII)

Il fiume della Storia trascina e sommerge le piccole storie individuali, l’onda dell’oblìo le cancella dalla memoria del mondo; scrivere significa anche camminare lungo il fiume, risalire la corrente, ripescare esistenze naufragate, ritrovare relitti impigliati sulle rive e imbarcarli su una precaria Arca di Noè di carta.

Claudio Magris

Adesso pure i Prefetti organizzano bande di briganti!

Cosenza, agosto del 1865

Carmine Buonfiglio è un brigante condannato a 20 anni di detenzione e detenuto nel carcere di Spezzano Albanese: il 21 luglio viene tradotto dai Reali Carabinieri a Cosenza, a disposizione del presidente del Tribunale Militare della città. Nel corso della traduzione però, a ridosso di un bosco, avendo finto di cadere e di rompere i ferri su d’una pietra riesce a fuggire sperdendosi nella folta boscaglia senz’averlo i Carabinieri i quali erano a cavallo potuto più raggiungere. La notizia diviene subito di dominio pubblico, gettando discredito sulla Benemerita. E, dal momento che già cominciano a circolare le prime barzellette sull’Arma, la gente sghignazza sul fatto che, essendo i militi a cavallo e non potendo inseguire il fuggitivo nel fitto di un bosco con i quadrupedi, abbiano preferito perdere quello piuttosto che questi. Ma, almeno questa volta – come spiega l’Ispettore delle Regioni Meridionali dei Reali Carabinieri al Comando dell’Arma  – l’ironia è gratuita: i poveri carabinieri hanno dovuto eseguire, loro malgrado, ordini superiori. E si scopre l’arcano: si è trattato di una finta evasione, fortemente voluta dal Signor Prefetto di Cosenza, Guicciardi.

Addirittura! Sissignori, proprio così.

È accaduto che un tal Canonico Migliotti di Cosenza si offriva in primi giorni del precorso luglio al Sig. Prefetto di quella Provincia di eliminare l’inafferrabile ed astutissimo capo brigante Palma, al secolo Domenico Straface di Longobucco. Per raggiungere tale obiettivo è necessario infiltrare un uomo nella sua banda, fargliene conquistare la fiducia e ucciderlo alla prima occasione utile.

Il progetto è intrigante ma di difficile attuazione. Palma però, come sanno anche le pietre, è uomo sospettoso e assai guardingo, uno di quelli insomma che – come si dice – dormono con un occhio aperto:  non si fiderà certamente del primo venuto. E così il prefetto Guicciardi  e il canonico Migliotti escogitano un piano diabolico: serviamoci di un brigante vero già nelle nostre mani, facciamolo evadere, lasciamogli organizzare una piccola banda che operi a ridosso di quella del Palma, permettiamogli di scorrere la campagna e di operare sequestri e grassazioni; a questo punto Palma non avrà problemi a ritenerlo uno dei lori e lo accoglierà di buon grado nella sua, visto che si sforza in ogni modo di ingrossarla.

Per la bisogna viene subito individuato il Buonfiglio che, avvicinato e allettato con la promessa di una libertà inaspettata, accetta.

Il problema da superare,  a questo punto è uno solo: come convincere le autorità militari a rilasciarlo; per di più, al comando dei militari della zona è stato mandato da qualche settimana quell’autentico rompiscatole del generale Pallavicini, con il quale Guicciardi non si è preso dal primo istante, mal sopportando la sua ingombrante presenza. Come convincerlo? Il funzionario governativo sa però che non è necessario dire tutto e così scrive al Pallavicini prospettandogli la necessità di trasferire il detenuto a Cosenza per un’operazione riservata di polizia. A malincuore il generale acconsente. Viene perciò allertato, in tutta riservatezza, il comandante dei Reali Carabinieri al quale si ordina la finta evasione. L’ufficiale non ci sta: giustamente teme di far rimediare una figuraccia all’Arma che sarà imputata dall’opinione pubblica di essersi fatto scappare da sotto il naso il detenuto. Però, considerato che ancor prima dell’istituzione stessa dell’Arma, è stato adottato il motto dell’usi obbedir tacendo, abbozza e mette in atto il piano.

Il brigante, che una volta libero – e dopo un abboccamento segretissimo con il prefetto –  raccoglie intorno a sé tre o quattro compagni e con loro si dà alla macchia, rendendosi subito protagonista delle prime ruberie. La notizia dell’inopinata fuga raggiunge gli alti vertici dell’Arma che ne chiedono spiegazioni: l’Ispettore è allora costretto a vuotare il sacco per giustificare i suoi uomini, addossando giustamente la responsabilità dell’accaduto al prefetto. Dal Comando dei Reali Carabineri il fatto raggiunge quello dell’esercito; e da questi, in via gerarchica all’incontrario, perviene al generale Pallavicini.

E qui scoppia il finimondo: Pallavicini è furioso per essere stato preso allegramente in giro da un prefettucolo qualsiasi. Proprio lui che ha sempre visto i prefetti come il fumo negli occhi, un fastidio inutile e un ostacolo alla lotta contro il brigantaggio. Ha appena finito di mandare a quel paese il prefetto Homodei di Catanzaro per aver tollerato che un suo delegato se ne andasse a teatro con un brigante: adesso questo gliene sottrae un altro e gli fa organizzar eppure una banda! Di questo passo dove vogliamo arrivare? Al Ministero degli Inrteni si son messi a dare i numeri al lotto?

E la cosa che più gli brucia è il doversi pure giustificare con il VI Gran Comando! Perciò, imprecando come un dannato, il 2 agosto scrive a Napoli: scrissi al Tribunale militare di Cosenza perché Buonfiglio fosse messo a disposizione. Stupii nel rilevare come quel Prefetto,  anziché farsi consegnare il brigante dal Tribunale militare,  avesse adottato il partito di una finta evasione, compromettendo il prestigio dell’Arma dei Reali Carabinieri. E non basta! Il signor Prefetto non solo adesso se ne serve come una spia ma è giunto a metterlo in qualità di capo banda recrutandogli ancora i banditi che dovevano formare la comitiva di lui. Per accreditare ancora più il Buonfiglio negli ambienti briganteschi, il giornale il Bruzio, giornale della Prefettura di Cosenza, ad arte in un articolo del 28 luglio pubblica e la fuga di Buonfiglio e la formazione della nuova orda brigantesca e le già commesse grassazioni.

Cose turche davvero! È un rospo che Pallavicini non può inghiottire e, dopo una notte insonne, il 3 gliele canta direttamente al prefetto: Ricevo notizia della formazione di una nuova comitiva organizzata e diretta dalla S.V. che da costì sarebbe a capo, mentre che l’evaso bandito Buonfiglio in campagna ne regolerebbe le mosse.

Beh, almeno la soddisfazione di dare a Guicciardi del capo brigante se l’è tolta. E non è l’unica, continuiamo a leggere: cosa si aspetta lo stimatissimo signor prefetto, che Pallavicini, dopo essere stato preso in giro, adesso dia disposizione perché la comitiva della quale da costì ne sarebbe a capo sia risparmiata dalle truppe? Campa cavallo! In data d’oggi ho scritto perché dalla mia truppa si dia la caccia ai briganti,  senza fare distinzioni in favore di quelli ai quali non la rapina ma una supposta missione umanitaria dà l’abito del bandito!

E, visto che si trova, coglie l’occasione per dire a Guicciardi quello che pensa di lui e dei loro difficili rapporti: l’operato di lei, è inutile che più oltre lo nasconde, sin dal mio arrivo nel Cosentino fu tale da rompere ogni accordo…ella in ogni ramo seminò la mia via di ostacoli e mi rese più difficile il risultato. Adesso basta, anche il Bruzio gli è stato messo contro. Ma i prefetti devono stare al loro posto e non devono in alcun modo interferire con l’operato dei militari. Sia chiaro una volta per tutte!

Il 4 agosto Pallavicini riscrive a Napoli: La comitiva Buonfiglio altro non è che una bella e buona orda brigantesca come tutte le altre, colla sola differenza che essa è stata organizzata dal Governo, caso questo unico nella storia del brigantaggio de’ tempi nostri … i fatti si conosceranno, malgrado le arti del giornale del giornale della Prefettura di Cosenza!

Nel frattempo il prefetto continua imperterrito nel suo agire: sono tempi in cui ognuno vuole appuntare sul proprio petto quante più medaglie sia possibile e si sgomita pesantemente con chiunque possa apparire d’ostacolo al loro ottenimento. Guicciardi arriva ad intavolare una vera trattativa con Palma. Sarebbe per lui un colpo eclatante passare per l’uomo che ha ridotto alla ragione uno dei più temuti briganti. La cosa non sortisce effetti positivi e il solito giornale coinvolge nel fallimento anche i militari. Pallavicini esplode: noi intervenimmo solo per evitare la sciagura della cattura di un Prefetto. E questi, tramite il Bruzio ci coinvolge nel fallimento!

La misura è colma: altre insinuazioni non meno sleali precedettero il mio arrivo nel Cosentino e furono inserite nelle colonne di quel periodico; si cercava di dimostrare l’inutilità della venuta del generale Pallavicini nella Calabria Citeriore, bastando a quella provincia le cure del suo energico ed intelligente Prefetto per garantirla contro i pochi ladruncoli che ancora la infestavano. E dopo poche settimane che ti combina lo stesso giornale? Chiede conto a Pallavicini della non rispettata sicurezza pubblica, facendo su di lui pesare tutta la responsabilità delle devastazioni brigantesche. L’autore di quegli articoli è un prete, factotum della Prefettura e creatura del Signor Guicciardi.

Ormai la guerra aperta tra Pallavicini e Guicciardi, che i Ministeri interessati (Guerra e Interni) continuano a definire pudicamente “dissidio” rischia serie conseguenze nei rapporti tra istituzioni diverse dello Stato e, in alto loco,  si cerca di porvi rimedio. Ma i due continuano a duellare fieramente in punta di penna e a colpi bassi: Guicciardi scrive una lettera a Pallavicini accusando di accanirsi principalmente nella persecuzione ; quest’ultimo, replicando, la bolla come inqualificabile e tronca definitivamente anche una minima parvenza di rapporti: ho scritto al Ministero chiedendo per il meglio del bene pubblico l’allontanamento mio o di lei dalle Calabrie. In attesa io tronco qualsiasi rapporto con codesta Prefettura e rendo preintesa la S.V. che ogni e qualunque lettera mi pervenisse da codesto Ufficio, sarà da me indeclinabilmente respinta.

I Ministeri non ne possono più e, ciascuno per quanto di loro competenza richiamano i due duellanti: Pallavicini è invitato ad astenersi da forme troppo vive di linguaggioa non trattare i prefetti come se fossero suoi dipendenti; Guicciardi viene richiamato all’ordine e inserito nel prossimo giro di trasferimenti prefettizi per allontanarlo da Cosenza.

Si sa, la diplomazia un accomodamento lo trova sempre.

I due perciò abbozzano e finalmente tacciono.

Ma Pallavicini non è tipo da tenersela fino in fondo e così il 10 ottobre scrive, con insolita autoironia, al Gran Comando di Napoli: temendo che a buon diritto mi si potesse attribuire l’epiteto di prefettofobo (sic!) io mi astenni dal tornare sull’argomento Buonfiglio, ossia sulla pratica Guicciardi, poiché questa è a quella strettamente legata…  però adesso è tempo di denunciare le ridicole pratiche colla banda Palma (pratica che per le forme furono una seconda edizione della commedia di Rionero). L’abboccamento colla banda Palma venne praticato con pompa ufficiale; i briganti e i Carabinieri se ne stettero schierati mentre Prefetto e Capo banda discorrevano amichevolmente trattando come suolsi fare da Generali belligeranti. Questo convegno, generalmente disapprovato, non condusse che a un fiasco con grave disappunto del prestigio del Governo.

Beh, per una volta sono costretto ad ammettere di essere d’accordo con Pallavicini, anche perché l’intera faccenda rimanda – ahinoi – a certe non lontane trattative, a talune operazioni di “infiltraggio”… insomma alle tante deviazioni che oggi vengono allo scoperto, più faticosamente di quelle della seconda metà dell’ottocento.

Submit a Comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.