Alta Terra di Lavoro

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Dalla “diaspora” al “risanamento” – Una ininterrotta serie di rapine e sopraffazioni ai danni del Sud

Posted by on Dic 2, 2022

Dalla “diaspora” al “risanamento” – Una ininterrotta serie di rapine e sopraffazioni ai danni del Sud

     Prima di addentrarci nel tema,sento il dovere di avvertire quanti mi gratificheranno nel leggere queste  righe, di ricavare, dalla situazione sotto gli occhi di tutti, un insegnamento o un criterio di lettura per avvicinarsi con atteggiamento critico alla storia d’Italia che va dal 1860 ai nostri giorni. Analizzando, infatti, la situazione attuale dell’Italia, non si potrà negare che essa  è l’unico Paese al mondo dove lo Stato non garantisce gli stessi diritti a tutti i cittadini, in palese contraddizione con le stesse leggi che sono alla base del suo ordinamento.

      Questa raccomandazione  deve costituire il filtro attraverso il quale analizzare la storia trionfalistica imposta dal vincitore e divulgata dai formatori di opinione entrati a far parte del sistema.

      Questa constatazione, o dato di fatto, se vogliamo chiamarla diversamente, basterebbe da sola a dimostrare che il tanto celebrato “Risorgimento” o non era, in partenza, quello che si voleva far credere (e quindi non era nato con spirito filantropico  per eliminare miseria ed arretratezza), oppure che non è riuscito a conseguire lo scopo reclamizzato nella propaganda, visto che, a distanza di oltre 160 anni, non solo non è stato in grado di creare una nazione geograficamente omogenea, ma, anziché affratellare i suoi abitanti, ne ha acuito le distanze e ne ha aumentato le differenze. Tale situazione è nata contemporaneamente alla falsa unità nazionale, conseguenza diretta dal difetto d’origine con cui la nuova entità politica  si presentava alla ribalta. Il difetto d’origine è un insieme di tanti elementi come la slealtà, la calunnia, la menzogna, la violenza, che, essendo i principi ispiratori della nuova nazione che si stava formando, non potevano generarne una dove trovassero applicazione il diritto, la giustizia e la legalità. Si cominciò male già con la  falsa dichiarazione della raggiunta unità, quando mancavano ancora alcune parti della penisola per poter sostenere la bugia. Si continuò poi con il deliberato disconoscimento di tutti i valori di cui erano portatori i vari Stati che ci si apprestava ad annettere a quello più retrogrado e liberticida esistente sul territorio; e si proseguì con la creazione di falsi e di calunnie per coprire tutti i misfatti di cui si macchiarono i sedicenti liberatori.                                                                                                                                        

     Tutto quello che è avvenuto dalla fine del 1860 ad oggi, infatti,  non fa che confermare questa affermazione. L’Italia non era ancora stata unificata che perfino le balie e i manovali del regno che veniva  proditoriamente invaso vennero sostituiti da personale proveniente dalla parte settentrionale della penisola, dando così inizio alle prime situazioni di disoccupazione e di miseria: prodromi del massiccio fenomeno migratorio che avrebbe costretto gli ex regnicoli a portare le loro energie ed il loro ingegno in terre lontane e molto spesso anche poco accoglienti,  grazie alle fosche tinte con cui i falsi fratelli li avevano dipinti. E questo – senza andare a consultare archivi di sorta –  già potrebbe fornire un criterio di giudizio relativamente allo spirito ed alle intenzioni con cui si erano mossi gli ispiratori e i “manovali” del Risorgimento. A questo punto, riporto un pensiero di F. S. Nitti: «Quando l’Italia meridionale fu unita al resto d’Italia e il nuovo regno fu proclamato, lo Stato delle Due Sicilie era il solo in grande prosperità finanziaria. La sua rendita pubblica era fra le più stimate d’Europa e non rappresentava che un tenue onere; i beni demaniali ed ecclesiastici erano superiori a quelli di tutti gli altri stati della penisola, uniti assieme; la quantità di moneta metallica era enorme e rappresentava in cifra assoluta una somma due volte superiore a quella di tutti gli altri stati della penisola. L’Italia meridionale non era ricca; ma poi che il popolo avea una vita quasi primitiva e lo Stato avea un regime economico quasi mercantilista, il paese avea nel 1860 tutte le condizioni per trasformarsi; condizioni che la legislazione unitaria eliminò in gran parte».( Nitti, “Napoli e la questione meridionale”, p 53).

     Ad Italia appena unificata, invece, dal 1862 fino al 1873 i ministri degli esteri sabaudi Giacomo Durando, Luigi Federico Menanrea, Carlo Cadorna e Giovanni Lanza cercarono di ottenere, da qualunque potenza si dichiarasse disponibile, un pezzo di terra, possibilmente nelle regioni più estreme ed inospitali del pianeta, per deportarvi gli ex regnicoli che non avevano gradito il tipo di libertà regalato loro dai sedicenti liberatori.

    Una di queste regioni per la quale si impegnò a più riprese il Menabrea era la Patagonia. Chi ha un’idea delle difficoltà di viverci che offre ancora oggi, epoca dei cellulari, degli aerei supersonici e di tutti i ritrovati che la tecnologia moderna è riuscita a trovare per migliorare le condizioni di vita dell’uomo, potrà facilmente immaginare cosa potesse rappresentare all’epoca! Da questa data, un tale comportamento  nei riguardi degli ex regnicoli – divenuti nel frattempo meridionali –  è stato il leit-motiv di tutti i governi che si sono succeduti. Tutti, però, come linea guida, hanno avuto una grandissima capacità che farebbe invidia ai più grandi sofisti: quella di far apparire derubati i ladri e ladri i derubati. Fatte passare e fatte accettare come vere, infatti, la rapina del Sud e la pulizia etnica in esso operata come “Risorgimento”, liberazione e riscatto di questa terra e dei suoi abitanti, non è stato difficile ai vincitori – servendosi dei formatori di opinione e di tutte le fonti di informazione diventati parte del sistema – veicolare messaggi di superiorità per una parte della nazione e di inferiorità per l’altra.   

     Ora, già l’adozione di queste diverse misure che – ripeto – si protraggono da oltre 160 anni,  per quello che dovrebbe essere un solo popolo  sono la chiara dimostrazione  che di unità non c’era alcuna intenzione nei piani dei liberali e poi di quelli che sarebbero stati i loro èpigoni fino ai nostri giorni.

     Per tornare alla capacità di far credere per vero quello che vero non è, riporto un altro caso verificatosi un quarto di secolo dopo la dichiarata unità: il Risanamento di Napoli.

     Anche per quest’altro doloroso capitolo della nostra storia bisogna fare almeno due premesse.

     La prima è che di risanamenti ve ne erano già stati quattro: a Firenze, a Roma, a Milano e a Torino. Ma il Risanamento da tramandare alla storia doveva essere quello di Napoli, e il popolo beffato, mortificato e decimato doveva risultare  il destinatario di un colossale intervento pubblico inteso ad eliminare definitivamente le condizioni di scarsa igiene che costituivano una situazione di pericolo per la salute pubblica.

     La seconda premessa – per dare la misura della poca considerazione in cui era tenuto il Sud –  è che, nonostante Napoli con i suoi 450.000 abitanti fosse la città più popolosa e quindi la più bisognosa di lavori di ammodernamento, dovette aspettare ben venti anni dopo Firenze (con 100.000 abitanti) e Milano (con 200.000 abitanti) perché la classe politica di allora si decidesse ad intervenire anche lì.  Questa decisione però, più che da un sentimento di filantropia, fu dettata da gretti interessi di natura economica. E gli attori, come un branco di iene su una carogna, mostrarono tutto il loro cinismo, facendo fruttare a loro vantaggio la epidemia di colera che colpì la città nel 1884.

     Accadde quello che sarebbe capitato nel XXI secolo, quando, per salvare alcune banche del Nord, fu fatto scomparire  e svenduto il più antico e prestigioso istituto di credito: il Banco di Napoli. Molte banche del Nord stavano per fallire perché i prestiti che avevano erogato alle ditte impegnate nei lavori di risanamento nel centro e nel nord dell’Italia apparivano di difficile esigibilità. Allora come evitare il loro fallimento? Ed ecco inventato il Risanamento di Napoli, per il quale si verificarono le stesse situazioni dell’inizio dell’unità, nel senso che, dei milioni di lire (di allora) spesi, neanche una lira rimase al Sud perché tutte le imprese alle quali furono affidati i lavori erano del Lazio, del Piemonte, del Veneto e della Liguria. La situazione creata dal colera creò le condizioni per dichiarare lo stato di emergenza che permetteva di assegnare i lavori senza rispettare le normali procedure previste dai regolamenti. Di questa situazione – vera opera di sciacallaggio –  approfittarono abbondantemente  le ditte appaltatrici, facendo lievitare i costi, una volta giunti quasi a fine lavori, e impedendo all’autorità preposta al controllo la possibilità di effettuare verifiche, perché queste avrebbero richiesto del tempo durante il quale i cantieri aperti in quasi tutta la città (Porto, Pendino Mercato, Vicaria, S. Brigida,Largo Castello, S. Lucia, Vomero, Piazza Garibaldi, PiazzaCarlo III, Materdei, Vasrto e Arenaccia), con l’epidemia di colera in corso avrebbero finito per aggravare la situazione.

     Contro la gente del Sud, nell’indifferenza di tutti, furono consumate  ulteriori violenze. Le case costruite, che avrebbero dovuto ospitare le ottantacinquemila persone sfrattate, per l’alto costo del canone di locazione che la plebe non poteva permettersi, furono destinate alla media e alta borghesia; le persone che nell’habitat in cui erano nate e cresciute riuscivano a sopravvivere essendosi ingegnate nelle più disparate attività, una volta allontanate dal luogo che consentiva loro la mera sopravvivenza, furono destinate a morire di inedia; le ditte che avevano realizzato i lavori e le banche ad esse collegate divennero proprietarie degli stabili realizzati. Così, oltre ad aver ottenuto dei finanziamenti pubblici per le opere che erano state loro affidate, ebbero in regalo anche i complessi che avevano realizzati, assicurandosi ulteriori entrate per l’avvenire. Accadde che, non potendo pagare il canone richiesto, dietro il “paravento” rappresentato dai nuovi edifici, la minore quantità di spazio lasciato libero dalle nuove costruzioni fu occupata da un maggior numero di persone. Il che portò ad aggravare la situazione igienica e, alla fine, come risultato si ebbe un arricchimento delle società e degli istituti di credito del Centro-Nord e la scomparsa di circa un quinto della popolazione a favore della quale era stato “inventato” il “Risanamento” (strana assonanza con il Risorgimento!).

     Altra pulizia etnica.

     Ma nell’immaginario collettivo, Napoli rimase come l’unica città di cui ci sia il ricordo di un “Risanamento”, e quella che aveva fagocitato cento milioni di lire dell’epoca  dei contributi incamerati dallo Stato con le imposte.

     Denunce contemporanee e molto toccanti per le tragiche verità in esse contenute, a questa ulteriore violenza ai danni del Sud furono portate avanti da Matilde Serao nel suo “ Il ventre di Napoli” e da Pasquale Villari nelle sue “Lettere meridionali” e nel saggio “La questione napoletana e le case popolari”.

     Ma voglio chiudere con un giudizio sul Risanamento espresso dallo storico dell’arte Cesare De Seta in “Napoli, Laterza, 1981: “Un’opera, che doveva essere destinata a profitto degli abitanti delle più fetide abitazioni della città, si risolse in un macroscopico inganno proprio a danno di quelle popolazioni”(“Napoli sventrata” di Enrico Fagnano in L’Alfiere Pubblicazione Napoletana Tradizionalista, anno XXXIV, n.1, Fascicolo 76, pagina 27, Ottobre 2022).

Castrese Lucio Schiano

30 novembre 2022

1 Comment

  1. Tutto vero. E tutto sintetizzato in quel caput sine censo che I partemopei subito tradussero in cap e’ Zi Vicienz. Unico verace ricordo di tutti quei milioni spesi … per ulteriormente danneggiare l’economia dei Quartieri!!!

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