Dante e l’esoterismo
«O voi che avete gl’intelletti sani | mirate la dottrina che s’asconde | sotto il velame de li versi strani»: questo passaggio della Divina Commedia (Inferno, IX, 61-63) ha permesso di scatenare ogni tipo di fantasia.
Si va dal poeta risorgimentale Gabriele Rossetti (1783-1852), che inaugura il filone dei «velamisti» (la definizione è di Umberto Eco), insistendo sull’esistenza di un linguaggio segreto convenzionale, che sarebbe proprio di una setta antipapale, i Fedeli d’Amore, alla quale sarebbe appartenuto anche Dante; al politico liberale Eugène Aroux (1773-1859), certo di aver trovato la “chiave” per dimostrare le “vere” posizioni di Dante (Clef de la comedie anti-catholique de Dante Alighieri) e che tacciava il Poeta di essere «hérétique, révolutionnaire et socialiste»; fino al massone e islamico René Guenon (1886-1951), che “colse” in alcuni arditi paralleli simbolici la prova del legame, che avrebbe unito l’iniziato Dante ai massoni suoi – di Guenon – contemporanei; passando ovviamente attraverso tutti i rivoluzionari italiani, che nell’Ottocento vollero accreditare il Divino Poeta come aderente ante litteram a quelle che sarebbero state le posizioni risorgimentali, cioè unitarie ed anticlericali.
Insomma, di Dante si è detto di tutto: eretico legato ai Catari, ai Templari, alla setta proto-massonica dei Fedeli d’Amore, ghibellino odiatore della Chiesa, precursore della Riforma protestante, forgiatore alchemico di «versi strani» sotto i quali si celano indizi che solo gli iniziati – dotati, è ovvio, di «intelletti sani» – possono comprendere. Il limite di tutti questi «velamisti» è quello di partire dalla persuasione indiscussa che Dante fosse massone, templare e rosacroce, quindi di dimostrare che un simbolo massonico o rosacrociano apparisse anche in Dante.
Il linguaggio segreto
Per larga parte del XX secolo ha avuto grande fortuna la leggenda “neoghibellina” dei Fedeli d’Amore, i quali avrebbero costituito una conventicola di oppositori al regime guelfo e redatto un codice che permetteva loro di scrivere poesie apparentemente innocenti, entro cui nascondere significati occulti.
Nella Divina Commedia, trasposizione poetica della Summa theologiae, Dante è profondamente cattolico, apostolico e romano. Ed il discorso non vale solo per il Dante “ghibellino”, ma anche per le tante altre interpretazioni – una per tutti, che sta riprendendo piede ultimamente, quella del Dante “islamico” –, che possono ingannare soltanto se estrapolate dal contesto generale. Di fronte all’opera nella sua integralità non si può negare la coerente adesione di Dante alla più stretta ortodossia cattolica. Nessuna eresia, nessun rifiuto della Chiesa da parte del “traduttore” di San Tommaso d’Aquino!
Basti ricordare un caso emblematico: l’odiato Bonifacio VIII, condannato ancora in vita nella bolgia dei simoniaci (Inferno XIX, 53) e poi definito sprezzantemente «principe dei novi Farisei» (Inferno XXVII, 85), viene successivamente paragonato a Cristo, quando considerato non come uomo e peccatore, bensì come rappresentante di Dio in terra, nel rievocare l’episodio dello «schiaffo di Anagni» (Purgatorio, XX, 87). Nessuna posizione antipapale, dunque.
«Sotto il velame de li versi strani»
Consideriamo infine la situazione in cui è inserita la “famigerata” terzina sul «velame de li versi strani». Dante e Virgilio si trova no all’ingresso della città di Dite, al passaggio dagli incontinenti ai violenti, al di là delle cui mura si trovano gli eretici o eresiarchi. All’approssimarsi dei due pellegrini (Canto VIII), i diavoli si rinserrano e chiudono le porte: inutile è il tentativo di Virgilio di convincerli ad aprirle. Anzi, a breve giungono le Gorgoni a minacciare i due e Dante è costretto a serrare le palpebre, per evitare di rimanere di sasso (Canto IX, 37-60).
A questo punto c’è l’invocazione agli «intelletti sani»: «O voi ch’avete li ’ntelletti sani, | mirate la dottrina che s’asconde | sotto ’l velame de li versi strani» (IX, 61-63). E quale dottrina troviamo? Nelle terzine successive viene descritto l’arrivo di un angelo che produce un gran frastuono e scuote le acque dello Stige (64-66) come un vento impetuoso, che scuote un bosco alzando un polverone e facendo fuggire uomini e bestie (67-72). Virgilio fa aprire gli occhi a Dante (che li teneva chiusi per evitare di incontrare lo sguardo delle Gorgoni) e lo spinge a guardare il punto da cui sta giungendo il messo celeste (73-75). Questi viene paragonato ad un serpente, che provoca al solo apparire la fuga delle rane: tutte le anime dannate scappano di fronte all’incedere dell’angelo che cammina sopra le acque, infastidito solo dalla sporcizia presente nell’aria (76-84). Dante comprende che si tratta di un angelo inviato da Dio e si volge a Virgilio, che gli fa cenno d’inchinarsi (85-87).
L’angelo «pien di disdegno» apre la pesante porta semplicemente colpendola con una «verghetta» (88-90) e rimprovera aspramente i demoni per essersi opposti alla volontà divina (91-99), quindi, evidentemente preso da problemi più importanti (100-103), se ne va senza rivolgersi ai due pellegrini, che possono entrare nella città di Dite, rassicurati dalle «parole sante» (104-105).
Precorrendo Benedetto XVI
Cosa può esistere sotto il “velame” se non la sottolineatura dell’importanza dell’episodio? La Divina Commedia è l’unico libro al mondo, assieme alla Bibbia, di cui viene analizzata ogni singola parola alla ricerca di ogni possibile significato (si pensi alla diatriba sorta intorno al termine «i borni» di Inferno, XXVI, 14) e mai si è neppure lontanamente ipotizzato che una sola di essa sia stata scelta per esigenze di metro o di rima.
Parimenti, sarebbe per lo meno offensivo ipotizzare che l’episodio della porta chiusa aperta dall’angelo sia solo un espediente «drammaturgico», inserito al fine di creare suspence o, più volgarmente, di «allungare il brodo»… Dobbiamo necessariamente pensare che Dante abbia voluto sottolineare l’importanza del passaggio, perché anche il lettore più distratto ponesse attenzione al significato dell’episodio: un angelo (la virtù teologale della Fede), che spalanca una porta che Virgilio (la forza della Ragione) non era riuscito a farsi aprire.
Fede e Ragione appaiate, precorrendo la teologia di Benedetto XVI.
fonte
https://www.radioromalibera.org/cultura-cattolica/arte-e-cultura/dante-e-lesoterismo/