Dario Fo, le sue opere sono armi di propaganda
Grande mattatore del palcoscenico, ma autore mediocre, Dario Fo deve tutta la sua fama al suo attivismo politico nell’estrema sinistra. Non c’è una sola sua opera che tenga, se si toglie il suo connotato propagandistico. Il Mistero Buffo, che oggi è applaudito anche da critici cattolici, non è comprensibile se non come opera anticlericale.
È morto Dario Fo, ed ora ci aspetta un profluvio di lacrime istituzionali ed una santificazione laica dell’attore lombardo. Ho scritto attore e non autore, perché Fo fu essenzialmente un interprete, le cui capacità di muoversi sul palcoscenico superano di gran lunga quelle di drammaturgo.
Qualche anno fa, intervistato da me per la rivista Fogli, Luigi De Filippo, figlio dell’indimenticabile Peppino, lamentò una grave inversione nel panorama culturale internazionale: «Hanno sbagliato tutto: avrebbero dovuto dare il Premio Nobel a mio zio Eduardo ed il seggio di senatore a vita a Dario Fo». Ciò equivaleva a sintetizzare il pensiero di molti: Fo sarebbe stato più adatto a continuare in Parlamento la sua lotta politica che non a rappresentare l’Italia con la sua produzione letteraria.
In effetti la designazione di Dario Fo da parte dell’Accademia svedese fu dovuta a “meriti” più politici che letterari: non a caso, Alessandro Zaccuri, nel suo ricordo odierno sul sito di Avvenire, sostiene che «Nel 1997, per una volta, il Nobel andò non a uno scrittore in senso tradizionale, ma quello che tecnicamente si potrebbe definire un performer». Infatti, sicuramente Fo era un grande uomo di teatro, un vero mattatore del palcoscenico (che però si confrontava quasi esclusivamente con propri testi), ma se andiamo a leggere i suoi drammi ci troviamo obbiettivamente di fronte a lavori tutto sommato modesti.
Cosa è, anzi, cosa diventa, ad esempio, Mistero buffo, senza la sua interpretazione (e a parte i plagi che sono stati evidenziati nella stesura)? Che cosa rimane di Morte accidentale di un anarchico, la cui lettura è a dir poco estenuante – oltre che fastidiosa, se si pensa che contribuì a rinfocolare il clima d’odio nei confronti del commissario Luigi Calabresi, che finì assassinato da un commando di Lotta continua?
La politica è il filo rosso che attraversa la produzione di Fo: se togliamo questa, di puramente artistico resta ben poco. Anche nelle farse come Settimo: ruba un po’ meno, le battute migliori vengono da una satira politica di grana grossa, che ai nostri tempi potrebbe essere degna più di uno spettacolo da cabaret (alla Zelig, per intenderci) che di una rappresentazione teatrale.
Coerentemente, appena ricevuto il Nobel, Fo dichiarò che avrebbe usato il denaro del premio per allestire uno spettacolo in difesa di Sofri e compagni (Marino libero! Marino è innocente!), attaccando vergognosamente Leonardo Marino, l’unico vero “pentito” della storia giudiziaria italiana (nel senso che si pentì ed andò a confessare la propria partecipazione all’omicidio Calabresi da un prete, il quale gli impose come penitenza di costituirsi) e dandogli del bugiardo e prezzolato. Nonostante l’immediata trasmissione televisiva e la pubblicazione presso Einaudi, la rappresentazione non ebbe il successo sperato (memorabile fu l’interruzione delle prove da parte di alcuni punk-bestia, che rivolsero all’attore e alla sua compagna di vita e di palcoscenico Franca Rame l’epiteto di “fascisti”, forse edotti della giovanile militanza nella Repubblica Sociale, che Fo ha cercato inutilmente di nascondere).
Da sempre dichiaratosi di estrema sinistra – naturalmente una sinistra al caviale, tanto che si diceva che in casa venisse servito da un maggiordomo in guanti bianchi –, attivista di Soccorso Rosso Militante in difesa di criminali comunisti ed extraparlamentari (come Achille Lollo, l’autore del rogo di Primavalle), Dario Fo ha utilizzato le proprie opere come arma di propaganda. Una propaganda molto ben riuscita, visto che anche molti cattolici sembrano dimenticare la furia anticattolica del suo Mistero buffo; ai nostri tempi ha perso molta forza d’impatto, ma alla sua uscita fu devastante: irridere i santi e di papi non era affare di tutti i giorni (basti ricordare lo scandalo che accompagnò la decisione della Rai di trasmettere in prima serata lo spettacolo), adesso anche le Femen possono compiere atti osceni in una chiesa e non essere neppure denunciate…
Tra le sue ultime “opere” troviamo Lu santo jullare Francesco (1999), un “omaggio” al preteso carattere rivoluzionario della santità francescana, visto quasi come una continuazione del più noto Mistero buffo, scritto nel 1969 e sul quale obbiettivamente Fo ha campato di rendita per quasi cinquant’anni. Ormai, dati i tempi ed il cambiamento della società, lo scandalo che aveva potuto suscitare una pièce come Mistero buffo non era più pensabile, ma anche nell’ultimo lavoro venivano ripetuti luoghi comuni molto utili alla propaganda anticattolica: far passare San Francesco come un rivoluzionario, evidenziandone solamente il lato materiale e nascondendo totalmente quello spirituale, come se il poverello di Assisi non avesse ricevuto le stimmate e non avesse parlato con Dio, ma fosse stato un qualsiasi prete operaio o teologo della liberazione ante litteram.
pubblcato 15-10-2016
Gianandrea de Antonellis