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DIO

Posted by on Feb 26, 2025

DIO

La “Barbajada” è una bibita inventata dal mio bisarcavolo Domenico Barbaja, mischiando cioccolato, caffè e latte, per stimolare, irrobustire e addolcire. La presente rubrica intende rivolgersi al lettore stimolandolo con il caffè delle considerazioni, irrobustendolo con il cacao delle dimostrazioni e, possibilmente, addolcire il tutto, rasserenandolo con lo zucchero dell’ironia o la panna della leggerezza.

Il primo termine dei quadrilemma del Carlismo è «Dio».

Cosa si intende per Dio? Il fondamentale riferimento alla religione cristiana cattolica.

Ho già detto che ciò che noi chiamiamo Carlismo per identificarlo semplicemente, potremmo definirlo tradizionalismo politico di tipo ispanico: non un qualsiasi tradizionalismo politico, bensì quello ispanico, perché la storia delle Spagne è molto storia particolare – e adesso la ripercorreremo in maniera molto sintetica – ha fatto sì che il tradizionalismo che si è sviluppato nelle Spagne sia diverso da quello di tipo francese o europeo, per utilizzare un termine che sarebbe stato caro a Francisco Elías de Tejada, uno dei principali pensatori del Carlismo.

Allora vediamo un attimo qual è a grandi linee la storia della Spagna: facciamo un salto all’anno 622 (VII secolo d.C.), l’anno della cosiddetta egira, la fuga di Maometto che per i musulmani dà inizio alla storia (noi contiamo gli anni dalla nascita di Cristo, loro dall’egira, quindi questo è il loro anno 1402). In quell’anno Maometto inizia la sua predicazione, che ha un successo sconvolgente, se consideriamo il fulmineo sviluppo dell’Islam, notiamo che in pochissimi anni riesce a espandersi in tutta la Penisola arabica. quindi, grazie a vari motivi geopolitici, riesce a conquistare da un lato l’Impero persiano e dall’altro tutta la parte africana dell’Impero romano e nel giro di un secolo riesce ad arrivare addirittura a Gibilterra (711 d.C.) e in 7 anni conquista tutta la Spagna, giungendo fino al nord della Spagna. Nel 718 c’è una prima ribellione che viene sconfitta. L’ultimo tentativo di ribellarsi da parte dei Goti, con il Re Pelayo, ha successo nella battaglia di Covadonga (722 d.C.), quindi 100 anni dopo l’egira l’islamismo, partendo dal nulla, ha sottomesso tutto la parte meridionale del mondo allora conosciuto.

Covadonga segna il momento di inizio della Reconquista, una lotta che è stata lunghissima e che ha la propria base in quella disperata discesa resistenza dei Goti contro gli islamici. Dieci anni dopo ci sarà la battaglia di Poitiers, molto più famosa, che impedirà ai musulmani di attraversare i Pirenei e conquistare la Francia (evitando una manovra a tenaglia di attacco da a est e da ovest da parte degli islamici) e – lentamente – inizia la riconquista dei territori iberici, una conquista che dura molto a lungo, quasi 8 secoli (770 anni) e si conclude del 1492 con la conquista dell’ultimo Regno islamico: quello di Granada. Chiaramente, in questi secoli di continua lotta contro l’islam si rafforza il sentimento comunitario, il sentimento popolare degli degli Iberici in senso religioso, perché quella che viene compiuta è una vera e propria Crociata, tant’è vero che gli stessi Papi liberano i cavalieri degli Ordini monastico militari che nascono in Spagna e in Portogallo (l’ordine San Michele in Portogallo, in Spagna e poi di San Giacomo di Compostela, di Calatrava ed Alcantara) che nascono in questo periodo dall’obbligo di combattere in Terra Santa, ma vengono invitati dal Papa a dedicarsi alla Crociata di liberazione della Penisola iberica.

In questa situazione, quando si arriva al 1492, la coscienza religiosa cristiana degli Ispani è estremamente forte, perché otto secoli di lotta contro un nemico della religione sono fondamentali per cementificare questo sentimento.

Ho detto che l’anno che segna la fine della conquista della riconquista è il 1492, noto soprattutto per la cosiddetta scoperta dell’America, ma utilizzato anche per individuare il passaggio dal Medioevo all’Età moderna.

Cosa significa Età moderna? Generalmente, nella lingua comune, siamo portati a dare al concetto di moderno un senso positivo (soprattutto se lo associamo alla tecnologia: nuovo, più funzionante, più funzionale…). Se lo consideriamo in senso assiologico, invece, il termine assume un senso negativo, perché indica il passaggio da un’epoca come quella medievale, estremamente religiosa, in cui Dio è al centro della vita umana e al centro di ogni cosa, ad un’epoca moderna in cui avviene un ribaltamento ed al centro dell’esistenza non c’è più Dio, bensì l’Uomo (Umanesimo). Di conseguenza, l’esistenza terrena non viene più vissuta in funzione della conquista della vita eterna, bensì finalizzata al godimento dell’esistenza stessa. Quindi c’è un immanentismo che si sviluppa poi nel nell’epoca moderna e che – per sintetizzare – dal punto di vista della filosofia della politica, rovescia i termini, trasformando la religione in instrumentum Regni, anziché considerare il Regno quale instrumentum Fidei (ovvero la Monarchia, il Regno, lo Stato devono essere finalizzati al raggiungimento del Regno dei cieli e non viceversa come nell’epoca moderna).

Lo Stato utilizza la religione per consolidare il proprio potere. Questo avviene appunto gradatamente nell’epoca moderna. Se noi vogliamo però individuare un momento cruciale di questo passaggio, questo non è sicuramente il 12 ottobre 1492, quando Colombo sbarca sulle coste del continente americano (peraltro senza essersi nemmeno reso conto che fosse l’America, ma pensando di aver raggiunto l’Asia). Perché non ha importanza? Prima di tutto perché nessuno è stato ancora avvertito di quanto è successo (quindi semmai dovremo spostare all’anno successivo, al marzo del 1493, quando Colombo ritorna in Spagna, rivelando di essere riuscito nell’impresa che si proponeva, cioè «Buscar el Levante per el Ponente»). Però, a ben considerarla, neanche questa notizia modifica molto: si è semplicemente trovata una nuova rotta per traffici che erano già presenti, non si è ancora capito che ci si trova di fronte a un continente nuovo, non si è ancora scoperto che è ricco di oro e di argento e quindi, tutto sommato, avviene alcun tipo di cambiamento nella mentalità europea per il fatto di sapere che si è trovata una nuova via marittima.

Invece un evento che è davvero fondamentale, che cambia radicalmente le carte in tavola, lo si ha nel 1517, il 30 ottobre, con la affissione da parte di Martin Lutero delle sue 96 tesi sulla porte della cattedrale di Guttenberg. Che sia vero o meno questo fatto (cioè che l’eretico abbia fisicamente affisso le proprie tesi alla porta della cattedrale) ha secondaria importanza: il mito lo ha codificato come reale.

E perché questo atto è fondamentale?

Perché la struttura dello Stato e della Chiesa – ma anche quella di qualsiasi società sana, iniziando ad esempio da quella dell’Ordine Gerosolimitano, che allora già esisteva da vari secoli – è una struttura gerarchica che prevede un particolare sistema per apportare le proprie critiche all’interno di essa. Ora, Lutero redige 96 tesi che sono di critica alla politica ecclesiastica, alla visione religiosa del Papato. È lecito, è possibile criticare il Papato? Si può dire al Papa che sta sbagliando? Il Papa sbaglia? Il Papa può sbagliare? Oppure è infallibile? Allora abbiamo visto che il Papa è infallibile soltanto nel caso in cui concorrano contemporaneamente tre elementi: 1) che si esprima nell’ambito di questioni di religione o di morale; 2) che avvochi su di sé lo Spirito Santo; 3) che parli ex cathedra, cioè che affermi esplicitamente di avere avocato su di sé lo Spirito Santo e di ritenersi infallibile mentre sta parlando?

Ora, questo caso è un caso abbastanza raro nella Chiesa, l’ultima volta che un Papa ha parlato ex cathedra, quindi di morale, avocando su di sé lo Spirito Santo ed esplicitando di parlare ex cathedra e definendosi come infallibile è stato Pio XII nel dichiarare il dogma dell’assunzione di Maria (1950). È stata l’ultima volta in cui un Papa abbia parlato ex cattedra: sempre rimanendo nell’ambito del culto mariano, quando Giovanni Paolo II ha sostenuto la morte della Madonna, (quindi sposando la teoria francescana che prevede che Maria sia morta e poi risorta come il figlio, essendo corredentrice; mentre la teoria domenicana parla di semplice “dormizione” della Madonna, che si sarebbe solo addormentata, ma non sarebbe morta e quindi assunta in cielo in vita), entrando in una questione molto sottile, non lo ha fatto ex cattedra, pronunciando una affermazione infallibile, bensì ha parlato semplicemente come vescovo di Roma.

Quindi in questo caso si è liberi di credere all’una o all’altra teoria, mentre – nel caso della dichiarazione di Pio XII il credente è vincolato, perché la dichiarazione ex cathedra l’ha trasformata in un dogma di fede.

Al di fuori di questo caso, il Papa è fallibile come qualsiasi alto esponente della gerarchia ecclesiastica e qualsiasi essere umano. Se il Papa dice che domani non pioverà, non è detto che non piova, perché non è una verità di fede. Se il Papa fa alcune affermazioni al di fuori di questioni morali e religiose, senza avocare su di sé lo Spirito Santo e senza parlare esplicitamente ex cattedra, quello che può dire può essere sbagliato. E, se il Papa sbaglia, è lecito correggerlo.

Chiaramente sì.

È ovvio che se il Papa fosse qui presente e volesse varcare quella porta e io sapessi che al di là c’è una voragine, io avrei non solo il diritto, ma anche il dovere di fermare una persona che – conscia o meno di ciò consegue dal suo comportamento – rischia di far male a se stessa e magari, per le conseguenze del suo gesto, di far male a molti.

Quindi, per evitare che trascini tutta la Chiesa verso un precipizio, è giusto cercare di fermarlo. Però c’è modo e modo di farlo. Nell’Ordine di Malta, se c’è qualcosa che non va, cosa fate voi? Chiamate il Gran Maestro? Vi presentate da lui dicendo: «Guarda qui. Queste sono le cose che non vanno, devono essere assolutamente cambiate». Penso che a nessuno verrebbe in mente qualcosa del genere (a meno che non sia il Gran Cancelliere), ma se parliamo di un normale Cavaliere, come siamo noi tutti, andremmo dal Gran Maestro? No, andremmo dal Delegato di riferimento, il quale considererà la cosa. Ne parlerà, poi con un altro delegato, si confronterà poi col Gran Priore e il Gran Priore sentirà magari un altro Gran Priore, poi andrà qualcuno del Consiglio e questi poi porteranno il problema al Gran Maestro. In somma, si segue una via gerarchica, che è quella che caratterizza, ripeto, qualsiasi società sana, dalla Chiesa all’Ordine cavalleresco, dallo Stato al Regno o, scendendo dal comune alla corporazione, e via dicendo: esiste sempre una gerarchia piramidale che va rispettata.

Allora se un frate ritiene che ci sia un errore all’interno della Chiesa, ha diritto di esporlo? Certo, ha diritto; anzi, ha anche il dovere di segnalare il problema, ma deve farlo tramite la necessaria scala gerarchica. Quindi si indirizza al proprio Abate, il quale sentirà a qualche capitolare, poi si rivolgerà al Padre provinciale e questi, magari consultandosi col vescovo della zona, adirà un arcivescovo e poi si andrà da un cardinale; il cardinale, con i suoi consiglieri o con altri porporati, se ritiene che la questione sia importante, la sottoporrà al Santo Padre.

Col gesto del 30 ottobre 1517, Lutero azzera tutta questa costruzione, pone se stesso (un semplice frate) sullo stesso piano del Papa (successore di San Pietro), senza seguire la scala gerarchica necessaria – percorso di protesta che era giustificato e sarebbe stato apprezzato dalla Chiesa medesima.

Sostiene pubblicamente che ci sono 96 errori nella Chiesa, ma viene chiamato da Roma per giustificare 52 delle sue tesi (quindi meno della metà, il che vuol dire che più della metà erano state ritenute corrette ed accettate dalla Chiesa) si rifiuta di andare. Un atteggiamento simile quello dei “teologi” del protestantesimo che, chiamati a partecipare al Concilio di Trento (organizzato a Trento proprio perché non fosse a Roma, quindi un luogo dove si parlava tedesco, più vicino alla Germania che agli Stati Pontifici) si rifiuteranno di intervenire, cercando varie scuse per non confrontarsi.

Tornando al nostro assunto, se vogliamo trovare un momento in cui definire l’inizio dell’era moderna, conviene scegliere la data di Lutero e non quella di Colombo. Ora, tra il 1492 e il 1517, tra la fine della Reconquista e l’atto che determina la nascita della riforma protestante passano solo 25 anni (25 anni e tre settimane).

Dunque, a soli 25 anni dalla cacciata dei Mori dalla Penisola iberica, mentre alcuni Principi tedeschi, per questione di interesse politico e personale che niente hanno a che fare con la con la religione, se non come utilizzo di questa quale instrumentum regni, decidono di appoggiare il protestantesimo, il popolo ispanico, che ha combattuto per ben otto secoli per la religione cattolica, non accetta che venga così cambiata da un momento all’altro e in questa maniera inaccettabile, con una protesta di tipo rivoluzionario, anziché attraverso gli usuali e naturali canali gerarchici.

Di conseguenza, si rifiuta assolutamente di accettare non solo la rivoluzione protestante, ma anche qualsiasi tipo di contatto con i protestanti. E quindi abbiamo Carlo V che abdica perché ritiene di aver fallito la missione di imperatore di mantenere la stessa religione nello Stato e lascia al fratello la corona imperiale ed al figlio Filippo il Regno delle Spagne (che è molto più ampio della sola Spagna, perché c’è anche Napoli, Milano, la Sicilia, la Sardegna, etc. e ci sono ovviamente i territori americani).

E Filippo II ed i suoi discendenti intraprenderanno per un secolo e mezzo una costante lotta di difesa del cattolicesimo: difesa estrema, senza nessun tipo di tolleranza nei confronti del protestantesimo; tolleranza che invece c’è non dico in Germania, che diventa circa per metà protestante, ma anche in Francia, che con l’editto di Nantes permette il culto protestante (in particolare agli ugonotti, la versione francese del calvinismo) nei territori del cosiddetto “Re Cristianissimo” (che tanto cristianissimo non è, se per combattere, ovviamente non per motivi religiosi, la Spagna si allea addirittura col Turco).

Quindi, mentre in Francia esiste la possibilità di convertirsi al protestantesimo, in Spagna, invece, c’è un rifiuto totale di accettare un’altra religione. Questo cosa comporta? Comporta conseguenze che gli storici di tipo liberale o marxista (quelle che abbiamo studiato sui manuali scolastici) considerano negative, ma che un buon storico cattolico deve considerare invece positive: cioè, poiché non è possibile alcun tipo di influenza protestante (e quindi moderna) nel Cinque e Seicento, la Spagna rimane una società sostanzialmente quasi medioevale (nel senso positivo del termine), cioè perfettamente religiosa.

Dal punto di vista filosofico si sviluppa il pensiero della cosiddetta “seconda scolastica”, quindi di tipo tomistico-aristotelico, mentre in Francia e anche nella Penisola italica si sviluppa invece il neoplatonismo.

L’indebolimento del pensiero tomistico-aristotelico farà sì che in Francia soprattutto (però anche in Italia) si sviluppi il pensiero illuministico, fortemente razionalista e sostanzialmente anticlericale, mentre in Spagna questo influsso è minimo e affetta soltanto le élites.

E il fatto che nel ‘500 e nel ‘600 non sia penetrato il pensiero umanistico neoplatonico né quello protestante, che nel ‘700 non sia penetrato il pensiero illuminista, fa sì che poi, quando arriverà la rivoluzione francese, in Spagna ci sia una resistenza e contro Napoleone scoppi addirittura una guerra.

Sì, è vero che ovunque siano giunti i giacobini (o anche quelli del direttorio), sono sempre e dovunque scoppiate insorgenze (in tutta la Penisola italiana, tranne che in Sicilia, ma solo perché là i Francesi non riuscirono a sbarcare…).

Ma quando i Francesi sono tornati la seconda volta, sotto i Napoleonidi, dal 1806 in poi, sono stati sostanzialmente accolti dappertutto e nessuno (o quasi) li più ha combattuti. Le motivazioni sono ampiamente analizzate dal Principe di Canosa nelle sue opere e non è il caso di soffermarci sugli errori fatti dai vari regnanti e in particolar modo dai Borboni.

Per quanto riguarda la prima restaurazione, sta di fatto che la Spagna è la sola nazione europea occidentale che combatte dal 1808 in poi, in una continua guerriglia di popolo, contro Napoleone (ad a Oriente, come sapete, verrà sconfitto dall’Impero russo), fino a sfiancare quel tiranno di fronte al quale tutti si sono arresi, compreso l’Imperatore d’Austria che rinuncia al titolo di Imperatore del Sacro Romano Impero, perché ha paura che Napoleone glielo venga a togliere. Allora scioglie il Sacro Romano Impero, rinuncia al titolo e addirittura nobilita Napoleone e lo equipara a se stesso, dandogli in moglie la propria figlia…

Grazie alla rigida politica religiosa dei Re Cattolici, in Spagna (élites a parte) questo non avviene.

E sempre per questo motivo, nel corso dell’Ottocento, dal 1833 fino al 1876, ci sono le tre guerre carliste che sono guerre popolari contro un’élite, purtroppo ben armata e strettamente alleata con Francesi e Inglesi, per cui riesce a vincere la fase militare; ma rimane una cultura tradizionale che vuole combattere la cultura liberale.

Ora, chiusa questa doverosa parentesi storica, per spiegare perché in Spagna in particolar modo, e non in Francia o in altre regioni, come l’Italia, venga mantenuta questa cultura di tipo religioso, approfondiamo cosa si intende per questa cultura, quella di uno Stato che abbia al centro Dio (non Dio o la religione come instrumentum regni, ma uno Stato che si senta guidato dalla religione).

Ho precedentemente citato Filippo II, che definisco sempre «il più grande dei Re» (non solo per citare l’opera lirica di Verdi, ma perché effettivamente fu un grandissimo Re che viene ovviamente attaccato e criticato come un “intransigente” perché non ebbe la “apertura mentale” di atri monarchi, come ad esempio quello di Francia ad esempio, disposto ad aprire ai protestanti.

Allora, mi chiedo, è positivo o negativo che si sia combattuto il protestantesimo? La tolleranza è qualcosa di buono, è una virtù?

Rispondiamo subito di no: la tolleranza non è una virtù, le virtù sono quelle teologali e cardinali. La tolleranza non fa parte di queste. Esiste la Temperanza, non la tolleranza.

La tolleranza è qualcosa di negativo, checché ne abbiano scritto Locke e Voltaire (due personaggi, tra l’altro, certo da non esaltare, perlomeno la parte dei cattolici). La tolleranza è negativa perché degenera necessariamente, non è possibile partire dalla tolleranza senza arrivare a una distorsione dell’ordine costituito.

Ci sono cinque gradini della tolleranza che lo dimostrano e che sono necessariamente consecutivi l’uno all’altro. Necessariamente: cioè non si può iniziare dal primo senza arrivare all’ultimo.

Grado zero della tolleranza, cioè intolleranza. Quello che hanno applicato Filippo II, III, IV e Carlo II in Spagna e a Napoli (anche a Milano, però, soprattutto a Napoli, che era il più grande Regno delle Spagne al di fuori della Penisola iberica – grande come importanza culturale, non certo come estensione, perché ovviamente i Regni dell’America erano giganteschi).

Conoscete l’editto di Granada, con l’espulsione successiva dei Moriscos e degli Ebrei che non si fossero convertiti. Ovviamente, si tratta di una totale mancanza di tolleranza, che però è servita in primo luogo a non avere continue lotte intestine, come in Francia con i protestanti, perché i Moriscos sono stati allontanati. Gli Ebrei, dal canto loro sono portatori di un pensiero di tipo cabalistico che ha avuto successo in altre regioni dove si sono stati presenti e dal quale scaturisce il pensiero gnostico, che si è sviluppa nei territori della Germania, della Polonia, in parte anche dell’Italia Settentrionale (non meridionale perché appunto faceva parte delle Spagne) e che ha influenzato negativamente la cultura europea.

Quindi questo è il grado zero della tolleranza, cioè nessuna tolleranza.

Il primo gradino della tolleranza è appunto la cosiddetta tolleranza in senso tecnico-giuridico. Ne abbiamo un esempio nel nello Statuto Albertino, che è stato valido fino all’introduzione della Costituzione italiana nel 1948: « Art. 1. La Religione Cattolica, Apostolica e Romana, è la sola Religione dello Stato. Gli altri culti ora esistenti sono tollerati conformemente alle leggi». Che significa? Significa che si può essere musulmani, israeliti, protestanti, calvinisti eccetera eccetera però con limitazioni: non c’è una completa equiparazione. Le altre religioni avevano la possibilità di avere chiese, di avere un certo una presenza di culto, ma limitata.

Secondo gradino della tolleranza: equiparazione solo giuridica. Si trova nella Costituzione italiana: «Art. 8. Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge». C’è un particolare riferimento a quella cattolica, perché – allora – la stragrande maggioranza degli Italiani era cattolica ed esiste un particolare concordato: « Art. 7. Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi». Con l’equiparazione abbiamo il pieno riconoscimento giuridico, ma non sociale che è (o era) ancora importante: va bene che si siano protestanti o musulmani, ma meglio che mia figlia non sposi uno di questi.

Quindi si giunge al terzo gradino della tolleranza: l’accettazione, anche sociale. A quel punto abbiamo il crollo della cultura religiosa per cui inizia a percepirsi anche socialmente identico frequentare una chiesa cattolica o una protestante.

Quarto grado della tolleranza: il privilegio. La posizione giuridica rimane la stessa, ma culturalmente le posizioni non cattoliche divengono prevalenti. Si vieta il presepe a Natale, si toglie il crocifisso dalle scuole, non si deve parlare di Pasqua e di Natale, ma si deve parlare di vacanze di primavera e d’inverno. Però viene rispettato il Ramadan. Negli ultimi anni nelle mense scolastiche non si è mai pensato a rispettare il venerdì di magro, però si sta attenti a non far mangiare il maiale perché gli islamici potrebbero esserne offesi e quindi nessun ragazzo deve più mangiare il maiale.

Quinto grado della tolleranza: la persecuzione. Gli esempi si sprecano (superfluo citare la blasfema kermesse delle olimpiadi parigine).

Gli esempi che ho fatto riguardano la religione, ma se volete vedere lo stesso processo in maniera più sintetica e più veloce, pensate alla questione del gender e vi renderete conto che il passaggio dalla tolleranza zero (il rifiuto) alla tolleranza uno (la comprensione), ha portato in pochi anni la giustificazione, l’equiparazione e infine la prevaricazione.

Quindi la religione cattolica deve dirigere la politica, che ad essa il rispetto totale e non può assolutamente cedere ad altro tipo di religione. Va rifiutata altresì la politica del cosiddetto giusto mezzo, anche perché il giusto mezzo (che è un termine politico nato in epoca post restaurazione), è un errore di per sé, come diceva il principe di Canosa. Cioè se noi siamo Trinitari e i musulmani sono monoteisti, non è che, se ci si mette d’accordo, si può trovare il “giusto mezzo” tra la Trinità e un solo dio e adorare soltanto due divinità. È evidente che esiste una sola verità, e quando essa è rivelata dalla religione, dobbiamo rispettarla, non fare un passo verso l’errore per accontentare chicchessia.

Quindi lo Stato ideale deve essere uno Stato perfettamente cattolico, senza cedimenti di alcun tipo.

Ora vieni la domanda: è il governo dei preti quello che il Carlismo propone? Non esattamente. È il governo dei buoni laici (anzi, possibilmente di ottimi laici) educati e sostenuti da ottimi preti: questo è il fine da raggiungere per una buona politica cattolica.

Perché il governo dei preti rischia di cadere nel clericalismo, che non è soltanto la tendenza dei preti a voler operare sempre e soltanto loro, ma è quello più grave (che si avvicina molto al democratismo cristiano) che, con una felice espressione, è sostanzialmente il «voler battezzare lo stato di fatto».

Ad esempio, di fronte a uno Stato democratico, anziché combatterlo, si cerca di cristianizzarlo. Ecco perché si parla di democraticismo cristiano o di democrazia cristiana, non necessariamente con riferimento al partito che ha preso questo nome, ma come concetto in sé che è un concetto antico che già Leone XIII aveva condannato.

Accettare, “battezzare”, cercare di “entrare” (il cosiddetto entrismo) in una situazione negativa, ritenendo che mettendo le persone buone all’interno delle istituzioni di per sé malvagie sia positivo, mentre la logica sarebbe quella di combattere, di eliminare le istituzioni negative, non di infiltrarle pensando di migliorarle, perché storicamente sappiamo benissimo che questo tentativo è stato fallimentare, come è stato dimostrato dalla politica italiana.

Sappiamo benissimo che in Italia per anni ha avuto come partito di maggioranza, una formazione che si chiamava appunto Democrazia Cristiana, teoricamente fondato su valori cristiani, ma che ha permesso la legge sul divorzio che ha distrutto le famiglie, la legge sull’aborto che ha distrutto il futuro del nostro popolo, entrambe firmate da un Presidente della Repubblica e da un Presidente del Consiglio, ambedue democristiani, uno almeno dei quali che strombazzava il fatto di andare a messa ogni giorno.

Questo atto esteriore, però, non si è concretato nella vita pratica, visto che – non facciamo i nomi, limitiamoci ai cognomi – Andreotti scrisse espressamente che si sarebbero potuti opporre, ma le conseguenze avrebbero potuto significare la caduta del governo. E nessuno vuole far cadere il governo, perché preferisce mantenere la poltrona di ministro… Così, è stata permessa una legge criminale e assolutamente anticristiana come quella dell’aborto. Poi assistiamo ad ulteriori abissi giuridici, come quello recente in Francia, con l’aborto che è diventato così comune da essere inserito addirittura tra i diritti sanciti dalla costituzione. Il che comporterà il problema di un medico che vogli rifiutarsi di compiere un crimine come l’aborto, e rischia di non poter più esercitare l’obiezione di coscienza, che potrebbe non essere più prevista quando rischia di ledere un diritto costituzionale…

Del resto, anche per quanto riguarda il governo dei preti, va detto che anche i migliori preti possono errare: un caso notevole è quello di Leone XIII, che è il più grande in assoluto di tutti i Papi dal punto di vista dell’esplicitazione della dottrina politica cattolica con le sue molteplici encicliche (non soltanto la famosissima Rerum novarum, ma anche una decina encicliche che definiscono perfettamente il pensiero politico cattolico), ma poi nella pratica il Pontefice compì un grave errore in Francia, appoggiando il gruppo del Sillon, che auspicava l’avvicinamento dei cattolici alla politica dei repubblicani; lo stesso errore fatto in Italia eliminando il non expedit che risultò fallimentare, tanto è vero che il suo successore Pio X sciolse il Sillon perché si rese conto che la corretta politica era quella di combattere il male (quindi la Terza Repubblica laicista, massonica ed anticristiana), e non certo cercare di venire a patti con esso.

Gianandrea de Antonellis

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