Dios, Patria, Fueros, Rey di Gianandrea De Antonellis
Queste quattro parole Dios, Patria, Fueros, Rey (traducibili in “Dio, Patria, Governo locale e Re”) possono essere considerate il motto e la pietra angolare del Carlismo fin dalla sua nascita.
Dios: il Carlismo crede nella Chiesa Cattolica Apostolica e Romana come base della Spagna e deve essere politicamente attivo nella sua difesa
Patria: il Carlismo è fortemente patriottico, ma non nazionalista. Il tradizionalismo considera la patria come l’insieme delle Comunità (municipali e regionali) unite in un tutto.
Fueros: Il potere regio, quindi dello stato, è limitato dal riconoscimento degli autogoverni locali e regionali (e di altri tipi di comunità nel corpo politico, specialmente la Chiesa). Anche se questo è il risultato del particolare sviluppo storico in Spagna, questa dottrina converge con il concetto di sussidiarietà nel pensiero sociale cattolico. Si noti che alcune versioni del motto omettono la clausola dei Fueros
Rey: Il concetto della sovranità nazionale è rifiutato. La sovranità è propria del sovrano, legittimo sia per sangue che per diritti. Ma questo potere è limitato dalla dottrina della Chiesa e delle Leggi e Consuetudini del Regno e attraverso una serie di Consigli, di Cortes tradizionali e di corpi intermedi indipendenti dallo stato. Il re deve anche essere il Difensore del Povero e il Custode della Giustizia.
Pensiero politico del Carlismo spagnolo
Il carlismo è un movimento politico spagnolo tradizionalista, originatosi da una disputa dinastica, ma caratterizzatosi per una visione del mondo spiccatamente conservatrice e attenta alla tradizione, in contrasto con le forze anti-tradizionali, liberali, massoniche e progressiste della società spagnola, che appoggiarono la Regina Isabella II. Svolse un ruolo determinante nella politica spagnola dal 1833 al 1939, permanendo comunque fino alla conclusione, nel 1977, del regime franchista; nel XIX secolo diede vita a numerose guerre carliste; i carlisti parteciparono anche alla Guerra Civile Spagnola, dalla parte dei nazionalisti di Franco.
Il carlismo, come corrente politica tradizionalista, ha avuto un ruolo rilevante nella dialettica politica spagnola sino al 1939, rappresentando la destra politica attenta al regionalismo e all’identità locale.
Dal 1939 la Comunión Tradicionalista come movimento politico svolge un ruolo di secondo piano. Esistono molti circoli culturali che raccolgono l’eredità dottrinale del carlismo e alcuni movimenti politici, non unificati, che si dichiarano continuatori della Comunión Tradicionalista. [2]
Il pensiero politico carlista, sintetizzato nel motto Dio, Patria, Fueros (i privilegi locali di antica istituzione), Re è stato teorizzato organicamente da diversi autori, come Antonio Aparisi y Guijarro, Enrique Gil Robles, fino a Francisco Elías de Tejada y Spínola (1917-1978) e al vivente Rafael Gambra Ciudad.
Dio e Patria
Dio è al centro dell’attività umana nel mondo, ma soprattutto in Spagna; perciò la Spagna o è cattolica o non esiste come entità statale organizzata, perché la patria spagnola comporta l’unità nella fede cattolica come sua stessa caratteristica fondamentale. Da questa fede derivano le esigenze di subordinare la politica alla maggior gloria di Dio, di dichiarare la religione cattolica religione di Stato e di ispirare la legislazione e le istituzioni alla dottrina sociale della Chiesa.
Fueros
Il termine “Fueros”, dal latino Forum, passa a significare il complesso di privilegi riconosciuti dallo Stato a una città o a una categoria, per giungere finalmente a indicare l’insieme di norme specifiche con le quali si reggono le popolazioni spagnole. Il richiamo ai fueros comporta, secondo i pensatori carlisti, il riconoscimento dell’uomo come essere concreto, inserito in una data comunità, locale o lavorativa che sia. La libertà intesa dai carlisti si contrappone, in quanto libertà particolare e di per sé riferibile a una data situazione, alla libertà giacobina, che è un concetto puramente astratto.
Re e Governo
Il pensiero politico carlista non pone l’accento né sulla persona del re, né sulla dinastia, ma sull’istituzione della Corona, situata al vertice della piramide delle istituzioni politiche. La Corona Spagnola per essere una vera Monarchia e non una tirannide deve assoggettare la politica generale ai princìpi della morale cattolica, caratterizzata dal cumulo dei diritti storici sempre perfettamente identificabili e non astrattamente definita, limitata dalla Tradizione, dalle autonomie locali e soprattutto dalla coscienza cattolica del Re.
Inoltre il Re deve assumere la responsabilità ultima del governo, che esercita personalmente e il Re stesso risponde degli eventuali abusi commessi. Le successive responsabilità rimandano al concezione della Spagna come unione di più domini uniti solo nella persona del Re, all’interno di ciascuno dei quali il Re ha compiti, poteri e prerogative differenti.
A cui si possono aggiungere altri brandelli:
Se il diritto tradizionale, che scaturisce spontaneamente dalla vita di un popolo, presenta per i casi di Napoli e della Spagna sorprendenti affinità (i fueros hanno il corrispondente nelle consuetudini, le Cortes nei Parlamenti, le società infrasovrane iberiche nelle loro omologhe napolitane), senza dubbio la decisione di Carlo III[1] di separare definitivamente i Regni di Napoli e di Sicilia dalla Corona spagnola, produsse un ulteriore vulnus.
[1] Generalmente preferiamo indicare Carlo di Borbone con il numerale VII, riferendolo alla Corona di Napoli e non a quella di Spagna. In questo caso, però, era già idealmente salito sul trono madrileno il 10 agosto 1759, succedendo al fratello Ferdinando VI, morto il giorno prima, perciò lo indichiamo come Carlo III.
Detto tra parentesi: non è un caso che il motto del Carlismo – cioè della più pura visione politica cattolica, monarchica e tradizionale – sia Dios, Patria, Fueros y Rey. Vale a dire (e si noti l’ordine in cui vengono espressi): Dio (religione cattolica), Patria (concreta Terra dei Padri e non astratta Nazione o burocratico Stato), Diritti tradizionali (cioè libertà concrete – e al plurale – e non un’astratta – pur se con la maiuscola – Libertà) e, infine, Re (naturalmente, Re legittimo, cioè non usurpatore né indegno).
Considerazioni giusnaturaliste e giuspolitiche a parte, è importante notare come il sistema legislativo napolitano che passa attraverso la consuetudine sia sostanzialmente simile a quello dei Fueros iberici, a testimonianza ulteriore della sintonia tra i due mondi.
e ricordando un editoriale de Lo Trovatore:
Il passaggio dal dialetto alla lingua, dovuto all’intento di dare maggior peso culturale al giornale, che altrimenti poteva essere creduto «un giornale da buffoni, o per lo meno una gazzetta teatrale»[1] fu annunciato con un editoriale che ribadiva l’adesione alla fede cattolica ed al legittimismo e che si chiudeva con una versione – in grassetto – del motto carlista «Dios, Patria, Fueros, Rey»: «Per Dio, per la Patria, per la Giustizia e pel Diritto legittimo!!!»[2].
[1] Il Trovatore, editoriale del 4 gennaio 1873.
[2] Ibidem.
Va notato che Fueros precede – con scandalo dei conservatori e degli assolutisti – Re!
Gianandrea De Antonellis