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E li chiamavano briganti: cronaca di una unificazione

Posted by on Ott 18, 2019

E li chiamavano briganti: cronaca di una unificazione

E li chiamavano briganti: cronaca di una unificazione

Perché dedicheremo una serata ad un argomento che ai più potrebbe sembrare inutile, stantìo, velleitario, senza possibilità di incidere sulla nostra vita?
E’ una domanda che mi è già stata rivolta ed alla quale ho risposto e rispondo.
Forse non mi sarebbe stato posto lo stesso interrogativo se l’argomento prescelto fosse stato la dominazione Araba, i Normanni, Federico II, i vespri siciliani…episodi e dominazioni entrati nell’immaginario comune come fatti positivi, come fatti di cui andare orgogliosi.
In questa mia ricerca trovo il conforto di alcuni compagni di viaggio di tutto rispetto che con la professionalità e la competenza che viene loro riconosciuta nobilitano di fatto queste nuove interpretazioni, e mi riferisco a Paolo mieli, con la sua “Aa storie, le storie”, a Giordano Bruno Guerri con la sua ” Antistoria degli italiani”, a Roberto Martucci, professore ordinario di storia delle istituzioni politiche presso la facoltà di scienze politiche dell’Università di Macerata con la sua “L’invenzione dell’Italia unita.”, ad Angelantonio Spagnoletti docente di storia degli antichi stati italiani all’Università di Bari, col suo recente “Storia del Regno delle Due Sicilie”, a Lorenzo del Boca, Presidente nazionale dell’ordine dei giornalisti con “Maledetti Savoia”, Fulvio Izzo con “I lager dei Savoia”, con Angela Pellicciari, docente di storia e filosofia, autrice di “Risorgimento da riscrivere” “L’altro risorgimento”. citeremo di passaggio autori dell’epoca e moderni, quale Giacinto De sivo, M. De Sangro, A. Capece Minutolo, Harold Acton, Topa, Cucinotta, Zitara, Scarpino, Campolieti, De Fiore, Alianello, Dennis Mack Smith.
Tratteremo queste cose perché anche questa è la nostra storia, anzi, questa è la nostra storia, la storia dei nostri antenati e della nostra terra, dove è nato e fermentato l’humus della nostra cultura, del nostro carattere, del nostro modo di essere, una storia che in mezzo a luci ed ombre – non solo ombre – ha dato al nostro popolo un grande stato, retto da una grande dinastia, che ha dato grandi impulsi alla politica, alla scienza, all’economia, alle arti, al diritto. parleremo di queste cose perché dopo 142 anni di propaganda esercitata proponendo schemi falsi e calunniosi, riteniamo sia giunto il momento che ognuno di noi, nel suo piccolo, rilegga questa storia, riveda il proprio passato e ponga fine ad un martellamento che nel tempo si è trasformato in campagna antimeridionalistica, consapevoli del fatto che qualunque rinascita del nostro popolo non possa avvenire se non passando attraverso la riacquisizione del nostro passato e del nostro orgoglio di essere meridionali. porgeremo ora, di seguito, senza aver l’intenzione di voler imporre ad alcuno il nostro punto di vista, citando quanto più è possibile le fonti, alcune considerazioni che tenteranno di risolvere alcuni dubbi, di spiegare alcuni fatti, riprendendo il discorso dalla fine, dal proclama di Francesco II da Gaeta:
……sparisce sotto i colpi de’ vostri dominatori l’antica monarchia di Ruggiero e di Carlo III; e le Due Sicilie sono state dichiarate Provincie di un regno lontano. Napoli e Palermo saranno governati da prefetti venuti da Torino.. “

Con queste parole il giovane Francesco ricorda il calvario del suo breve regno, in questo suo ultimo proclama emanato da Gaeta assediata, l’8 dicembre 1860.
Nel frattempo nell’intero regno iniziava la sollevazione popolare; iniziava la resistenza disperata che doveva insanguinare le nostre contrade per ben dieci anni.
Dai vincitori con disprezzo fu chiamata “brigantaggio”.
E’ norma che ha diritto alla dignità di partigiano chi vince, mentre è bandito, brigante, chi perde .
Come e perché si arrivò a quei giorni?.
Come e perché la cultura ufficiale ha condannato i Borbone ed il Regno delle Due Sicilie, in una condanna severa e senza appello?
Non è certo scopo di questa conversazione sovvertire le conoscenze storiche ufficiali; non c’è né il tempo, né la competenza. si cercherà solo di aprire uno spiraglio, di suscitare un dubbio, di sollecitare la curiosità.
Esistono ormai, come già detto, parecchie pubblicazioni che trattano anche questo argomento, e concordo che c’è da mediare fra tesi opposte, “navigando fra il perfetto disaccordo che deriva dalla lettura comparata dei vari testi, superando da una parte la tendenza agiografica nei confronti dei Savoia e la divinizzazione ad oltranza del risorgimento, che innalza certi fatti a miti, certe opinioni a culti, certi personaggi ad eroi e dopo morti, a monumenti.”
Mentre dall’altra parte occorre superare il sentimento nostalgico e dorato dei legittimisti e dei tradizionalisti.
E’ ormai chiaro che lo sbarco dei garibaldini in Sicilia è uno degli atti destinati alla conquista del sud la cui preparazione fu lunga e meticolosa; Vittorio Emanuele, Cavour, Garibaldi – protagonisti della storia cosiddetta risorgimentale – furono in realtà strumenti della politica imperialistica britannica e della massoneria ad essa collegata.


Cominciò, si rafforzò, una continua e serrata campagna di diffamazione, e voglio ricordare solo la lettera di Gladstone a Palmerston nella quale si definisce il governo borbonico “la negazione di dio fatta sistema”. tale lettera ebbe una grande amplificazione e diffusione in tutta Europa. confesserà poi Gladstone che non era presente ai fatti che riferisce ma questa sua correzione passerà sotto silenzio.
Tutto questo può spiegare il comportamento dell’esercito che in fondo era composto di oltre 100.000 uomini, con battaglioni di svizzeri e bavaresi ed al di là delle mitologie e degli aneddoti, ben addestrato e agguerrito.
Quando poterono combattere, sul Volturno, a Caiazzo, a Capua, a Gaeta i soldati borbonici seppero dimostrare di che pasta erano fatti, anche contro truppe numericamente superiori. (cosa che del resto gli austriaci avevano già avuto occasione di provare avendoli contro, a Curtatone e montanara, quando il loro intervento, a fianco delle truppe piemontesi, seppe rovesciare l’esito della battaglia).
Garibaldi a Calatafimi perdette centoventi volontari: se le sole quattro compagnie dell’8° cacciatori, equivalenti a meno di cinquecento uomini, lo sbaragliarono e gli fecero quel danno, quale sarebbe stata la fine della temeraria impresa del futuro dittatore delle Due Sicilie, se Landi si fosse battuto con tutti i suoi?
Cercheremo a questo punto, di aprire un piccolo squarcio, piccolo, dato il tempo a disposizione, sul regno, immediatamente prima dell’occupazione e vedremo di capire cosa ci hanno tolto ed in cambio di che cosa.
Per il regno delle Due Sicilie alla vigilia della spedizione dei mille si poteva parlare di “miracolo economico”. aveva la terza flotta mercantile d’Europa, una delle monete più solide, un debito pubblico pressoché irrisorio, praticamente inesistente l’emigrazione” – (questa comincerà ed assumerà aspetti drammatici dopo l’unificazione). il suo complesso siderurgico di Pietrarsa vantava un fatturato di gran lunga superiore a quello di analoghe strutture nel resto d’Italia.
Aveva inoltre la prima ferrovia della penisola (la famosa Napoli Portici; ma non solo, perché la rete si estese ben presto per più di duecento chilometri, ed erano pronti i progetti per allargarla a tutto il Regno).

Nelle casse statali infine, c’era quasi il doppio di quello che possedevano tutti gli altri stati della penisola messi assieme.
Riportiamo a questo proposito un estratto da “Scienze delle finanze” di Francesco Saverio Nitti:

Le monete degli antichi Stati Italiani al momento dell’annessione ammontavano a 660 milioni così ripartiti:

Stati preunitari
Milioni
Regno delle Due Sicilie
Lombardia
Ducato di Modena
Parma e Piacenza
Rmagna, marche e umbria
Roma
Sardegna
Toscana
Venezia
totale
 443,2
   8,1
   0,4
   1,2
  55,3
  35,3
  27,0
  85,2
  12,7
 668,4

Durante una conversazione, il mio occasionale interlocutore ribatté ad alcune mie precisazioni dicendo: “cosa vuole, io sull’argomento so solo quello che mi hanno insegnato a scuola”.
Ed infatti, ancora oggi a scuola non si insegna. negli anni in cui il programma prevede lo studio della storia moderna, ed in particolare del risorgimento, fra i nomi delle varie battaglie, Curtatone, Montanara, Solferino, San Martino, Bezzecca, Novara, e dei vari personaggi, Cavour, Napoleone III, Silvio Pellico, Ciro Menotti, Amatore Sciesa, Garibaldi, sbuca all’improvviso l’episodio della spedizione dei Mille, contro un Re usurpatore, tiranno e liberticida di un regno la cui connotazione è vaga e misteriosa quasi fosse ai confini della terra, spedizione guidata da un eroe fulgido, biondo che mette in fuga un esercito di diavoli neri e sporchi, vili, al servizio di un Belzebù viscido, tentennante e poi la liberazione e l’annessione in un tripudio di tricolori e peana di trionfo, con la gente del sud che osanna finalmente libera e italiana.
Chiudiamo con un’ultima considerazione sul grande odio dei Savoia verso i Borbone, odio che continuò a manifestarsi con imponenti azioni di cancellazione di ogni memoria, perpetrata con la distruzione dei monumenti, delle lapidi e della toponomastica che li ricordava.
Ma alle nuove generazioni, ai nostri figli, ai figli dei nostri figli, occorrerà raccontarla questa storia, occorrerà che sia raccontata e ricordata, affinché sia recuperato il nostro passato che è un passato di grandezza, di cui andare orgogliosi e non vergognarsi.

abstract della conferenza di Antonio Nicoletta

https://www.eleaml.org/sud/borbone/abstract.html

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