E noi stiamo a guardare…
Bruxelles, 14 novembre 2005
La Sicilia ha coltivato nei secoli una “vocazione multietnica”, ma questo continuo e incontrollato sbarco di extracomunitari ci preoccupa come da noi rilevato in un nostro precedente comunicato (SICILIA: TERRA DI EMIGRANTI E… DI IMMIGRANTI) del 16 agosto c.a.
Peraltro l’attenzione più volte manifestata dai nostri governanti verso idisagi e le difficoltà cui andrebbero incontro i nuovi arrivati, se appare accettabile nelle regioni più ricche dell’Europa, diventa in Sicilia assolutamente stridente ed in contrasto con il disagio dell’emarginazione sociale e della disoccupazione dei Siciliani; disagio che, invece, non trova risposta alcuna.
O, meglio, trova come risposta l’invito implicito ad emigrare.
Ma come?
Proprio noi, che siamo il risultato di una mescolanza di popoli che si perde nella notte dei tempi, dobbiamo andarcene?
E’ paradossale questa disparità che finisce per privilegiare l’ultimo arrivato rispetto a chi è qui da almeno tremila anni. Non si vuole mancare di umanità o negare la prima accoglienza a nessuno, ma – se proprio abbiamo bisogno di braccia – è ai Siciliani della diaspora che dobbiamo prima rivolgerci.
Quante volte ci sentiamo ripetere che la nostra gente è povera perché è inetta, incapace, non ha nessuna voglia di lavorare, non sa conquistarsi una posizione, ma soprattutto perché non vuole lasciare la sua terra, i suoi affetti più cari, i suoi sapori e odori mentre al contrario quando un extracomunitario è povero, tutte le colpe ricadono sulla società che ha
abusato di lui, ed è quindi doveroso sopportarne il costo a spese della comunità, quello stesso costo che, usato diversamente, potrebbe far vivere un po’ più decentemente la nostra gente, che nel frattempo urla di rabbia
soffre e muore.
Ma questo “Eldorado siciliano” o “Terra Promessa” è favorito dalla stessa gente senza scrupoli alla quale la nostra classe politicante ha dato e continua a dare ospitalità.
Ed a quegli utili idioti che cercano di paragonare la nostra emigrazione coll’attuale invasione che ha fatto della “Sicilia, il capolinea dei sogni” vorremmo ricordare che la nostra gente ha contribuito allo sviluppo economico del paese in cui si è installata al contrario dei nuovi arrivanti che, molto spesso, prendono senza aver ancora dato nulla al paese che li ospita, anzi fanno di tutto per imporre i loro usi e costumi.
Vorremmo ricordare anche che partendo per l’esilio forzato imposto loro dopo l’unità d’Italia (briganti o emigranti), i nostri esiliati non portavano nei paesi, con i quali i nostri dirigenti li scambiavano con delle merci da importare, né armi, né droga e non invadevano interi quartieri di prostitute, spacciatori, accattoni, etc. Anzi i nostri esiliati sostenevano regolari visite mediche per poter ottenere il visto e se non erano ritenuti idonei venivano rimpatriati con lo stesso mezzo con il quale erano arrivati.
Oggi, con l’invasione clandestina, oltre alle nuove epidemie, malattie credute da tempo scomparse, come ad esempio la tubercolosi, sono riapparse in tutta l’Europa mietendo vittime e sofferenze.
Spesse volte sulla stampa leggiamo che nelle scuole siciliane si insegnerà l’arabo considerando questa l’ultima frontiera dell’informazione.
E’ vero, bisogna dare ai Siciliani strumenti, anche linguistici, per spezzare l’isolamento culturale in cui sono tenuti dall’Unità d’Italia e, in taluni settori, anche la lingua araba può servire allo scopo, per mettere la Sicilia al centro del Mediterraneo. Ma la priorità dev’essere quella della Lingua Siciliana! Senza identità propria, da coltivare e da offrire a chi viene da fuori, non c’è futuro per noi, non saranno mai gli altri ad integrarsi a noi ma noi a loro!
Del resto, come affermare il contrario?
In una classe di 30 allievi, il piccolo arabo, cingalese, esquimese… che si trova in mezzo a tanti bambini siciliani, col tempo si integra, diventando uno di loro; mentre quando su 30 allievi 25 sono figli di immigrati di decine di nazionalità differenti, alla fine saranno i nostri figli ad assimilare la cultura degli altri.
Questo è quello che sta succedendo in tante città italiane.
Se negli anni ’50 l’integrazione poteva essere un modo come un altro per uscire dalla situazione di cittadino di serie B, poteva essere aiutata in ogni modo non esistendo quei mezzi di comunicazione che oggi, alle soglie del terzo millennio, la tecnologia ci offre.
Come si può parlare oggi d’integrare comunità differenti da noi per cultura, lingua e civilizzazione quando le facciate dei nostri edifici si ornano di antenne paraboliche che consentono un’informazione planetaria?
Vi siete mai chiesti il perché del risveglio identitario delle nostre comunità?
Certamente non è dovuto ai miliardi inutilmente investiti per la diffusione e la cultura italiana o ai miliardi letteralmente buttati dalla finestra per organizzare corsi di formazione che sono solo serviti a finanziare le clientele dei partiti al potere, ma è dovuto principalmente e soltanto ai mezzi di comunicazione esistenti: ieri la televisione oggi e domani Internet.
Nell’ Eldorado siciliano, vera Terra Promessa, leggevo tempo fa che era stata recentemente sottoscritta un’intesa tra imprenditori e sindacati per permettere ai lavoratori islamici di osservare il riposo del venerdi’ e l’orario flessibile in occasione del mese sacro di Ramadam.
Se i nostri “esiliati” avessero chiesto alle autorità che li ospitavano simili vantaggi, vi lascio immaginare quale sarebbe stata la loro reazione: licenziamento immediato, e per i nostri esiliati: rimpatrio immediato senza alcun foglio di via come fanno oggi le nostre autorità che poi aiutano gli espulsi a ritornare nel circuito clandestino.
In ogni caso si chieda prima ai governi dello Yemen e dell’Arabia Saudita di fare altrettanto nei loro paesi, quella stessa Arabia Saudita che ha investito miliardi per costruire una moschea gigantesca nel cuore della cristianità; chiediamo agli amici turchi che si sentono tanto europei di abolire le restrizioni per legge alla propaganda religiosa e alla personalità giuridica delle organizzazioni confessionali che, sotto una patina di laicità, si traducono in uno strangolamento della più antica comunità cristiano-ortodossa del mondo ovvero nell’indicazione, illiberale, della religione professata sul documento d’identità; altrimenti la nostra civilissima tolleranza si trasformerà in semplice acquiescenza ad un nemmeno tanto larvato progetto di islamizzazione del Continente Europeo.
Ma questi signori che danno lezioni di morale e di democrazia agli altri si sono almeno chiesti perché tanti extracomunitari di religione musulmana chiedano sempre di venire a casa nostra anziché migrare verso altri paesi islamici?
…E NOI STIAMO A GUARDARE…..
Francesco Paolo Catania
L’Altra Sicilia – Ufficio Stampa
Al servizio della Sicilia e dei Siciliani
Bvd. de Dixmude 40 b.te 5
1000 Bruxelles – Belgium
Tel/Fax: 0032-2-217-4831
Gsm: 0032(0)475-810756
fonte
http://www.adsic.it/2005/11/21/e-noi-stiamo-a-guardare/#more-214