Economia e Finanza del Viceregno austriaco di Napoli
Il Viceregno austriaco di Napoli resta per molti un perfetto sconosciuto. Proviamo a conoscerlo meglio analizzandone l’economia e le finanze.
Quando gli austriaci presero Napoli nel 1707 si ritrovarono un Paese stremato finanziariamente ed economicamente. Pesavano anni di guerra, i costi di un imponente sistema militare ed una struttura economica ancora incentrata sull’agricoltura per autoconsumo. Scrive lo studioso Antonio Di Vittorio che “il contributo degli altri settori alla formazione del prodotto nazionale era quanto mai modesto”. La produzione mineraria era quasi del tutto assente e limitata alle estrazioni di ferro in Calabria; le manifatture, in particolare quelle seriche, attraversavano una fase di decadenza ed estromissione dai mercati internazionali; la marineria del Paese si dedicava essenzialmente al piccolo cabotaggio. Il commercio estero realizzava lo scambio tra prodotti agricoli e materie prime, ferro anzitutto e manufatti.
Sul riformismo austriaco avrebbe però pesato la guerra in corso. Il Regno tra il 1707 ed il 1711 fece i conti con l’accentuarsi ulteriore della pressione fiscale con tre donativi e quattro valimenti. La pressione fiscale crebbe ancora ma sempre con obbiettivi militari. Solo dal 1714 gli Austriaci cercheranno più concretamente di intervenire sulla struttura economica del Regno. Buoni raccolti permisero all’agricoltura di riprendersi, tra il 1710 ed il 1712, e di rilanciare anche le esportazioni di grano verso la Catalogna, nelle mani degli asburgici. Le città però, ed in particolare la capitale, in questo periodo furono alle prese con le conseguenze di una micidiale epidemia di peste bovina.
Dal 1713 sino al 1721, si assistette ad una forte spinta demografica ed all’espansione della terra messa a coltura. Aumentarono la produzione di orzo e tra il 1713 ed il 1715 crebbero anche le esportazioni di vino e dei salumi, tuttavia la produttività agricola non aumentò a causa del persistere di tecniche agricole arretrate. Si visse una fase di limitata espansione economica, sostenuta dalla Giunta di Commercio creata nel 1710 e dalla Giunta delle arti, nata l’anno dopo, che in sè però serbava tutti gli elementi che ne avrebbero definito la fine.
Tra il 1718 ed il 1720 il Regno fu coinvolto nella guerra di Sicilia che stimolarono la produzione fino al culmine degli anni postbellici 1722 e 1723 in cui si segnalarono buoni raccolti, l’aumento delle produzioni manifatturiere, delle esportazioni di derrate e della popolazione. La fine del conflitto portò ad una riduzione delle spese militari e permise di chiudere in pareggio i bilanci. “Sono questi gli anni del “boom” minerario in Calabria, del piano Sinzendorff per lo sviluppo delle manifatture del Regno, dello spiccato interesse per le esigenze portuali del Mezzogiorno, dell’ampliamento – con progetti e trattati di commercio – dell’area commerciale del Paese, dello sviluppo della marineria, militare e mercantile, di cure prestate al servizio postale ed infine di riforme finanziarie, quali l’avviata ricompra, attraverso il Banco di S. Carlo, dei fiscali. La circolazione bancaria registra livelli che non saranno mai più raggiunti sino alla fine del periodo austriaco, mentre il gettito proveniente dagli arrendamenti appare in continuo rialzo. Il risveglio di attività commerciale degli anni 1725-29, pur contribuendo a una ripresa della bilancia commerciale del Regno, non evitò che la bilancia dei pagamenti del Paese, deficitaria all’entrata degli Austriaci nel Regno, rimanesse, come attesta il movimento dei cambi esteri, nel complesso impacciata e contenuta nei suoi movimenti, risentendo, senza dubbio, della non eccellente situazione agricola di alcuni di questi anni”, così descrive Antonio Di Vittorio questo periodo. Quando si riaffacciò la guerra, però, ogni programma si interruppe.
Angelo D’Ambra
fonte historiaregni.it
Foto tratte dalla rete, in copertina c’è il dipinto “Costa di Napoli dal mare” di Gaspare Vanvitelli