Eleonora de Fonseca Pimentel e Maria Antonietta Macciocchi a confronto
Nella sua marcia per restituire al legittimo sovrano un regno che i giacobini napoletani, tramandati poi come eroi, patrioti e martiri, avevano consegnato alle fameliche ed insaziabili truppe francesi, il Cardinale Ruffo era accompagnato dall’abate Domenico Sacchinelli,suo segretario, e da Domenico Petromasi, Commissario di guerra e tenente colonnello dei Regi Eserciti di S. M. Siciliana.
Nell’armata dei sanfedisti erano confluiti anche personaggi dal passato per niente esemplare, che sperando in una probabile amnistia qualora fosse stato raggiunto lo scopo della riconquista del regno pensavano di poter ripulire la propria fedina penale. Durante le azioni di guerra, però, alcuni di essi non erano riusciti ad evitare che il loro istinto ladresco o sanguinario avesse il sopravvento. Le devianze, però, furono costantemente tenute a bada dal Cardinale anche con la promulgazione di ordini che prevedevano pene severissime per chi si fosse macchiato di comportamenti delittuosi. Il Cardinale, però, non godeva del dono dell’ubiquità, così non poteva evitare che alcuni componenti dell’improvvisato esercito si comportassero in deroga ai suoi ordini.
Pur cattive e reprensibili, le azioni di costoro, che avvenivano in concomitanza di atti di più ampia e considerevole portata, andavano a costituire i contenuti di quella che sarebbe diventata “storia”. Tali azioni o fatti, venendo registrati contemporaneamente al loro svolgersi, non erano altro che “cronaca” pura e semplice. Ciononostante essa veniva riportata in maniera diversa sia che il cronista – poi storiografo – fosse di simpatie liberal-giacobine sia che simpatizzasse invece per i “crocesegnati”. Tra i due orientamenti, però, esisteva una sostanziale differenza che da allora si è protratta senza variazione fino ai nostri giorni, quella, cioè, che mentre i primi – tra cui il Cuoco, il Colletta, il Botta, la Pimentel – erano poco attendibili perché parlavano di fatti che si svolgevano lontano da loro, i cronisti – poi storiografi – realisti, tra cui il Petromasi e il Sacchinelli, erano presenti ai fatti di cui parlavano.
Ovviamente l’essere testimoni oculari o addirittura attori di azioni di guerra non costituisce di per sé garanzia di obiettività. Per cui sia al Petromasi che al Sacchinelli non può essere accordata credibilità solo per il fatto che gli stessi si trovavano sul luogo degli avvenimenti. La fiducia loro riconosciuta è dovuta al fatto che, nonostante di parte, quando venivano commessi abusi o atti più gravi da appartenenti alla crociata questi sono stati puntualmente riportati senza ricorrere a tentativi per occultarli o ricorrere addirittura a falsificare gli avvenimenti per far ricadere le colpe sulla parte avversa. Per quanto riguarda il Sacchinelli, la sua narrazione dei fatti si può paragonare all’ opera di un cineoperatore, tanto è precisa e aderente ai fatti, e proprio in virtù di tale precisione l’abate può permettersi di contestare le inesattezze o addirittura le falsità del Cuoco, del Colletta e del Botta. Una per tutte: << Lo storiografo Generale Colletta continuando il suo libello famoso contro del Cardinale Ruffo, e scrivendo tante menzogne quante parole, espose che la città di Catanzaro fu presa per capitolazione e ne foggiò anche a suo modo gli articoli. Alle immaginarie favole vi aggiunse anche l’ignoranza di topografia inescusabile in Colletta, che, prima di scrivere la sua storia, occupò la carica di Intendente della Calabria Ultra e quella di Direttore di Ponti e Strade. Chi non sa che, partendosi da Monteleone si incontra prima Catanzaro, situata sul golfo di Squillace, e, dopo due giornate di cammino si giunge a Cotrone (sic), situata al di là del Capo delle Colonne? Ciò nonostante il Colletta fece prima arrivare il Porporato in Cotrone, rifiutare la capitolazione offerta dai repubblicani, prendere di assalto quella Piazza, farla saccheggiare dalle sue truppe, che non aveva come pagarle, e poi lo fece marciare a mettere l’assedio a Catanzaro>>[1]
Questo modo di raccontare gli avvenimenti ha distinto, come detto, i due orientamenti o, se vogliamo, le due “scuole”. Quello dei realisti, sanfedisti, crocesegnati, neoborbonici o insorgenti lo abbiamo visto, e vedremo nelle righe successive che esso viene suffragato anche dalla testimonianza di autori dell’altro schieramento. Se non è indice di obiettività questo, non so quali criteri di giudizio adottare per definire obiettiva e affidabile una qualunque opera!
Per quanto riguarda invece il modo della “scuola” liberal-repubblicana-giacobina di trattare la storia, esso, dalle colonne del Monitore alle pagine degli ultimi storiografi, non ha registrato il minimo mutamento.
Partiamo dal Monitore, specchio della visione esclusivamente politica che la Pimentel ha del mondo. In esso la marchesa, usando non di rado un linguaggio violento, non riesce ad operare una netta separazione tra il compito della giornalista, che deve riferire i fatti, e il ruolo di ideologa di regime. Nelle notizie riportate nel Monitore, infatti, le ragioni ideologiche finiscono per prevalere sull’obiettività, e la redattrice – sicuramente cosciente della cosa – molto spesso modifica i fatti o li inventa addirittura.
Tra i tanti a disposizione, riportiamo solo due esempi per dimostrare sia la cosciente diffusione di menzogne spacciate per verità che la costruzione di falsi per giustificare un proprio fine.
Penso che siano noti ai più sia l’orientamento religioso dei figli della rivoluzione francese che le atrocità da essi commessi nei luoghi di culto, gli atti sacrileghi riservati agli oggetti sacri e le violenze messe in atto contro i religiosi di ogni ordine. Ebbene, nell’articolo di fondo del Monitore del 19 ventoso (9 marzo), la Pimentel, rivolta a quei cittadini che non ne volevano sapere di giacobini, di liberali o di repubblica, così si rivolge loro: <<Cittadini … perché pugnate, e per chi?…non pel nostro culto, la nostra Religione , che voi vedete intemerata ed intatta …>> .
Per quanto riguarda poi l’invenzione di notizie di sana pianta rimando all’episodio dei soldati russi sbarcati a Manfredonia e spacciati per detenuti fatti evadere dalle prigioni a cui erano state fatte indossare divise di militari russi.[2]
Ovviamente i due citati non sono gli unici esempi di informazione scorretta. A noi sono serviti solo per dimostrare la scarsa attendibilità delle notizie riportate dal Monitore qualora lo si volesse utilizzare come fonte per ricerche storiche sulla breve parentesi della Repubblica Napoletana. Inoltre vogliamo rimarcare, come detto, che, dal primo numero del Monitore alle ultime opere sul momento storico e sui personaggi che ne hanno avuto parte, il metodo di trattare l’argomento non ha subito la minima variazione, culminando con i lavori della Macciocchi”Cara Eleonora” e “Altamura. La strage delle innocenti”.
Cominciamo da quanto detto da Silvio Vitale [3]:<< … la “leggenda nera” del Cardinale Ruffo è davvero dura a morire. Essa infatti è stata recentemente rilanciata da Maria Antonietta Macciocchi in un articolo pubblicato sul Corriere della Sera con riguardo alla vicenda di Altamura.[4] In esso l’ex deputata comunista denuncia la “ferocia misogina dei crocesegnati” guidati da quel “vero bandito” che fu il Ruffo. Racconta di aver scoperto nel Fondo Ginguené (che la scrittrice cita erroneamente come Guinguené) della BibliotecaRichelieu di Parigi un “quaderno manoscritto di un anonimo napoletano” in cui si descrive “lo stupro di massa consumato in Altamura dalle bande dei sanfedisti contro le suore di clausura del Monastero del Soccorso” il 10 maggio 1799. Qui la Macciocchi cita a vanvera Fra’ Diavolo, Mammone e Gennaro Rivelli, figlio della balia di Ferdinando IV, che non risulta abbiano mai soggiornato in quella città. Ciò nonostante, secondo la Macciocchi, il Rivelli avrebbe assalito il monasteroe, dopo aver affondato “il pugnale nel bianco seno” della badessa, avrebbe, insieme con la sua “masnada”, compiuti “accoppiamenti lubrichi”; dopo di che “quaranta cadaveri di suore si ritrovarono sul pavimento della chiesa”>>[5] La risposta alla Macciocchi sta già in opere che la scrittrice avrebbe fatto bene a consultare. Il citato Petromasi riferisce che in Altamura v’erano tre monasteri di monache. Due d’essi erano stati teatro di “ignominie” e le monache erano fuggite con i “patrioti” prima dell’ingresso in città dei sanfedisti. Le monache del terzo, che erano rimaste nel loro chiostro, si recarono “all’accampamento del saggio Porporato onde ottenere un asilo che le assicurasse da qualunque insulto in quella tumultuaria confusione. Non ebbe allora altra mira lo zelante Prelato, che ordinare due probe persone di custodirle; quindi furono poste in un convento detto di Monte Calvario non discosto dal campo. Ivi furono trattenute fino la sera,verso cui, riassettate le cose, fu ordinato dallo Eminentissimo Duce di ricondursi nel loro monastero, ove, nonostante il saccheggiamento, nulla si fa loro mancare pel necessario sostegno”.[6] Il Sacchinelli riferisce solo incidentalmente di un monastero, ma delle monache dice che erano state “ espulse da’ patrioti repubblicani”[7]
Considerato che, sia il Petromasi sia il Sacchinelli sono autori che nulla omettono della spedizione del Ruffo e pertanto non mancano di segnalarne anche gli inevitabili risvolti negativi e, rilevato che entrambi furono presenti in quei giorni ad Altamura, ve n’è abbastanza per arguire che la “strage delle innocenti” sia pura invenzione. Va inoltre aggiunto che, sul finire dell’Ottocento, un autore notoriamente avverso al Ruffo, Ottavio Serena, nel ricostruire la vicenda, riportò la memoria di un anonimo altamurano che conferma l’intervento del Cardinale. Questi ordinò che le monache dei monasteri del Soccorso e di S. Chiara “trasportate fossero nelle rispettive abitazioni e ivi fossero custodite” e dispose altrettanto per le monache di clausura, le quali “ se ne uscirono, e lasciarono in abbandono i Monasteri, e si ritirarono tutte unite in casa sicura di un Signore con la guardia permessa dal Ruffo”.[8] La stessa versione la dette Massimo Lelj[9] di orientamento sfavorevole ai sanfedisti. Per questo le due ultime testimonianze acquistano grande significato per dimostrare la scarsa attendibilità del lavoro della Macciocchi.
Questo modo di trattare gli argomenti con uno stile più da romanziera che da storiografa fa dire all’Agnoli che la narrazione della Macciocchi è “svolta in chiave al contempo horror e sentimental-femminista” , mentre il Sanguinetti, riprendendo un giudizio espresso da Alessandro Galante Garrone, definisce la Macciocchi “ notoriamente screditata nel campo storico per le sue gravi inesattezze e fantasiose invenzioni” e colloca il suo lavoro “ all’interno del genere letterario del romanzo d’appendice piuttosto che in quello storiografico”.
Alle affermazioni della Macciocchi replicarono inoltre:
Giuseppe Castelli sull’Avvenire del 25 febbraio 1999 con l’articolo “Troppe leggende sul Cardinale Ruffo”
Giovanni Formicola sul Roma del 27marzo 1999 con “Altamura, gli errori di M. A. Macciocchi”
Francesco Maurizio di Giovine su Cronache del Mezzogiorno con “La menzogna di Altamura”.
Da tutte queste repliche e contestazioni la Macciocchi risulta del tutto screditata come storica perché non è riuscita ad evitare che l’ ideologia contaminasse l’obiettività della narrazione … proprio come la sua creatura prediletta: la de Fonseca Pimentel.
Castrese Lucio Schiano
[1] D. Sachinelli – “Memorie storiche sulla vita del Cardinale Fabrizio Ruffo. Le contestazioni alle opere di V. Cuoco, C. Botta e P. Colletta” – Edizione Controcorrente, Napoli, 2007; pgg. 133-134
[2] D. Sacchinelli – Op. cit. pag.227. Riportato al termine del mio articolo “Ancora sulla de Fonseca Pimentel” pubblicato sul Blog dell’Ass. Identitaria Alta Terra di Lavoro il 25 ott. 2019
[3] Silvio Vitale – Introduzione alle Memorie storiche … di D. Sacchinelli – Ed. Controcorrente 2007, pagg.XX, XXI, XXIII, XXIV
[4] M. A. Macciocchi “La strage delle innocenti” – Corriere della Sera, 17 febbraio 1999, pag.33
[6] D. Petromasi – Storia della spedizione dell’Eminentissimo Cardinale D. Fabrizio Ruffo …Editoriale Il Giglio, pag.24
[7] D. Sacchinelli, op. cit. pag. 181 par. 110
[8] O. Serena “Altamura nel 1799”, Roma 1895
[9] M. Lelj “La Santa Fede. Spedizione del cardinale Ruffo (1799)” – Milano, 1936; pagg. 127-147
Alla Macciocchi non interessa la verità!… sembra piuttosto giocare su notizie raccogliticce modellandole alla sua ambizione di accreditarsi nella carriera politica di una certa parte che di falsità si è sempre nutrita, propagandate come assiomi approfittando della disinformazione protrattasi troppo a lungo con l’obiettivo di manipolare il popolo…. non saremmo nella situazione caotica di oggi se così non fosse stato, a disdoro di tanti, troppi mistificatori!.. per fortuna c’è chi invece non si rassegna alla disinformazione e si adopera perché la verità emerga…almeno servisse alle generazioni future, e comunque è l’onestà intellettuale che lo esige. Grazie dell’articolo. caterina