Emigrazione e il risveglio dei nazionalismi dei popoli perseguitati
Quante volte avete visto una persona di cuore andare via dalla vostra terra per determinati motivi. Purtroppo nella vita ci sono vari destini che un individuo giustamente e liberamente dovrà affrontarli ma con sufficienti mezzi, in particolare con la coscienza.
Questi destini possono legarsi alle occasioni o ai problemi di lavoro o di vita di ogni individuo, il quale deciderà se accettarli o rifiutarli. Con il passare dei secoli, molti popoli ebbero le fortune di trovare dei momenti di pace e serenità per poter contribuire al progresso della loro nazione ma con l’avvento delle élite e delle loro idee politiche nei primi anni del Settecento cominciò ad affermare l’inevitabile: le numerose pretese di cambiamento (irrealistiche) da parte degli intellettuali elitari fanno condizionare le politiche dei governi monarchici, spingendo i popoli a vivere nelle situazioni più difficili e drammatici, specie se essi si trovino nel vero e proprio colonialismo. Naturalmente non solo il colonialismo stesso ma anche la politica di governo possono rappresentare le principali conseguenze dell’emigrazione, un fenomeno sviluppato proprio per colpa delle élite dominanti e governanti. Però queste élite dominanti costringevano questi popoli a emigrare per forza per toglierli il loro futuro e benessere, il cui obiettivo rientra nel punto di vista coloniale. Esistono varie motivazioni delle due conseguenze citate: la politica di governo può dipendere dalla presenza di un governo tirannico e illegittimo, fondato sugli interessi di una sola ideologia e classe (o nazionalista o comunista); mentre il colonialismo deriva dalla forte discriminazione di ogni popolo da parte di quel governo che tutela gli interessi dell’élite di un solo popolo, come è successo nella Jugoslavia sotto la monarchia filo-serba di Karađorđević e durante i governi collaborazionisti a guida nazionalista, costituiti sia nella Seconda Guerra Mondiale sia nella Guerra del 1990-2001. La fuga dei popoli dalle loro terre sta a significare l’abbandono della propria identità e della sua appartenenza, ma si può capire se uno o più individui vanno in altri Stati per motivi di lavoro o di sicurezza della loro famiglia ma dovrebbe essere negato tale gesto se viene fatto per scopi propagandistici. Purtroppo su quest’ultimo punto è presente nelle intenzioni delle élite che, di fatto, è assolutamente sbagliato: quale governo si permetterebbe di spingere il suo popolo a emigrare per il suo “bene”? Ovviamente il popolo costretto non è talmente scemo, tant’è che successivamente scoprirà il vero inganno dietro l’appello forzato di emigrazione. La non fiducia potrebbe essere utile a un popolo che non supporta le ennesime bugie fatte e fomentate da una presunta élite al potere, favorendo direttamente e maggiormente la coscienza. Così il popolo può esercitare il diritto di deporre la sua nemica classe dirigente e farne una nuova, in attinenza ai suoi principi civili e al diritto internazionale. Spesso nelle lotte per la liberazione anticoloniale i popoli ebbero il proprio supporto non solo da un solo movimento politico ma da più che dovettero subire il proprio esilio per scampare dalle repressioni tiranniche. Nonostante ci sono stati momenti di conflitto, però esistevano varie strutture di unità tra i movimenti politici e un popolo emigrato basato sulla condivisione di idee legate al sentimento patriottico e alle esigenze dei ceti bisognosi. Bisogna ammettere che molti movimenti identitari (conservatore, liberale o socialdemocratico) non avevano un assoluto interesse occuparsi di tutela sui bisognosi, ma furono sicuramente pressati dal popolo stesso per seguire le sue proposte e rispettarlo fino in fondo. Molti popoli emigranti si impegnarono o si stanno impegnando a liberare la loro terra occupata o discriminata da uno Stato illegittimo, ma sarebbe preferibile parlare di casi di colonialismo, in particolare quello europeo.
Visto che gli studiosi e l’opinione pubblica internazionale filo-occidentale hanno citato su soli movimenti indipendentisti africani o asiatici durante il processo di decolonizzazione, non viene citato nessun movimento identitario europeo su pressione dei governi complici per supportare illegittimimamente il loro colonialismo. L’esistenza dei movimenti identitari dei piccoli popoli europei può portare una forte preoccupazione alle élite governanti che usano la repressione e la censura per proibire la verità soprattutto storica. Il diritto alla verità può nuocere a chi desidera di avere il potere, ma è necessario metterla in discussione. Per il sostegno di tale principio innegabile non troviamo solamente gli oppositori delle tirannie moderne ma anche gli attivisti identitari, di idee indipendentiste e autonomiste, in quanto volti alla conquista dei diritti e delle libertà del loro popolo diventato colonia. La lotta per la liberazione anticoloniale dei popoli veniva svolta sia dentro sia fuori delle loro nazioni, riuscendo pian piano ad avere appoggi popolari grazie alla loro e reale collaborazione con la loro comunità emigrata ma anche dovendo resistere alle restrizioni dei governi che gli accolgono, su richiesta dei loro nemici tiranni. Ai popoli emigranti gli furono insegnati che gli Stati accoglienti gli possano offrire libertà e futuro, ma sanno se quei governi sono complici di vari crimini? Sarà difficile rispondere a questa domanda, ma andiamo a conoscere in quali popoli hanno contribuito nella loro impresa di conquista della tutela giuridica e dell’indipendenza territoriale. L’Irlanda, per esempio, rappresenta uno dei primi casi dell’esistenza dell’indipendentismo in Europa, per il fatto di essersi battutta per i suoi diritti e la sua indipendenza non chiaramente totale, perché rimane attualmente divisa dall’Irlanda del Nord ancora colonia della Corona britannica. La sua storia è stata vissuta con momenti di cambiamento radicale, di cui è necessario parlarne. L’Irlanda è la terra dei celti che la governarono dandone un contributo sociale e di progresso, ma era stata una colonia interna in mano dei britannici mediante l’avvento di Enrico II di Plantageneto nel 1171 che sancì la nascita del suo colonialismo proprio sul popolo irlandese, privandolo dei suoi diritti e dei suoi benefici a causa della sua credenza cattolica e della sua lingua gaelica. Gli irlandesi dovettero farsi sottomettere dai coloni inglesi, subendo ripetutamente le discriminazioni che non solo non venivano punite ma furono legalizzate da varie leggi regie, come la Plantations Ulster e le cosiddette “leggi penali” che, oltre a bandire ogni manifestazione cattolica e gaelica degli irlandesi, prevedevano la confisca abusiva delle loro terre per darle ai coloni per poter favorire la costruzione dei molti insediamenti coloniali. A causa della esistente discriminazione della Corona britannica, gli irlandesi cominciano a risollevarsi dando origine a movimenti letterari e politici, in particolare quelli rivoluzionari, costitui da contadini, nobili, intellettuali e molti irlandesi pentiti. Il primo atto di protesta del popolo irlandese furono le sommosse armate, i cui primi a organizzarli e compierli furono i nobili irlandesi con lo scopo di riavere le terre e di cancellare la discriminazione anticattolica dei britannici ma fu inutile, subendone una pesante sconfitta. Però con la ribellione del 1641-42 sancì la nascita del primo stato indipendente d’Irlanda, l’Irlanda Confederata, guidato dai soli cattolici nella speranza di riprendersi i loro diritti cancellati. Però questo stato indipendente ebbe breve vita con il duro e sanguinario intervento di Oliver Cromwell nel 1651 che ripristinò l’imperdonabile colonialismo e nessun re britannico, dopo la fine dell’epoca dittatoriale di Cromwell del 1660, provvide a imporre i limiti alle discriminazioni anticattoliche legalizzate e a concedere agli irlandesi di riavere il loro stato indipendente. Lasciarono che il peggio continuasse a complicare le condizioni di altri irlandesi meno abbienti ma l’intero popolo colonizzato non venivano lasciato da solo. Con l’avvento del Romanticismo che, oltre a favorire progresso alle tirannie delle élite governanti o non, permise pure ai popoli di basarsi sui sentimenti patriottici, gli irlandesi non persero altro tempo di costituire anche le società segrete indipendentiste, come la Society of United Irishmen fondata nel 1791 da Theobald Wolfe Tone e costituita da membri della nuova classe intellettuale con il dovere di essere portatori dell’ideale del patriottismo irlandese. Naturalmente non solo gli intellettuali cominciarono ad avvicinarsi a tale sentimento affermatosi ma pure i piccoli borghesi e pochi popolani sostennero tale causa identitaria, puntando sulla instaurazione della repubblica. In seguito al fallimento della ribellione del 1798 e alla caduta dello Stato fantoccio di Connacht (purtroppo anche gli irlandesi sono caduti nella trappola delle idee totalitarie dei francesi giacobini), la Corona britannica si mostrerà più dura e repressiva nei confronti degli irlandesi che si unirono alla rivolta fallita, subendo arresti, fucilazioni e torture fisiche. L’Inghilterra degli Hannover, dei Windsor e dei lords liberali fu feroce contro gli irlandesi ma al di fuori si comportava come una semplice buonista davanti alle corti europee e ai massoni internazionali. Nonostante ciò, la repressione britannica non solo danneggiava la libertà degli irlandesi nella difesa della loro patria ma anche la loro salute, determinando la fuga di migliaia di abitanti isolani dall’isola a causa della epidemia sulle patate malcurate nel 1845, passandoli nella storia come il primo popolo a emigrare ingiustamente in un altro Stato per avere una vita migliore. Nei confronti della Grande carestia, alcuni militanti nazionalisti non si trovarono impreparati per poter organizzare altre proteste anticoloniali. Nel luglio del 1848 William O’Brien guidò i 50 seguaci, tra cui quelli colpiti dalla carestia, per donargli una serie di patate protette e curate appartenenti alla signora McCormack. Però ricevette una dura sconfitta a causa dell’immediato intervento degli agenti di polizia britannica. Tale tentativo di insurrezione serviva per combattere la diffusa carestia ma anche per basarsi sulla conquista dei diritti e dell’indipendenza. 1,5 millioni di irlandesi non avevano altre scelte se non quello di abbandonare la loro terra per emigrare, ma il nazionalismo cattolico non si piegava alla tirannide britannica e cominciò a risvegliare la coscienza di molti irlandesi delusi per continuare a protestare contro la politica coloniale della Corona britannica. Infatti negli Stati Uniti gli irlandesi ebbero momenti liberi di riprendere la loro causa nazionale, fondando la Fenian Brotherhood nel 1858. Tale organizzazione rappresentava una rete di contatto con la Irish Republican Brotherhood (IRB) per proseguire la lotta contro il colonialismo britannico, con l’obiettivo di finanziamenti e di trasferimenti di oggetti o armi per compiere un attacco contro ogni sede di ogni ambasciata o istituto britannico. La IRB e i feniani elaborarono una serie di attacchi e tentativi di insurrezione ma furono fallimentari a causa dei duri interventi delle forze della Corona e della polizia statunitense, sebbene che gli Stati Uniti non gli importava un bel niente alle imprese dei nazionalisti irlandesi. Ben presto il governo americano imporrà una serie di restrizioni identiche a quelle britanniche dopo i fatti delle incursioni feniane nel Canada del 1866, limitando le attività militari e politiche degli irlandesi. L’America si definisce come una terra di futuro e di speranza per tutti i popoli emigranti ma non ammette di essere governata dai spietati tiranni che hanno favorito la nascita dell’imperialismo mediante le due dottrine dei due presidenti (Monroe del 1823 e Truman del 1947) e violarono le indipendenze dei popoli, in particolare quelli latino-americani. Considerare l’America come il paradiso della democrazia è soltanto propaganda, come la stessa cosa vale per l’Inghilterra e di ogni Paese o continente. Tornando sul discorso di prima, gli irlandesi perdurarono e presero le distanze dalla lotta per la liberazione della loro terra per avere i tempi necessari di riorganizzarsi o perché decisero di usare il pacifismo, finché sono riusciti a dare un duro colpo alla Corona britannica con la vittoria ottenuta con la fine della guerra d’indipendenza irlandese del 1919-1921, sperando di aver raggiunto il loro obiettivo che successivamente verrà tradito dal falso Trattato anglo-irlandese stipulato nel dicembre del 1931 e che causerà lo scoppio della guerra civile tra il 1922 e il 1923, sancedo la vittoria dello Stato libero d’Irlanda e la fuga degli oppositori del Trattato che, ben presto, ritorneranno dopo la proclamazione dell’indipendenza repubblicana del 1948. L’Irlanda divenne una repubblica indipendente ma dovette fare conti con la sua economia e con l’Irlanda del Nord, dove molti governanti britannici e lealisti dell’Ulster imposero i pesanti limiti verso la maggioranza di cattolici irlandesi, causando non solo la loro ennesima fuga ma anche la risposta armata dell’IRA, Esercito Repubblicano Irlandese, che aveva guidato la guerra d’indipendenza contro le forze della Corona britannica. Nel 2013 il governo Kenny chiese a tutti gli irlandesi del mondo di tornare nella loro patria, intenzionato di abbandonare il sistema finanziario europeo che, di fatto, si faceva dipendere dal modello occidentale. Un appello chiaramente positivo ma che deve essere una promessa di benefici, altrimenti non ha senso invitarli per porre fine a quella ingiusta emigrazione. Nonostante ciò, molti irlandesi emigrati fecero tante scelte sul destino del popolo irlandese: alcuni non seguirono le proteste dei nazionalisti cattolici, credendo ai discorsi elitari dei coloni e politici britannici, mentre altri risposero agli appelli dei movimenti nazionalisti, soprattutto quelli dell’IRA per la pretesa di riunificazione territoriale dell’isola.
Ecco come l’Irlanda ha vissuto questi momenti storici e come è stato l’atteggiamento degli emigrati nei confronti della tensione anglo-irlandese. Unica cosa che non ci può dubitare è che l’orgoglio di identità è stato lo strumento utile per il nazionalismo irlandese a poter dare ai suoi connazionali emigranti la forza di ritornare nella loro terra in pericolo per combattere il male della Corona britannica. Tale reazione avviene in altri popoli emigranti che gli fa suscitare coraggio e dolore per la mancanza della loro terra di appartenenza, non permettendogli mai di rinunciare alla loro identità se di fatto esistita e condivisa. Infatti, oltre gli irlandesi possono entrare nella categoria degli emigranti europei pure i corsi. Nessuno vi avrebbero detto che anche la Corsica ha subito questa ingiustizia dopo l’Irlanda, ovviamente con le seguenti motivazioni. La Corsica, come del resto del popolo irlandese, divenne una colonia dei francesi in seguito all’occupazione militare dell’isola da parte delle truppe monarchiche di Luigi XV sull’isola nel 1769 e il popolo corso, dopo la perdita della loro Repubblica proclamata da Pasquale Paoli, assunsero atteggiamenti di indifferenza verso l’autorità dei governi della monarchia e della repubblica di Francia ma subendo anche tante provocazioni politiche sia dei colonizzatori francesi sia degli ascari filo-padani, mossi dalla follia ingiustificata di annettere l’isola pure con l’uso della forza. Dopo la fine della Seconda guerra mondiale, la Corsica rimane a far parte nella Francia repubblicana ma riceveva le stesse ingiustizie mai cancellate e che supereranno il limite di pazienza degli abitanti corsi. Con l’arrivo dei pied-noirs, coloni francesi di Algeria, negli anni Sessanta, la popolazione corsa decise per forza di emigrare a causa delle garanzie del governo centrale ai residenti pied-noirs, facendo aumentare molto di più le tensioni tra francesi e corsi. Dal 1962 migliaia di famiglie corse abbandonarono la loro terra per trasferirsi a Venezuela, a Porto Rico o in altri Stati, anche se tale processo ebbe inizio sotto Napoleone III che fece ridurre la produzione agricola di vino, ulivi e castagni con l’imposizione di tasse e pratiche commerciali. Le istituzioni coloniali della Francia non riuscirono a fermare l’emigrazione corsa a causa per la mancanza delle risorse finanziarie e per i ritardi del governo centrale che si dedicava ad arricchire i pied-noirs. Il sentimeno nazionalista dei corsi si riaccese per affrontare quei momenti drammatici, con la fondazione della Azione Regionale Corsa (ARC) e del Fronte Regionalista Corsa (FRC) che mobilitarono i membri e la popolazione isolana nella protesta contro la politica del governo centrale e la tirannia dei ricchi pied-noirs e dei loro protettori colonizzatori francesi. Gli irripetuti scandali finanziari dei proprietari terrieri pied-noirs non fanno altro che fomentare la rabbia dei sfruttati e abbandonati corsi, spingendo all’ARC e al FRC di dare una spinta radicale per supportare le proposte del loro popolo e nella lotta contro il colonialismo francese, con l’occupazione della casa del proprietario terriero Depeille avvenuta in Aleria il 18 agosto 1975 da parte di Edmondu Simeoni, membro dell’ARC, e di altri sei corsi armati dei fucili da caccia che accusarono Depeille di aver danneggiato lo sviluppo agricolo dell’isola e di essere coinvolto in vari scandali finanziari mai risolti dalla giustizia francese. La resistenza dei membri dell’ARC ebbe i brevi giorni, quando il 22 agosto le forze dell’ordine francesi intervengono per assaltare l’occupazione nazionalista, determinando la morte di due gendarmi e il ferimento dei due corsi, ma causarono lo scoppio della guerra d’indipendenza tra il 1976 e il 2016 che vide scontrarsi gli indipendentisti del FLNC (Fronte di Liberazione Nazionale Corso) e i militari e paramilitari anticorsi, di cui ne presero parte anche i deliquenti comuni. Gli emigranti corsi, nei confronti dell’esistente nazionalismo isolano, sembrano a non interessarsi per motivi di lavoro e di famiglia ma alcuni ci pensarono nei determinati momenti fino a quando presero la decisione di appoggiarlo, per non dimenticare l’identità del proprio popolo. Certo, non pensare ai problemi e ai bisogni delle proprie famiglie può portare momenti di tristezza per chi è impegnato a difendere la propria terra, ma può avere tante possibilità di consigliare ai propri familiari e amici di fare ritorno per rallentare o cancellare, a tutti gli effetti, il processo emigratorio. Ma non sarà facile in base alle decisioni degli emigranti. I corsi e gli irlandesi ebbero le stesse sorti che nemmeno uno Stato europeo né l’Occidente si mossero per pretendere l’applicazione del diritto all’autodeterminazione a quei popoli che in precedenza ebbero la propria indipendenza. Naturalmente il problema non è solo sugli indipendentismi, ma sul rapporto tra gli Stati delle élite dominanti (legati alla sola ideologia o ai valori tradizionali di un solo popolo) e i popoli considerati forzatamente “inferiori” o sottomessi, di cui il diritto internazionale dovrà dare una risposta concreta e realistica di questo caso irrisolto. Come vi ho parlato sulle condizioni coloniali degli irlandesi e dei corsi, è il caso di mettere in attenzione l’emigrazione dei popoli italici e l’affermazione dei loro nazionalismi.
Le origini dell’emigrazione italiana si ha indubbiamente con l’inizio del colonialismo unitario filo-padano, affermato, chiunque lo sa, con le occupazioni militari ingiustificati sui legittimi Stati preunitari italici ad opera del Regno di Sardegna dei Savoia, in particolare sul nostro Regno delle Due Sicilie che di guerra non l’ha fece a nessuno. Con l’opera di colonizzazione sabauda del governo filo-padano che si basava sulla ruberia dei fondi fiscali, sulla alleanza tra partiti ascari e la nascente mafia, sulla chiusura delle strutture produttive e degli istituti socio-civili, sulla ricchezza dei pochi e sul monopolio industriale ed economico della Padania spinge i popoli discriminati, i napolitani e i siciliani, a dover emigrare desiderosi di non voler vivere nella povertà e nella schiavitù che sotto i Borbone venivano combattuti e aboliti per legge (la prammatica regia del 1778 e l’istituzione delle Case popolari sancito dallo Statuto di San Leucio del 1789). I piemontesi sabaudi e gli ascari unitari ebbero la fantasia di spingerli a non andare via dalla loro terra, nonostante che essi sono i principali responsabili della totale distruzione del progresso e del benessere garantiti dalle riforme dei Borbone. I poveri e innocenti napolitani e siciliani non ebbero tante scelte per trovare un via alternativa per superare le ingiustizie dei Savoia e dei suoi ascari alleati, anche perché ebbero tanti pericoli nella propria vita dovuti dalla ferma e morale opposizione verso la politica coloniale, attraverso di propria iniziativa o con la partecipazione di movimenti politici mai graditi ai Savoia, in particolare l’insorgenza dei patrioti napolitani e siciliani, diffamati come briganti, e le loro rivolte, come il Sette e mezzo del 1866. Opporsi al razzismo unitario gli avrebbero costato o l’arresto illegale o la morte, come è successo alle vittime della Trattativa Stato-Mafia (anziché della sola Mafia). I nostri antenati sono arrivati al punto in cui non si poteva tornare indietro e tutti puntarono sulla fuga, una scelta maggiormente triste e non necessaria, secondo la mia modesta opinione. Millioni di napolitani e siciliani, di diverso ceto sociale, lasciarono la loro terra ed emigrarono in altri Stati per avere una vita migliore. Alcuni ascari fanno credere ai popoli discriminati di dover rifugiarsi in America perché garantisce un futuro migliore, il cui concetto propagandistico viene chiamato il sogno americano. Riferendomi sul discorso dell’America, gli emigranti napolitani e siciliani credettero di trovare fortuna per poter dare qualcosa alle loro famiglie ma non si aspettavano di subire i primi sfruttamenti di lavoro e le emarginazioni sociali imposte dai signori dell’élite americana. Infatti gli imperialisti americani seguirono le politiche e le teorie culturali del razzismo unitario dell’Italia sabauda, permettendo alle riviste quotidiane di pubblicare le immagini volte alla denigrazione dei soli emigranti napolitani e siciliani. Questa bella sorpresa gli susciterà tanto sdegno, tant’è che gli emigranti stessi saranno vittime dei linciaggi razzisti istigati da capi elitari, in particolare quelli legati al razzismo bianco, come i fatti di New Orleans del 1891 che comportò l’uccisione di 11 siciliani dopo il non riconoscimento dell’assoluzione da parte della Corte americana sul caso dell’omicidio del detective David Hennessy. Anche in quel paradiso della democrazia che il razzismo unitario convinse gli imperialisti di imporre un trattamento disumano nei confronti dei napolitani e dei siciliani. Naturalmente non solo questi popoli italici presero parte all’emigrazione, bensì c’erano anche i veneti, i sardi e i padani, i quali vanno vivere sia negli USA sia negli altri Stati. Da ieri a oggi gli emigranti dei popoli italici continuano a vivere negli Stati stranieri, ma una cosa talmente ingiusta è l’imposizione della propaganda razzista unitaria sulla fierezza di essere italiani, mettendo da parte le tradizioni e le culture degli italici. La propaganda razzista unitaria opera sia all’interno sia all’esterno della penisola dei popoli citati, finché gli alleati del governo filo-padano possano mantenere le proprie relazioni amichevoli. Per fortuna i popoli emigranti pian piano cominciarono ad opporsi alla Malaunità italiana con la realizzazione delle prime idee autonomiste e indipendentiste, come in Sicilia con il MIS (Movimento per l’Indipendenza della Sicilia) di Finocchiaro Aprile, nella nostra Napolitania con il Fronte del Sud di Angelo Manna e in altri popoli italici, dove si ebbe il recupero della propria identità. Purtroppo gli emigranti non conoscono l’esistenza dei loro e legittimi movimenti autonomisti e indipendentisti identitari a causa della prevalenza della propaganda razzista unitaria e di coloro che l’ha supportano, per cui hanno il diritto di prendere la coscienza per capire al meglio di quale regime vivono. Se essi cominciano a sapere che l’Italia padana gli ha rubato i suoi diritti e le sue libertà, pian piano sapranno che fanno parte nei propri popoli che furono e sono sottomessi dal maledetto e impunito razzismo unitario per arrivare al dovere di liberarli e raggiungere le loro esigenze, come dovrebbero fare gli ebrei di oggi che non sanno che l’Israele è il paese del nuovo nazismo religioso, basato sulla discriminazione dei palestinesi, e se per loro la terra promessa deve essere un luogo dell’accoglienza, il governo sionista dovrebbe porre fine alla discriminazione dell’innocente popolo palestinese. Non dimentichiamoci che i popoli hanno anche il diritto di poter ritornare nella propria terra di cui appartengono per secoli e di voler difenderla e crescerla, in nome e su ispirazione dei principi civili evoluti e accolti dai popoli che ne sono credenti. Nessun governo dovrebbe permettersi di mandare via il suo popolo se esso desidera con tanta volontà di rimanere nella propria terra che ha vissuto, ha lavorato e ha imparato a conoscere la sua cultura. Se un altro popolo vorrebbe chiedere ad un altro di voler vivere nella sua terra lo può fare, con l’obiettivo di condividere i propri spazi e rispettare moralmente la diversità senza professare il sentimento di odio, il quale porta solamente violenza e vendetta. Se l’emigrazione è opera della propaganda razzista unitaria, la storia è il mezzo sufficiente che permette a un popolo discriminato di riavere il suo spirito nazionale e i suoi principi civili, pure per difendersi da ogni minaccia interna o esterna fomentata da chi desidera il potere anziché detenere l’amore del proprio popolo.
Antonino Russo