En attendant Picasso. Parade alla Reggia-Museo di Capodimonte
La prima volta che vidi un dipinto di Picasso fu, da ragazzina, a Roma. Era nella collezione Gugheneim. Ricordo di allora anche due languidi corpi abbracciati dentro un impasto colorato (di Kokoscka) e il sogno di un volo nel cielo (di Chagall). Poi ebbi l’impressione fortissima di un’energia così potente che quasi mi fece spavento. Picasso. Picasso, dalle sue prime prove giovanili alle più tarde opere in ceramica, ha espresso questo suo surplus di energia. Che emoziona.
Ed emozionerà tante persone ancora, quando, ad aprile, a Napoli, da Parigi, dal museo Georges Pompidou, arriverà la sua “Parade”. È un dipinto enorme (m. 10,60 x m.17,25), una scenografia per un balletto. Gliela aveva ordinata Sergey Diaghilev, il geniale impresario creatore di quei famosi Ballets Russes, che, dal 1909, entusiasmavano Parigi. Esigeva, per i suoi balletti, il meglio, i migliori artisti. Per il balletto “Parade” scelse un testo di un grande scrittore, Jean Cocteau, e, come coreografo, Léonide Massine, come musicista Erik Satie e, come scenografo, Pablo Ruiz y Picasso.
Picasso all’epoca, era il 1917, era già famoso. Aveva inventato il cubismo. Ancora oggi, dopo un secolo intero, dopo che ha creato migliaia di opere in stili diversi, Picasso generalmente è famoso soprattutto o soltanto per il suo cubismo. Sebbene non ne sia stato il solo iniziatore. Né sia stato il solo seguace di questa tecnica pittorica che è anche un modo particolare di dipingere, anzi di conoscere le cose.
Le cose e le persone, osserva il cubismo, sono corpi solidi. E i solidi, si sa, hanno più facce. Per conoscerli, bisogna osservare queste diverse facce e usare, di conseguenza, diversi punti di vista. Perciò Picasso, nei suoi molti ritratti, varia i punti di vista rappresentando un naso di profilo, un occhio di prospetto ecc…. E mette insieme queste contrastanti e parziali immagini di un oggetto volumetrico, sulla superficie piatta di uno stesso dipinto. Il cubismo infatti appiattisce la realtà, e, così facendo, la priva del suo corpo. La annulla.
Queste parziali visioni non ricompongono la realtà, ma la scompongono e la distruggono. Sostituendola con un affastellarsi di immagini superficiali, senza corpo. Così l’artista crea una realtà diversa dalla comune realtà, una realtà cubista. D’altronde lo stesso Picasso ebbe a scrivere che “sin dalle origini, dai primitivi… sino ad artisti come David.., che credevano di dipingere la natura come è, l’arte è sempre stata arte e non natura”.
A volte le date sono importanti. A volte l’arte intuisce il futuro. Il cubismo nasce nel 1907 e sembra rappresentare i contrasti e la distruzione della guerra imminente.
“Parade” è del 1917. E, per quanto la guerra non sia ancora finita, rappresenta un desiderio di vita e di allegria. La si preparò a Roma. Diaghilev, Cocteau, Satie e Massine ne discutevano con Picasso. Si incontravano nello studio di Picasso in via Margutta.
Da quest’incontri, vi si parlava francese, nacque “Parade”. Incontri elettrizzanti, creatori del nuovo, storicamente importanti. Il russo Diaghilev, da allora, abbandonò i temi tradizionali della sua terra e aderì al modernismo.
“Parade” fu il primo balletto che introdusse il jazz nella danza classica e fu un ampio e valido esperimento di quell’arte totale, musica, danza, letteratura, pittura, di cui oggi si parla tanto, come di una novità.
“Parade” racconta di una parata di gente del circo, un mondo di per sé fantastico, che viene descritto nel dipinto di Picasso in quello stile figurativo che il pittore aveva già parzialmente sperimentato. Il grande sipario si immerge in un mondo immaginario di colori, musica, ritmo, danza, di pagliacci e ballerine, personaggi di una storia di allegria e di sottile mélancolie. Una ballerina in equilibrio su un cavallo, un gruppo di teatranti intorno a un tavolo come in una rilassante siesta post-prandiale…. Guillaume Apollinaire definì l’opera sconvolgente.
Oltre l’enorme sipario, Picasso fu anche autore dei costumi di “Parade”. E volle partecipare anche alla sua sceneggiatura introducendovi due nuovi personaggi: due impresari teatrali, uno americano, l’altro europeo. Li vestì in stile cubista. Usò il cubismo come caricatura. Matisse, un altro grande, osservando un dipinto cubista di Braque, che peraltro non gli piaceva, esclamò: “sembrano tanti cubi”. E Picasso trasformò i due impresari in cubi. L’europeo ebbe in testa un cilindro cubico e l’americano ebbe sul capo i parallelepipedi finestrati di tre grattacieli.
Picasso inventò anche un cavallo animato da due ballerini in esso celati. E vestì il prestigiatore cinese di porpora e oro. Lo aiutava, nella scelta delle stoffe, Gabrielle Chanel, la famosa Coco, già cantante ed entraneuse e poi sarta, regina della moda francese. Nel frattempo, il pittore viveva l’ambiente artistico romano e frequentava i futuristi Prampolini, Balla, (Boccioni era morto durante la guerra), Depero e Marinetti. A Roma si trovava bene. Ma nel 1917 venne a Napoli.
Appunto per il centenario di questo incontro Napoli-Picasso, il direttore della Reggia-Museo di Capodimonte Sylvain Bellenger ha organizzato la mostra di “Parade”. C’è un aneddoto, a proposito di questo incontro, raccontato da Cocteau e riferito in un’intervista dal direttore Bellenger. Cocteau aveva invitato Picasso ad andare a Napoli. “Sto tanto bene a Roma – gli rispose pigramente il pittore, ricusando l’invito – E Roma è una città importante e poi c’è il Papa”. “È vero, a Roma c’è il Papa – osservò lo scrittore – ma a Napoli c’è Dio.”
Che significava Cocteau con queste parole? Che a Napoli c’era la realtà vera di un’umanità viva e verace. E Napoli fu per Picasso una rivelazione. Dopo averla conosciuta, abiurò la vuota, astratta realtà cubista, fatta da una conoscenza razionale e ripensò quella umanità concreta che l’antica grecità aveva creato. Da qui nascerà il Picasso rinnovato che riscopre la classica pienezza della forma, la realtà compatta della figura umana. E dipingerà corpi tutt’interi e le membra curvacee di quelli femminili (es. “due donne che corrono lungo la spiaggia” ( Parigi – museo Picasso) e “il sogno” (N. Y. Collezione privata) ).
Questa città anomala ma piena di vita lo fece riappacificare con il mondo. Solo nel 1937, ritornerà con Guernica, nell’arte di Picasso, un’umanità sconvolta e dissestata da un anomalo cubismo espressionista, per rappresentare la guerra civile spagnola. Ma nel 1917, a Napoli, con Igor Strawinsky, Picasso scopriva la commedia dell’arte “e ne godemmo in un’affollatissima piccola sala che puzzava d’aglio”- racconta il musicista. I due artisti amarono il popolo napoletano così vitale. Si mischiarono con lui. Visitarono Posillipo, Ercolano, Pompei, scoprirono l’artigianato popolare, il presepio, i pastori e venerarono Pulcinella.
Picasso poi curerà anche la scenografia del balletto “Pulcinella” con musiche di Pergolesi adattate al Novecento da Igor Strawinsky. “Quando Dialighev – racconta il musicista – mi chiese di usare la musica di Pergolesi per un balletto, pensai che fosse diventato matto… ma poi scoprii la mia parentela spirituale e, per così dire, sensoriale con lui.” Allora anche Strawinsky abiurò la tradizione musicale russa. E si convertì a Napoli.
Tutto questo si avverte nell’arte di Picasso. E nel grande sipario che sarà sistemato nel salone delle Feste della Reggia-Museo di Capodimonte. “Abbiamo trovato delle difficoltà nel sistemarlo – ha detto il direttore Bellenger – ma poi le abbiamo superate.” Per “Parade” vi sono anche altre opere picassiane, circa sessanta, tra disegni, pitture, maschere. E “Parade” tracimerà fuori, all’aperto, nel verde del Real Bosco. Con i suoi teatranti, i suoi pagliacci, le ballerine e la sua fantasia.
Non tutti sanno che il Real Bosco, che circonda la Reggia–Museo di Capodimonte, è una rarità preziosa: è il più vasto giardino barocco d’Europa. Fu disegnato, nel Settecento, da uno dei più grandi architetti di tutti i tempi, da quel Ferdinando Sanfelice, che, servendosi delle pietre degli archi, delle scalinate e dei cortili dei palazzi, fece muovere lo spazio in tondo. Ma la sua nobile famiglia, amicissima dei re Borbone, è famosa soprattutto per quella Luigia che “tradì” i Borbone e la patria napoletana e ne finì giustiziata.
Il Real Bosco, questo grande parco verde, con una varietà di piante rare e di incontaminati alberi da frutta e verdure, che era un luogo abbandonato, poco e mal frequentato, oggi è percorribile con sicurezza e, nelle domeniche di bel tempo, anche in carrozzella. Ha raggiunto, lo scorso anno, secondo stime ufficiali, il milione di visitatori.
Qui, nel Real Bosco, gli ampi girari dei viali, disegnati da Sanfelice, ci guideranno mentre passeggeremo serenamente tra il verde e ci insegneranno quel dolce cammino che vichianamente ritorna, che è il cammino della vita e della storia.
Adriana Dragoni
gia pubblicato su
agenziaradicale.com