Esclusiva:l’ultimo sequestro della banda Manzo (IX)
Ma occorre andare oltre nell’indagine e precisare che le rivolte agrarie di intere provincie meridionali sorsero, si svilupparono e vissero indipendentemente dai maneggi e della preparazione della Regina Sofia e della Corte Borbonica. I contadini del sud lottarono da soli per quattro anni, ed in alcune zone per circa un decennio, prendendo a prestito dal Borbone il suo bianco vessillo e dalle sue casse i resti dell’oro profuso agli avventurieri. Essi combatterono in maniera propria la propria guerra per le proprie rivendicazioni nelle proprie boscaglie contro i propri padroni ed i suoi alleati “piemontesi”.
I borboni ben poco avevano fatto per volerla e ancor meno per dirigerla: i loro tentativi si erano fermati poco al di là della frontiera pontificia. I contadini da soli erano insorti, prendendo a prestito il bianco vessillo della restaurazione e della fede, per spezzare l’oppressione dei galantuomini, riprendersi i terreni, uccidere i possidenti, saccheggiare e incendiare i loro palazzi, bruciare le maledette carte della proprietà e della giustizia nemica.
Renzo Del Carria, Proletari senza rivoluzione
Storia delle classi subalterne italiane dal 1860 al 1950-Vol. I
CITTADINI ITALIANI
DI GIFFONI
Nell’assumere il Comando interinale della Divisione Militare Territoriale di Salerno è con sentito dolore che io odo proferire accenti d’imprecazioni su questa contrada d’Italia ove voi nasceste: in me v’è fermo convincimento che un tal rammarico debba essere perciò minore del vostro, e se così non fosse negherei in voi un sentimento partecipato da più che 22 milioni di uomini, che operarono con longanimità, abnegazione e sangue per giungere a chiamare Patria loro l’Italia, della quale voi anche siete figli.
E’ l’assassino che offusca l’eguale sentimento in voi, e l’onor vostro macchia.
Voi non dovete più oltre sopportare un’onta immeritata dinanzi agli Italiani che guardano con orrore, nello svolgimento di generale civiltà, le nefande scene che si compiono presso le vostre mura, da un branco di vili.
Scuotete da voi adunque l’incubo fatale esercitato da un ripudio di umanità, e sviluppate avanti la Patria l’onestà dei sentimenti vostri.
Il Governo nell’affidarmi questo Comando vuole la tutela, e la garanzia per i Cittadini contro i tristi e sciagurati; l’ordine, e la tranquillità ove non esiste; io devo corrispondere a tal fiducia, e voglio perché Cittadino, e Soldato.
CITTADINI DI GIFFONI!
Il vostro concorso è per vantaggio di voi, e di questo vostro Paese, ripromettetelo; i vostri stessi Patriotti colla divisa dell’Esercito sapranno ridonare la pace, e la prosperità in questa contrada d’Italia; perché, con la nota indefessa abnegazione loro, imporranno il fio dovuto a’tristi, e seguaci.
Il Parlamento Nazionale sanciva con dolore una legge il 7 febbraio 1864, e questa, siate certi, percuoterà nella radice il male che v’opprime.
Il mio proposito sarà saldo perché è dovere. Viva l’Italia,Viva Vittorio Emanuele Suo Re.
Giffoni Maggio 1865
Il comandante Generale Interinale
BALEGNO
La Guardia Nazionale
Nata con una legge borbonica, la Guardia Nazionale meridionale fu riorganizzata da un decreto del 14 dicembre 1860 (decreto Farini) e successivamente da un decreto di Silvio Spaventa del 18 aprile 1861. L’ordinamento fu regolato secondo le leggi sarde del 1848 e 1859 e fu esteso al Mezzogiorno d’Italia, ma trasferito nelle regioni meridionali evidenziò una serie di gravi inconvenienti che nascevano dalla stessa concezione “ideologica” che la destra moderata aveva voluto dare alla nuova legge. Il Molfese ne descrive le tare ereditarie e gli inconvenienti più gravi: “ La nuova legge, suggerita dalla pregiudiziale anti-democratica, comportava, fra l’altro, due inconvenienti che influirono negativamente e a lungo sugli aspetti più propriamente militari della repressione del brigantaggio: infatti, da un lato la immissione degli elementi retrivi, avvenuta in larga misura,minò l’efficienza operativa delle guardie nazionali, le quali, a causa dello spionaggio e del doppio giuoco sviluppatisi nello loro file, rimasero esposte ai colpi di mano delle bande contadine, oppure si trovarono svantaggiate nelle azioni di sorpresa. Dall’altro lato, l’inefficienza delle guardie nazionali fu aggravata dalla difficoltà di coordinare l’azione dei distaccamenti appartenenti a diversi comuni, alle prese sovente con mobilissime bande a cavallo, dato che la sfera d’azione di ogni guardia nazionale era limitata per legge al territorio del proprio comune ”. Sulla carta dunque la guardia nazionale doveva essere formata da uomini di provata fede governativa e unitaria ma subì invece le infiltrazioni di elementi filo-borbonici e di personaggi di dubbia moralità mentre il fatto di essere una milizia cittadina operativa unicamente nel proprio territorio rendeva difficile l’inseguimento delle bande contadine che si muovevano da una provincia all’altra, da un comune all’altro. Anche contro il brigantaggio appiedato che attanagliava l’area del picentino, la mancanza di coordinazione delle guardie nazionali, spesso male armate e scarsamente combattive, poco addestrate alla guerra di guerriglia, indisciplinate e poco considerate dalle alte sfere militari, talvolta colluse coi capobanda, fu una delle concause che accrebbero l’audacia dei briganti che riuscirono più volte ad invadere paesi e villaggi ed attaccare gli stessi posti di guardia per vendicarsi di qualche ufficiale più dinamico, per rifornirsi di armi e munizioni o a scopo, o con la propaganda mediante i fatti, diremmo oggi. Le guardie nazionali erano odiate dai briganti per il loro carattere di classe e perché costituivano il primo baluardo dell’ordine costituito, il più fragile e il più disorganizzato e per questo anche uno degli obiettivi privilegiati delle bande che impegneranno duri e sanguinosi conflitti con le milizie locali.
Sul piano dell’efficienza militare la guardia nazionale dislocata nei comuni del picentino non doveva discostarsi di molto dalla norma; numerose sono le denuncie e le critiche che i comandi militari territoriali e i Carabinieri muovevano all’indirizzo degli ufficiali e dei militi e agli stessi sindaci del comprensorio incapaci di garantire la sicurezza nel territorio . Ecco come si presentava la situazione delle guardie nazionali nel picentino nell’anno terribile del 1866. Scrive in un rapporto al Prefetto di Salerno, datato 30 agosto 1866, il Delegato di Pubblica Sicurezza di Montecorvino Rovella Giovanni Vecchi, competente per i comuni di Acerno, Montecorvino Rovella, Montecorvino Pugliano, Giffoni Valle Piana, Olevano sul Tusciano: “ Il servizio delle 3 compagnie della Guardia Nazionale di Giffoni continua ad essere nello stato il più riprovevole e in esse non si vede alcun impegno. I Posti di Guardia di S.Tecla e Faiano continuano a rimanere chiusi, senza che vi fosse speranza di poter riorganizzare il servizio di quella Compagnia di Guardia Nazionale. In quei due Villaggi in cui il partito retrivo è in gran maggioranza, i Militi si sono negati decisamente di prestar servizio di sorta, ed i Capi di essa senza prestigio, e senza influenza non sono capaci di farsi rispettare e di far eseguire le disposizioni dei Superiori. Quindi è che io crederei indispensabile lo scioglimento di quelle due Compagnie, per organizzarne poi una sola per ambo i Villaggi, componendola di buoni elementi, e scartandone tutti i tristi che vi sono in buon numero. In Giffoni le Compagnie di Mercato e di Curti sono in piena regola ma quella dei Villaggi intermedi, secondo il solito, non hanno assicurato l’esecuzione degli ordini comunicati a quel Capitano. Io oggi mi sono recato ivi a bella posta, ed ho fatto il possibile perché anche la detta compagnia facesse il suo dovere e mi auguro che seconderà le istanze da me fatte. Nel Comune di Olevano, atteso l’assenza del Capitano della Guardia Nazionale, il quale ieri sera è ritornato dai bagni d’Ischia, non si era ancora adempito a quanto è stato prescritto. Però sono stato assicurato che domani tutto sarebbe stato regolarizzato. In quanto ad Acerno le disposizioni emesse dalla S.V.Illma non sono state eseguite in modo alcuno. La V.S.Illma sa che in quel Comune il brigantaggio vien sostenuto e protetto, per cui ove non si adotteranno ivi energiche misure i briganti non saranno distrutti. Ritornerò su questo riguardo con speciale rapporto”. Preoccupante anche i disservizi della guardia nazionale di San Mango Piemonte in preda a “demoralizzazione” mentre nei tre villaggi di Giffoni Sei Casali e Castiglione del Genovesi la situazione è decisamente migliore “con perlustrazioni giornaliere e notturne”. A San Cipriano Picentino il Sindaco e la Guardia Nazionale formata da più di cento militi, vive sotto l’incubo di una possibile invasione della banda Cerino-Cianci. Il Prefetto di Salerno sollecitato più volte ad intervenire spazientito rivolge al sindaco una dura reprimenda: “ La banda Cirino- scrive- non conta più di venti individui; ed è deplorevole che codesto comune, che ha una numerosa guardia nazionale, abbia tanto timore. Adoperando in questo modo, significa darla vinta al brigantaggio. Ad ogni brigante potete opporre cento di voi. Quindi invece di tremare e di avvilirvi, mettete di servizio giornalmente, e specialmente durante la notte, un forte drappello di guardia nazionale. Fate fare delle perlustrazioni nei dintorni del paese. Inviate persone di fiducia sulle alture circostanti per osservare in caso vi fossero, i movimenti dei briganti. E così vi metterete al riparo da ogni sorpresa ”.
Una delle situazioni più gravi sembra essere la condizione in cui versa la Guardia Nazionale di Giffoni Valle Piana se lo stesso Prefetto invia al sindaco una nota nella quale si legge : “il servizio della Guardia Nazionale in codesto Comune non si presta secondo le norme da me prescritte; Che di tre Compagnie di cui consta codesta Guardia Nazionale appena si veggono la sera montare al posto tre o quattro individui che dal loro misero vestito, e dal non avere nessuna insegna ,non si conosce se siano Guardie Nazionali o briganti; Che poi si monta con fucili mal tenuti e senza nessuna munizione. Che codesto assessore f.f. Granata, abbia invano pregato il comandante la Milizia, Alfonso D’Andria, onde avesse spedito un competente numero di militi per arrestare l’incendio alle carboniere del Sig.D’Andria Lorenzo; Che detto Comandante inoltre abbia risposto in modo poco decente a quest’ultimo, il quale gli aveva chiesto taluni militi per accompagnare dei carbonieri che egli voleva spedire per spegnere detto incendio, il che dovette farsi poi dai R.Carabinieri i quali trovavansi stanchi perché tornati da poco da una perlustrazione. Infine che, il giorno 8, il Comandante la Stazione dei R.Carabinieri pregò il ripetuto capitano di Guardia Nazionale di far trovare pronti 10 militi, onde andare a cercare il cadavere dell’infelice De Feo, e che questi vi si rifiutò ,senza verun motivo. Questi fatti depongono troppo chiaramente della nessuna cura che si ha per il pubblico servizio e della grande indolenza di codesto Capitano Alfonso D’Andria. Nel pregare perciò la S.V. di far sentire in mio nome a costui, che il suo procedere è riprovevole ed egli deve cambiar sistema, La prego darmi chiarimenti sui fatti sopracitati e ricordarsi nello avvenire della grave responsabilità che pesa sulla sua persona, la quale per Legge dispone della Guardia Nazionale del proprio Comune e non deve passarsela sotto silenzio di fronte a tanto gravi e rimarchevoli mancanze cui avrebbe dovuto metter riparo”. Fin qui il Prefetto. Ma che cosa era successo in località i Piani di Giffoni?
Terminio Pellegrino, alias Bomba
Terminio Pellegrino, detto Bomba, di Giffoni, già gregario della banda Ciardullo, si era aggregato alla nuova banda formata da Cerino e Cianci prima della cattura del capobanda di Campagna. Con lui si ritrovarono altri briganti giffonesi, Lorenzo Guerriero, Carmine Amendola, Donato De Martino, Antonio Balzo ed altri. Non c’è dato di sapere se il nomignolo di Bomba alludesse a suoi trascorsi nell’artiglieria o ad una insana vocazione incendiaria. Forse era semplicemente uno specialista. In ogni caso, la sera dell’11 settembre del 1866, su ordine del Capobanda Cerino, si nascose presso un luogo detto La Quercia Arsa e assicuratosi che i carbonai al servizio di Lorenzo Andria, che gestiva un’industria di carboni e legnami ai Piani per conto del Comune, fossero già tornati in paese, appiccò un vasto e devastante incendio nel bosco, immenso, dell’Infrattata. Il fumo nero e denso e le fiamme altissime si potevano scorgere dall’abitato di Vassi, la popolazione si riversò nelle strade dando l’allarme, mentre le forze dell’ordine non riuscivano ad organizzarsi per spegnere l’incendio. L’assessore comunale facente funzioni da Sindaco Alfonso Granati fu pronto a mobilitare la Guardia Nazionale, La Guardia Mobile e i Carabinieri di Giffoni. Ma il capitano della guardia Nazionale si rifiutò di intervenire attirandosi gli strali del Prefetto che scrisse : “Infatti di n.3 Compagnie di quanto è composta quella Milizia Comunale appena si vedono la sera ad ora avanzata e alla spicciolata montare la guardia tre o quattro mascalzoni, con armi scariche, senza munizioni e senza nessuna insegna della divisa prescritta, in modo da non poter distinguere se essi siano G.N. o Briganti. Ciò avviene per niun sentimento di patriottismo da cui sono animati i componenti della stessa ed in specialità poi gli Ufficiali i quali non si adoperano affatto per la tutela dell’ordine e della Sicurezza Pubblica, il che da a dimostrare appieno le loro simpatie ed amichevoli relazioni coi Briganti”. Intanto l’incendio avevano raggiunto gli animali al pascolo del signor Raffaele De Feo che si diede ad una fuga precipitosa, abbandonando dispersa e in preda al terrore la mandria e tentando di scampare alle fiamme. Terminio Pellegrino dal suo riparo, poco distante, appena vide il mandriano di cui non sospettava l’esistenza, aggirò a rotta di collo un crinale tagliandogli la strada. In mezzo al fumo, alle spalle un vero inferno di fuoco e fiamme, si svolse una scena crudele. Terminio Pellegrino non ebbe pietà del testimone scomodo, suo compaesano. Mentre De Feo supplicava in ginocchio di salvargli la vita, dicendo di non aver visto nulla, gli sparò a bruciapelo tre colpi di revolver che gli trapassarono i polmoni. Raffaele De Feo, di Vassi, muore sul colpo. Il suo corpo sarà poi gettato in un burrone e recuperato dai Carabinieri soltanto il giorno dopo. Ma c’è un’altra versione sull’uccisione di De Feo, se vogliamo ancora più tragica e triste, raccontata dall’assessore comunale di Montecorvino Rovella Gaetano Del Pozzo, acerrimo nemico di Cerino. Nel mese di settembre la banda Cerino aveva portato a termine il sequestro,l’ennesimo, del Canonico Don Donantantonio Budetta di Montecorvino Rovella. La sorella di questi, Donna Felicia Budetti era cognata di Francesco Greco di Chieve dove si erano portati i briganti per ricevere il riscatto. Ma quando cercarono di forzare il portone di Luigi Greco ,questi sparò dei colpi di fucile provocando la fuga di due briganti. “ Da Chieve passarono nella Montagna Castagneto grande, e precisamente nella masseria custodita da certo Basso Nicola e Buonanno Guglielmo, ove mangiarono una pecora,portandone con essi altre due,ed il Buonanno ne diede subito informazioni al Maresciallo de’Reali Carabinieri; si diressero poi nell’Infrattata nella lavorazione di Lorenzo D’Andria, ove fecero cuocere le due pecore nel pagliaio di un tal Fortino Fortunato, il quale li provvide pure di maccheroni che teneva pronti …e poscia tanto i lavoratori che i briganti mangiarono tutti insieme, e dopo il pranzo si posero a ballare, suonando i briganti due organetti dei quali sono provveduti. Tutto questo operato osservato da un tal De Feo Raffaele che pascolava le vacche in quelle contrade,fece nascere nell’animo dei lavoratori il dubbio che avesse potuto venire a conoscenza della giustizia, e temendo del rigore della Legge,pregarono il Cerino di far uccidere il De Feo ed indi fecero incendiare cinque carbonaie, per gettare così una polvere agli occhi dell’Autorità ,arrecando in tal modo al Signor D’Andria il danno di circa tremila Lire”.
Le critiche mosse all’operato della guardia nazionale di Giffoni Valle Piana sono accolte con fastidio dagli amministratori locali, l’assessore f.f. Francesco Sica in una nota inviata al Prefetto dice: ” Dando riscontro alla venerata sua nota, al margine segnata, mi pregio rassegnare alla S.V.Illma che delle tre compagnie componenti questa Guardia Nazionale quotidianamente prestasi il servizio ai tre posti montando per ogni volta e per ciascuno tanti individui quanto formano la squadra; che durante le ore del giorno i tre posti vengono abbandonati da parecchi individui di servizio, rimanendone così pochi allo smontare ; che parecchie volte dalla 1° compagnia non si è prestato l’esatto e regolare servizio; che i militi, se tutti non sono forniti della necessaria insegna di distinzione,non vestono però di guisa da potersi confondere coi briganti, che i fucili di cui questa Guardia Nazionale fa uso sono ben tenuti, non mancando le munizioni somministrate da questo Comune; e che è poi del tutto falso ciò che è stato riferito alla S.V. Illma, l’essersi cioè negato il Sig.Andria Alfonso Luogotenente della 1ma Compagnia di detta Guardia funzionante da Capitano all’invito ricevuto dal Sig.Granata Alfonso assessore che ha funzionato da Sindaco sino al giorno 12 andante costando a tutti che lo stesso siasi cooperato a tutto per riunire la forza da lui comandata non per l’estinzione dell’incendio cui, non la legge invocata dalla parte interessata, ma la sola carità ci chiama,ma per la persecuzione del brigantaggio, alla quale impresa poi non riusciva perché l’invito giungevagli verso le dieci pomeridiane del giorno..corrente, e non si ritirava in sua casa, se non quando veniva accertato essersi mossa la forza dei R.Carabinieri comandata dal Brigadiere Prota stanziata nelle Curti, un competente numero di Guardia Nazionale della seconda Compagnia ed un drappello della Guardia Mobile qui distaccata, e starsene rinchiuso nella propria abitazione il danneggiato Lorenzo Andria,i suoi guardiani ed i lavoratori che gli appartengono tutti che avevano interesse per la estinzione del fuoco; come è falso e calunnioso ancora che lo stesso Capitano f.f. siasi negato dare al Comandante la Stazione dei Reali Carabinieri n°10 militi di Guardia Nazionale per trasportare dalla montagna il cadavere di Feo, e se ai Reali Carabinieri si unirono individui della Guardia Mobile,e non quelli della Nazionale fu perché richiedendosi nel posto della Piana quelli di servizio n’era sprovveduto.A compimento dei chiarimenti chiestimi, debbo per la verità, assicurare la S.V.Ill.ma che se la terza Compagnia non tanto lodevolmente si conduce, non deve ciò attribuirsi a carico di colui che oggi la comanda in assenza del Capitano Domenico Andria ma ai militi che la compongono parte dei quali essendo infingardi, parte indisciplinati e parte avviluppati dalle suggestioni dei nemici della patria”.
Ma non tutte le milizie cittadine erano inefficienti. C’erano in provincia lodevoli eccezioni,valorosi ufficiali sfidavano a viso aperto le bande. La guardia nazionale di Sacco resiste eroicamente ad un’invasione della banda capitanata dal famoso Scarapecchia.
16 Luglio 1866
“La sera del 12 stante verso le ore 6,un’Orda Brigantesca forse di circa 57 individui armati di fucili capitanata da certi Scarapecchia Antonio da Campagna Controne e Mazzei Francesco da Piaggine Soprano Vallo, invasero il piccolo comune di Sacco, ed appena entrati affiggevano per le contrade del paese proclami scritti, di cui si dà copia, mentre gli originali si trovano in potere della Giustizia; e quindi si davano a saccheggiare le abitazioni del Capitano della G.N. di colà Marino Carlo fu Domenico e Salomone Francesco fu Dionisio, incendiando l’altra delle sorelle Dente, fu Giuseppe producendo al primo il danno di £ 212, all’altro £140, ed alle ultime £ 4250 e non ebbero gli assassini sempre di fare altri eccidi nel paese,….il detto Capitano Nazionale con alcuni militi ,avvertiti dell’entrata dei manigoldi, si rifugiarono sopra il campanile di quella Chiesa e principiarono a salutare i briganti a fucilate, i quali opposero resistenza e se ne fuggivano essendo stati per quanto dicono tre di essi feriti che pure se la svignarono. Gli assassini irritati per non aver potuto far breccia, quanti contadini del paese incontrarono che si ritiravano dal lavoro, barbaramente li trucidavano, descrivendo i nomi qui degli uccisi e feriti. La colonna Mobile dei Carabinieri colà esistente, colle G.N. di Laurino si trovavano fuori perché in vasta perlustrazione sui monti che confinano con Laura/Sala e che la Forza di quel Circondario anch’essa in movimento per tutto opposto al tenimento di Sacco; quindi è da ritenersi che i masnadieri fossero stati avvertiti del movimento della Forza. Riusciva solo ai militari dell’Arma e Truppa di linea distaccata a Fogna di recarsi sopra sul luogo ma inutilmente perché i ribaldi già erano scomparsi prendendo la direzione dei Boschi di Mottola e Piaggine Soprano, Teggiano e Sala”.
Nello scontro con la guardia nazionale di Sacco la banda capeggiata da D’Errico Vitantonio, detto Scarapecchia uccise cinque contadini e ne ferì altri due, tre i briganti feriti. La banda, spesso unita a quella di D’Ambrosio, infestava il territorio dei Monti Alburni e aveva il suo quartier generale nel bosco di Persano. La banda fu distrutta nell’aprile del 1867, il cadavere di Scarapecchia fu ritrovato nel fiume Sele.
Proclama autografo del Capobanda Antonio Scarapecchia affisso nel Comune di Sacco.
Viva Francesco 2 Re di Napoli
Noi vogliamo al Regno Francesco 2
La Banda che ha preso questo paese è stata la Compagnia di Antonio Scarapecchia e la Compagnia di Francesco Mazzei tutti e due di 135 e la seconda compagnia e composta di 147 persone dunque noi andiamo per difendere la patria, Fuore Vittorio abbasso la Nazione Viva li realisti e viva tutti i Briganti che difendono la Bandiera del Re Francesco 2 Viva Maria Sofia viva il S.Papa e viva l’imperatore dell’Austria.
Il capitano Comandante la suddetta Banda
Antonio Scarapecchia di Controne