FALCONE E BORSELLINO, IL FILO ROSSO CHE ATTRAVERSA LA STORIA D’ITALIA

Il 19 luglio abbiamo avuto la ricorrenza di un evento tragico per l’Italia, la strage di via D’Amelio dove fu ucciso il giudice Borsellino insieme alla sua scorta. Un evento che viene ogni anno ricordato con grande enfasi ma a mio modesto parere c’è, da parte di molti, l’intenzione di non andare troppo in profondità perché questo evento tragico non è solo quello che abbiamo visto e sentito dalle cronache di quei giornali ritenuti presidio della democrazia italiana.
Voglio citare alcuni elementi tratti da un libro di Raffaele Romano che si intitola “Andreotti Craxi e moro visti dalla CIA”.
Il libro di Raffaele Romano narra la storia segreta dell’Italia dal 1941 al 1994 grazie a documenti cui è stato tolto il segreto di Stato, sono testimonianze di spie e ambasciatori che hanno permesso agli Stati Uniti di interferire negli affari interni italiani.
Per la precisione mi piace ricordare che Raffaele Romano, giornalista d’inchiesta, scrive il suo libro da filo Atlantico e da convinto sostenitore degli Stati Uniti che però come è scritto nella prefazione al libro, si rivolge al presidente degli USA Joe Biden perché tolga il segreto a tutti i più importanti dossier che riguardano l’Italia.
In questo modo si può evitare che le responsabilità passate ricadono sulle leadership attuali e allo stesso tempo si potrà dare nuovo vigore al processo di collaborazione tra i due Stati. L’autore con un’importante opera di documentazione segue le tracce di un sotterraneo filo rosso che attraversa tutte le vicende italiane dal 1941 al 1994 e che si è manifestato con una continua determinante ingerenza degli Stati Uniti sulla nostra vita politica.
A questo punto qualcuno si chiederà: ma il PCI, teoricamente il grande avversario degli Stati Uniti, che ruolo ha avuto in quelle vicende? Molti magari non se lo immaginano ma i vertici nazionali del Partito comunista italiano avevano rapporti di alto livello con l’ambasciata americana a Roma ed è certo che questa riferisse dettagliatamente al dipartimento di Stato a Washington già nel lontano 1970. Ma su questo torneremo più avanti.
Fatta questa premessa voglio ricordare un altro tragico fatto; il 23 maggio del 1992 la strage di Capaci e l’uccisione di Giovanni Falcone. L’attentato provocò reazioni ed interpretazioni di vario genere, una tesi molto supportata fu quella che l’ambasciatore USA Peter Secchia inviò al Dipartimento di Stato il 18 giugno 1992 una nota informativa contenente la seguente frase: “l’attentato di Capaci non è stato un atto individuale ha richiesto un piccolo esercito e probabilmente un informatore”.
C’è quindi un filo rosso che lega molti fatti accaduti in Italia tra il 1941 e il 1994 e il colore di questo filo ha probabilmente anche un significato politico. Per poterlo continuare a seguire, questo filo rosso, dobbiamo porci una domanda; perché uccidere Giovanni Falcone quando non era quasi più un magistrato e svolgeva un compito dirigenziale a Roma dove spesso si recava in ufficio addirittura senza scorta? Perché non ucciderlo facilmente a Roma? Paolo Guzzanti in un articolo sul Riformista del maggio 2020 ha sostenuto la tesi secondo cui è stato senz’altro ucciso per la sua formidabile azione contro la mafia ma un testimone molto autorevole di quei tempi come Francesco Cossiga ha espresso forti dubbi su questa tesi.
C’è un altro elemento che rafforza i dubbi sulla mancata ricerca del vero movente dell’uccisione di Falcone ed è in relazione con i soldi del KGB ormai disciolto con la scomparsa dell’Unione Sovietica, una pista sulla quale stava indagando Falcone su richiesta di Cossiga e Andreotti. C’è un articolo di Giancarlo Lehner che ne parla, Lehner racconta di essere stato ricevuto da Andreotti che gli raccontò di essere stato lui a fargli preparare i documenti che servivano a Falcone per l’inchiesta a Mosca sui soldi spariti dal KGB e Francesco Cossiga confida a Guzzanti che l’ambasciatore sovietico e poi russo Adamishin un giorno va da lui e gli fa una scenata dicendogli che gli italiani stavamo compiendo un delitto alle spalle del popolo russo perché non facevano nulla per impedire che il tesoro dell’Unione sovietica fosse spedito in Italia per essere riciclato, pagando una gigantesca tangente affinché tornasse poi in Russia nelle mani di bande di oligarchi.
In questo giro di soldi sarebbero state coinvolte anche la mafia italiana e quella russa.
Cossiga disse all’ambasciatore di non saperne nulla e chiamò Andreotti il quale gli riferì di non potersi muovere perché la cosa avrebbe certamente irritato il Partito comunista italiano!! Alla notizia dell’uccisione di Falcone Valentin Stepankov procuratore generale di Mosca, che collaborava con Falcone per intercettare le destinazioni del tesoro del KGB, si dimise dall’incarico sapendo che due giorni dopo si sarebbero dovuti incontrare nella capitale russa per proseguire le indagini bancarie. Quel filo rosso ha quel colore anche per un preciso motivo che probabilmente sta nella risposta a questa domanda: perché il Partito comunista italiano si sarebbe alterato per l’inchiesta che stava svolgendo Falcone e della quale poi si sarebbe occupato anche Borsellino?
Fonte: “Andreotti, Craxi e Moro visti dalla Cia” di Raffaele Romano, Amazon 2022.
Adolfo Tasinato
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