Falle nell’algoritmo “assolvi” vaccino, ma Aifa le ignora
Anche nell’ultimo report Aifa, le reazioni avverse gravi vengono facilmente liquidate come “non correlabili” al vaccino. Tutto dipende da un algoritmo dell’Oms del 2018 che esclude in partenza una correlazione nel caso in cui siano presenti altre possibili cause forti. In questo modo il vaccino è quasi sempre assolto. A contestare questa metodologia sono diversi scienziati, tra cui il patologo Bellavite che pubblicò prima della pandemia uno studio in cui si criticava il metodo e si avanzava invece la necessità di considerare i fattori di rischio che si aggravano con l’aggiunta del vaccino. In aprile avvertì anche il direttore dell’Aifa Magrini. Non ha ancora ricevuto risposta.
Anche l’ultimo rapporto Aifa di farmacovigilanza sui vaccini covid è stato letto dai media con toni unilaterali: “I numeri sembrano confermare la sostanziale sicurezza dei vaccini”. Sembrano…, sostanziale… se le parole avessero un peso dovrebbero averle anche le segnalazioni avverse che sono giunte all’agenzia del farmaco. E se i dati parlano di un 13% di effetti gravi segnalati, questi vengono definiti “una netta minoranza”.
Ma di che cosa stiamo parlando? Si tratta pur sempre di centinaia di migliaia di vaccinati che hanno segnalato di stare male. È il caso anche delle tante storie di donne che hanno raccontato alla Bussola il loro dramma di vaccinate convinte, che subito dopo l’inoculo hanno fatto i conti con dolori e reazioni molto dolorose che stanno provocando invalidità e che al momento sono prive sia di diagnosi che di correlazione col vaccino che viene sempre esclusa.
Senza entrare nella diatriba dei numeri e di come vengono letti, grafici e numeri spesso incantano prima i giornalisti dei lettori, è importante risalire alla fonte di queste sicurezze da “esclusa correlazione” quasi dogmatica.
La domanda di partenza è: come fa Aifa a catalogare le segnalazioni e definire un evento “non correlabile” col vaccino? Con quali elementi scientifici? E su quali basi può affermare che i casi di decessi sono avvenuti perché i soggetti avevano patologie intercorrenti o pregresse a cui sostanzialmente scaricare la colpa?
L’agenzia del farmaco utilizza un algoritmo dell’Oms che ha adottato per tutta la farmacovigilanza vaccinale e che consiste in un percorso a tappe con cui sono analizzati gli elementi utili per confermare o escludere un nesso di causalità tra un evento avverso e l’inoculo effettuato. Ma, questo metodo di analisi rischia di non essere adeguato a escludere con certezza una correlazione con i vaccini perché tende, per come è stato scritto, ad assolvere quasi sempre i vaccini dal momento che al primo punto per la non correlabilità inserisce la presenza di altre cause che possano aver scatenato quell’evento avverso.
In pratica, l’Oms, come prima cosa, va alla ricerca di una causa forte o alternativa al vaccino. Questo fa si che se c’è un’altra causa che può spiegare quella patologia fatale o invalidante, l’evento avverso è giudicato “non correlabile”. In secondo luogo, superato difficilmente questo scoglio, si valutano le finestre temporali intercorrenti la somministrazione del vaccino e l’insorgenza dei primi sintomi. Alla terza tappa si vanno a ricercare i dati di letteratura: se questa dimostra che la tale malattia non può essere provocata dal vaccino, l’evento avverso viene classificato non correlabile e il nesso di causalità finisce nel binario morto. Infine, fossero superati tutti questi scogli, si fa una sintesi finale e si valuta se c’è correlazione o se il caso resta indeterminato.
Si tratta di maglie molto strette che rischiano di sottostimare qualunque reazione avversa per un preparato, un vaccino, qualunque vaccino, che non è un farmaco che ha come obiettivo la cura, ma la prevenzione di malattie attraverso una simulazione di contatto con l’agente che causa la malattia.
E che si tratti di un metodo insufficiente, ne sono convinti diversi scienziati. Uno di questi è il professor Paolo Bellavite, patologo generale (in foto) che i lettori della Bussola conoscono bene, il quale da tempo – e in tempi non sospetti – ha criticato nel merito il sistema di calcolo e analisi targato OMS e adottato dalle agenzie di regolazione del farmaco.
Bellavite, infatti, che di mestiere è patologo, cioè studia come e perché un uomo e non un altro sviluppa certe malattie piuttosto che altre, già nel 2019, quindi in epoca pre-covid, aveva argomentato tutta la sua sfiducia verso l’algoritmo OMS.
In una pubblicazione del 2019 per il convegno Condav tenutosi a Roma il 6 novembre e pubblicata poi nell’aprile 2020, Bellavite aveva fatto le pulci al metodo OMS in riferimento ai vaccini per i bambini.
Anzitutto partendo dal fatto che l’analisi del nesso di causalità è legato alla definizione del danno da indennizzare nel caso in cui si verifichino decessi o invalidità permanenti. Già all’epoca Bellavite invitava a non assumere posizioni oltranziste né da una parte né dall’altra, mantenendosi così equidistante sia da chi “considerasse solo il beneficio” (negazionista) e chi invece “considerasse solo il rischio” (allarmista).
Ma nel suo studio metteva in evidenza che per poter definire un evento avverso non correlabile al vaccino, era necessario tenere conto anche della sua indipendenza da un possibile effetto del vaccino. «Si deve escludere l’interazione tra le due cause – diceva Bellavite quando ancora la pandemia non aveva sconvolto le nostre vite – e la stessa OMS raccomanda team multidisciplinari (immunopatologi, tossicologi, anatomopatologi, medici legali etc…) che valutino il nesso di causalità».
Le malattie più comuni della modernità (cancro, infarto, diabete, depressione, artriti), infatti, hanno molti fattori di rischio, sono multifattoriali, cioè hanno molteplici cause contributive «nessuna delle quali è necessaria e nessuna sufficiente da sola a causare la malattia in tutti i soggetti esposti. Lo stesso vale per i vaccini che possono dare reazioni abnormi a stimoli in condizioni di suscettibilità individuale». Vale a dire: il soggetto che subisce il danno da vaccino era portatore di un rischio costituito da un fattore predisponente, genetico o acquisito, abbastanza forte da causare una malattia «con l’aggiunta del vaccino».
Ecco spiegato, allora per quale motivo l’algoritmo OMS per essere obiettivo, dovrebbe andare a includere anche i fattori di interdipendenza o di esclusione di tutti i fattori di rischio prima di decretare una non correlabilità. A queste critiche, poi, Bellavite aggiungeva anche le sue perplessità sul terzo passaggio, quello della verifica in letteratura scientifica che sostanzialmente predispone l’ente regolatore a dire che «la mancanza di prova diventa prova della mancanza». Si tratta di un argomento decisivo, soprattutto per un farmaco sperimentale come questo e dove la letteratura si sta scrivendo in questi mesi se non giorni.
Bellavite, dopo l’ingresso dell’era pandemica nell’età vaccinale, non rimase con le mani in mano. Il 19 aprile scorso, quindi nel bel mezzo della campagna vaccinale di prima dose, scrisse una lettera al direttore dell’Aifa Nicola Magrini (in foto) per sollevare le sue perplessità di scienziato sul metodo di raccolta e di analisi delle reazioni avverse.
«Il metodo OMS è viziato da un difetto perché permette di “assolvere” i vaccini tutte le volte che si trovano altre cause». Ma non basta trovare altre cause, bisogna vedere se quelle altre cause non sono state un «fattore di rischio nell’incontro col vaccino che ha peggiorato la situazione».
«Nel mio studio – diceva – ho dimostrato come sia facile che si verifichino errori nella valutazione del nesso di causa utilizzando l’algoritmo OMS e, soprattutto, se esiste un’interazione con una patologia sottostante, interazione che nelle malattie infiammatorie e del sistema immunitario non sono l’eccezione, quanto piuttosto la regola».
Nella lettera inviata al direttore Aifa, Bellavite spiegava anche il meccanismo della proteina spike e di come si legava al recettore ACE2 andando a provocare conseguenze notevoli sul sistema renina-angiotensina.
«Se il nesso di causa venisse escluso sistematicamente – concludeva accorato Bellavite – ciò comporterebbe una sottostima del fenomeno con importanti ricadute sulle attività regolatorie e organizzative».
Il professore disse di aver scritto anche a EMA sullo stesso argomento e si augurò di trovare interesse da parte dell’Aifa verso la sua “preoccupazione”. A distanza di cinque mesi non ha ancora ricevuto risposta.
Andrea Zambrano
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