FALSI EROI MA VERI CRIMINALI

Tutti sanno che esistono
parecchie vie dedicate a Garibaldi, e anche diverse vie che portano il nome di
Nino Bixio. In alcune località è possibile trovare vie o piazze dedicate a
Vittorio Bottego e a Giovanni Miani. Chi erano questi ultimi? Se hanno dedicato
loro piazze o vie si intende che possano essere eroi, o perlomeno persone degne
di onore. Addirittura, al più noto Pietro Badoglio è stato rinominato un paese,
chiamato in suo onore Grazzano Badoglio (AT).
Tuttavia, chi fa ricerca storica si accorge che molti personaggi onorati o
spacciati per eroi nell’attuale sistema, in realtà erano criminali incalliti o
persone pronte a calpestare qualsiasi senso morale pur di avere fama e successo.
Ogni sistema premia o riconosce chi gli è affine.
Nella foto: Giuseppe
Garibaldi e i Mille sbarcano a Milazzo.
Per capire la natura del sistema attuale basterebbe accorgersi dei tanti
personaggi riconosciuti come eroi, ma che di fatto erano feroci criminali, che
ad oggi danno il nome a molte vie o piazze delle città italiane.
Ad esempio, a Parma troviamo un monumento dedicato a Vittorio Bottego, e in
altre città troviamo vie a lui dedicate. Questo personaggio fu uno dei più
crudeli che esplorarono l’Africa nella seconda metà del XIX secolo. Egli era
mosso, più che da intenti scientifici, da motivi politici e strategici: voleva
rendere più deboli le tribù indigene mettendole le une contro le altre, per
preparare il terreno alla conquista.
Bottego partecipò a diverse spedizioni. Nel 1892 fu incaricato dalla Società Geografica Italiana di esplorare il medio e basso corso del Giuba. Raggiunse il Ganale Doria e l’anno dopo si spinse fino al bacino dell’Omo, armato di tutto punto e con 250 ascari al seguito, come se si trovasse in battaglia e non su un territorio sovrano. A Jellèm (Etiopia) la sua impresa fu definitivamente stroncata: nel tentativo di attraversare l’Etiopia fu fermato e invitato a disarmarsi per avere salva la vita, ma egli preferì combattere e morire.
Privo di scrupoli, Bottego
considerò gli indigeni alla stessa stregua degli animali, non ebbe la pur
minima considerazione della loro vita e della loro dignità e praticò ogni
genere di violenza, di cui parlò nei suoi stessi scritti. Egli, come altri
esploratori europei, raccontò di saccheggi, uccisioni, stupri e incendi. Si
sentì più che autorizzato a compiere crudeltà e massacri, e del resto,
l’atteggiamento di sopraffazione e di violenza prevaleva fra i colonialisti,
aizzato da numerose pubblicazioni come il “Bollettino della Società africana
d’Italia” che, ad esempio, scriveva:
“Siate ricchi, forti e vi rispetteranno. Allora il negro, al quale pel più
lieve gesto d’insofferenza voi avete assestato trenta colpi di frusta sulla
schiena, verrà da voi con una pietra sul collo perché gli schiacciate la testa
e vi bacerà i piedi e vi sarà grato che gli abbiate lasciato la vita”.(1)
Diversi massacri furono commessi anche dall’esploratore Giovanni Miani, che
così raccontò una delle sue scorribande in un villaggio:
“Io circondai l’incinta ponendo vari soldati agli usci, chi cercava di fuggire
era preso per così dire al volo. Il scek fu ucciso con tutta la sua famiglia,
poi mutilate le mani per cavargli i braccialetti d’onore, indi (i soldati) gli
tagliarono il membro portandolo in trionfo sopra una lancia. Dato l’assalto al
villaggio, ordinai di estrarre tutto il grano e gli animali che potevano. Il
saccheggio fu accordato a tutti i soldati e selvaggi nostri (…) Osservando
l’incendio ebbi un gusto superiore a Nerone perché mi feci accendere la pipa
col fuoco del villaggio.”(2)
Interminabili furono i
crimini di Pietro Badoglio. Egli fu nominato Governatore della Tripolitania e
della Cirenaica nel dicembre del 1928, e rimarrà in carica fino al dicembre del
1933. Sarà mandato in Etiopia da Mussolini durante la guerra di conquista.
In Libia darà inizio ad una lotta senza limiti di crudeltà, per realizzare la
riconquista definitiva e porre fine al controllo incerto che l’Italia aveva
avuto nel periodo di conquista precedente al fascismo. Badoglio, insieme a
Graziani, sarà il maggiore artefice delle crudeltà e dei massacri che saranno
perpetrati nelle colonie africane. Senza pietà egli commise i crimini più
efferati contro la popolazione inerme, utilizzando anche i gas tossici, oltre
alle deportazioni, ai lager e alle impiccagioni dopo processi sommari.
Nel 1930 Badoglio approvò una grande offensiva per piegare definitivamente la resistenza libica. Le operazioni di Graziani però daranno scarsi risultati. Gli insuccessi sollevarono le critiche di Badoglio, che voleva inasprire ulteriormente le misure e consigliava le deportazioni. Egli scrisse:
“Bisogna anzitutto creare un distacco territoriale largo e ben preciso tra formazioni ribelli e popolazione sottomessa. Non mi nascondo la portata e la gravità di questo provvedimento, che vorrà dire la rovina della popolazione cosiddetta sottomessa. Ma ormai la via ci è stata tracciata e noi dobbiamo perseguirla sino alla fine anche se dovesse perire tutta la popolazione della Cirenaica.(…) urge far rifluire in uno spazio ristretto tutta la popolazione sottomessa, in modo da poterla adeguatamente sorvegliare ed in modo che vi sia uno spazio di assoluto rispetto tra essa e i ribelli. Fatto questo, allora si passa all’azione diretta contro i ribelli”.(3)
La soluzione proposta da
Badoglio piacque anche a Mussolini, e si dette inizio alla deportazione dal
Gebel di 100.000 persone, che furono costrette ad abbandonare i propri villaggi
e a fare un viaggio senza ritorno.
Durante il viaggio almeno 15.000 persone persero la vita, alcune per fame o
sete, altre uccise dagli italiani o abbandonate nel deserto. Badoglio,
soddisfatto scriveva: “Bisogna assolutamente bandire il sistema arabo della
sparatoria da lontano (…) (occorre) essere feroce, inesorabile. Deve essere una
vera caccia al ribelle nella quale sarà redditizio ogni atto della più sfrenata
audacia.”(4)
Badoglio e Graziani, con il
pieno appoggio di Mussolini, avevano deciso di ricorrere ai metodi più spietati
per distruggere la resistenza libica, e anche il massacro dei civili risultava
utile. Dal novembre del 1929 al maggio del 1930, furono lanciate 43.500 bombe
in 1605 ore di volo, ma non sappiamo esattamente quante bombe furono caricate
di iprite.
Un telegramma di Badoglio a Siciliani e a De Bono consigliava di essere
spietati: “Si ricordi che per Omar al-Mukhtàr occorrono due cose: primo ottimo
servizio informazioni, secondo, una buona sorpresa con aviazione e bombe a
iprite”.
Il 20 gennaio del 1931
Cufra, città santa per gli islamici, verrà occupata dopo un combattimento molto
aspro, in cui la resistenza sarà costretta a fuggire verso il confine con
l’Egitto e sarà inseguita e uccisa. Si verificheranno per tre giorni violenze
sfrenate e continui saccheggi da parte degli italiani sulla popolazione:
fucilazioni indiscriminate, torture anche su bambini e vecchi (ad alcuni
estirpati unghie e occhi), indigeni evirati e lasciati morire dissanguati,
donne incinte squartate e feti infilzati, testicoli e teste portati in giro
come trofei (molte foto terribili di questo e di altri eventi si trovano oggi
negli Archivi Storici di Addis Abeba).
L’11 settembre del 1931 Omar al-Mukhtàr fu catturato e impiccato dopo un
processo farsa che non considerò nemmeno l’età avanzata del prigioniero (oltre
70 anni). Nel processo fu accusato di tradimento ma in realtà egli non aveva
mai riconosciuto l’autorità degli italiani e non si era mai sottomesso al loro
potere.
Omar al-Mukhtàr era soltanto un vecchio che aveva lottato per venti anni contro
l’oppressione dello straniero e si era dovuto trasformare, da insegnante del
Corano, in partigiano combattente.
La condanna a morte di Omar al-Mukhtàr sarà eseguita davanti ai prigionieri
senussiti del campo di concentramento di Soluch, che furono costretti ad
assistere all’impiccagione del loro eroe, su cui per tanti anni avevano riposto
le loro speranze di libertà. Dopo la morte di Omar al-Mukhtàr la resistenza
senussita sarà sconfitta, e i pochi combattenti rimasti si arrenderanno oppure
si rifugeranno in Egitto, in attesa del riscatto che arriverà con la Seconda
guerra mondiale.
In Etiopia Badoglio utilizzò i gas anche per terrorizzare la popolazione e
sganciò bombe ad iprite senza sosta su villaggi, fiumi e laghi, uccidendo
persone inermi, anche vecchi, donne e bambini.
Con la guerra d’Etiopia, i funzionari della colonia ottennero notevoli
vantaggi, come anche la classe ricca, le banche, le grandi industrie e i
generali, che furono insigniti di titoli e di ricchi trattamenti economici. Ad
esempio, Badoglio ottenne una villa a Roma, un ricco vitalizio e il titolo di
duca di Addis Abeba.
Il 6 maggio 1946 un decreto
del governo De Gasperi istituì, presso il Ministero della Guerra (poi della
Difesa), una Commissione d’inchiesta per i presunti criminali di guerra
italiani, che fu attiva fino al 1948 (5); l’impegno principale della
Commissione fu di giustificare il rifiuto di consegnare i criminali alla
giustizia, accogliendo senza eccezioni le argomentazioni difensive. Il numero
stesso degli inquisiti andò assottigliandosi col passare del tempo.
Inizialmente, le richieste internazionali al governo italiano di estradizione
dei criminali di guerra ammontavano a 295. Nel 1946 il presidente del Consiglio
Alcide De Gasperi aveva reso pubblico un elenco di 40 persone tra militari e civili,
accusati di aver violato le leggi del diritto internazionale di guerra
compiendo crimini contro l’umanità; nel 1947 la Commissione governativa li
aveva ulteriormente e definitivamente ridotti a 29, ma nemmeno questi ultimi
verranno mai sottoposti a processo.
Il primo caso vagliato fu quello del generale Badoglio, accusato di aver usato
gas tossici e di aver bombardato ospedali della Croce Rossa durante la guerra
d’Etiopia. Malgrado le resistenze inglesi, gli etiopici (sostenuti anche da
Norvegia e Cecoslovacchia) riuscirono a persuadere la Commissione
internazionale a inserire Badoglio nella lista dei criminali di guerra col
“grado A” (il massimo), insieme ad altri gerarchi e generali.
Badoglio, insieme a Graziani, Pirzio Biroli, Gallina, Lessona e altri, aveva
fatto uccidere soltanto in Etiopia oltre 700.000 persone, eppure non sarà mai
processato per questi delitti.
Gli etiopici organizzarono una loro commissione nazionale sui crimini di
guerra. Nel 1949 l’Italia respinse la richiesta etiope per l’estradizione di
Graziani e Badoglio. Il 17 settembre l’ambasciatore etiope a Londra sottopose
la questione al Foreign Office, che consigliò di desistere. Così nessun
criminale fu mai estradato. Pietro Badoglio alla sua morte ebbe un funerale di
Stato.
A scuola ci hanno
raccontato una Storia d’Italia assai mistificata, in cui alcuni personaggi che
in realtà erano criminali o mercenari di bassa lega appaiono come eroi di
primario splendore. Questo risulta logico se si pensa che la stessa Unità
d’Italia fu un evento pilotato da chi deteneva il potere imperiale. Dire la
verità significa far comprendere il vero sistema di potere.
Garibaldi, spacciato per “eroe dei due mondi”, in realtà era un criminale al
soldo degli inglesi, per i quali aveva praticato il traffico di schiavi e il
saccheggio mediante la “guerra di corsa”. Nell’America del sud era stato
arrestato e condannato per aver rubato cavalli. Gli stessi Savoia si
lamentavano del suo comportamento a dir poco disonesto. In una lettera inviata
a Cavour, Vittorio Emanuele II, dopo lo storico “incontro di Teano”, scriveva
di Garibaldi: “Come avrete visto, ho liquidato rapidamente la sgradevolissima
faccenda Garibaldi, sebbene – siatene certo – questo personaggio non è affatto
così docile né così onesto come lo si dipinge, e come voi stesso ritenete. Il
suo talento militare è molto modesto, come prova l’affare di Capua, e il male
immenso che è stato commesso qui, ad esempio l’infame furto di tutto il denaro
dell’erario, è da attribuirsi interamente a lui, che s’è circondato di
canaglie, ne ha seguito i cattivi consigli e ha piombato questo infelice paese
in una situazione spaventosa”.(6)
L’11 maggio del 1860 i
Mille sbarcarono a Marsala, favoriti dalle navi della flotta inglese “Intrepid”
e “H.M.S. Argus”, ormeggiate al porto di Marsala (la flotta borbonica non
avrebbe mai attaccato gli inglesi). Fra i Mille c’erano diversi delinquenti
comuni. Garibaldi stesso aveva scritto: “Francesco Crispi arruola chiunque:
ladri, assassini e criminali di ogni sorta”.(7)
L’impresa dei Mille non fu altro che un modo per soggiogare la popolazione al
nuovo potere, e infatti, dopo l’unificazione d’Italia le repressioni saranno
ferocissime e riguarderanno molte regioni d’Italia, specie quelle meridionali e
il Veneto. Ovviamente, dopo l’impresa militare, nel 1864, Garibaldi sarà
accolto a braccia aperte dalla regina d’Inghilterra e dal ministro Henry John
Palmerston. Ufficialmente, in quell’incontro Garibaldi ringraziò le autorità
inglesi per l’appoggio dato alla spedizione dei Mille, ma non raccontò che da
molti anni era al soldo di Londra per commettere nel Sud America ogni sorta di
crimine.
Anche Nino Bixio, altro
personaggio spacciato per eroe, non risparmiò repressioni nel sangue. Ad
esempio, nell’agosto del 1860, egli represse nel sangue le proteste a
Biancavilla, Cesarò, Randazzo, Maletto e Bronte.
A Bronte i contadini avevano fatto ricorso alla giustizia, sostenuti
dall’avvocato Nicola Lombardo, ma tutte le cause intentate contro gli
usurpatori delle loro terre erano fallite. L’unica strada rimasta era quella
della sollevazione.
La repressione a Bronte fu feroce, gli insorti furono massacrati durante i
tumulti o arrestati e fucilati in seguito. Furono fucilate almeno cento
persone, che in nome dei principi propugnati dallo stesso Garibaldi si erano
riappropriate di alcune terre usurpate dai parenti di Nelson.
La responsabilità del massacro di Bronte sarà attribuita a Bixio, che in una
serie di lettere documentò gli eventi che portarono al fatto criminale. Ad
esempio, in una di queste, scritta il 7 agosto 1860 e inviata al maggiore
Giuseppe Dezza, dice di aver messo le “unghie addosso a uno dei capi”. Si
raccontò anche l’episodio del garzone che chiese il permesso di portare due
uova all’avvocato Lombardo, che si trovava in carcere, a cui Bixio disse
cinicamente: “altro che uova, domani avrà due palle in fronte!”. Lombardo sarà
fucilato insieme ad altre quattro persone, accusate di aver organizzato la
rivolta a Bronte.
I fatti di Bronte furono
considerati di poco conto e posti sotto silenzio dalla storiografia ufficiale,
per proteggere il mito di Garibaldi e dei Mille. Gli eventi furono in parte
chiariti soltanto da uno studioso di Bronte, il professor Benedetto Radice, che
pubblicò nell’Archivio Storico per la Sicilia Orientale, nel 1910, una
monografia dedicata a Nino Bixio a Bronte (1910, Archivio Storico
Siciliano).(8) Dopo questo scritto, molti sapevano dell’eccidio, ma nessuno
storico considerò questo e altri fatti per modificare l’interpretazione del
Risorgimento Italiano.
Nell’ottobre del 1985, il Comune di Bronte pose un monumento alla memoria delle
vittime delle repressioni. Sulla targa del monumento si legge: “Ad perpetuam
rei memoriam che nell’agosto 1860 di cittadini brontesi donò la vita in
olocausto – Amministrazione Comunale – 10 ottobre 1985”. Ciò nonostante, a
pochi metri è rimasta una strada dedicata a Nino Bixio, segno che i presunti
eroi, anche quando i fatti vengono a galla, tardano ad essere considerati per
quello che erano veramente, ovvero criminali al soldo del potere dominante.
Questi personaggi sono diventati “eroi” proprio per aver sottomesso le popolazioni attuando crimini di vario genere e promettendo cose che sapevano di non poter mantenere. Con l’avvento di Garibaldi, i contadini siciliani si erano illusi di poter avere quella libertà che chiedevano da tempo. Con un decreto, Garibaldi abolì la tassa sul macinato e ogni altra tassa imposta dal potere precedente. Il 2 giugno 1860 emanò norme per la divisione delle terre dei demani comunali, assegnandone una quota ai combattenti garibaldini o ai loro eredi, se caduti. Con queste riforme Garibaldi accrebbe la sua popolarità, e accese le speranze dei siciliani, che però ben presto dovettero accorgersi che le riforme erano state soltanto un atto propagandistico, poiché la quantità di tasse da pagare era quella di prima e la redistribuzione delle terre non era avvenuta. I contadini sarebbero diventati ancora più poveri, e quelli che si sarebbero sollevati sarebbero diventati “fuorilegge” e uccisi senza alcuna pietà.
Bixio, Garibaldi e altri
“eroi” obbedivano al diktat “Italia e Vittorio Emanuele”, che veniva indicato
in tutti i decreti come formula che conferiva poteri pressoché assoluti al fine
di imporre l’occupazione in vista dell’unificazione dell’Italia. Nell’art. 1 del
decreto del 17 maggio 1860 si legge: “Durante la guerra, il giudizio dei
reati…”, tale decreto avrà efficacia anche dopo la “sconfitta” dell’esercito
borbonico. Da ciò si inferisce che l’occupazione delle terre veniva considerata
uno stato di guerra, e le popolazioni “ribelli” dovevano essere trattate come
combattenti in guerra. Tutti coloro che si ribellarono al potere sabaudo furono
trucidati, repressi, oppure fucilati dopo un processo sommario nei Tribunali di
guerra. In altre parole, il popolo italiano fu considerato come un nemico in
guerra, e non come compartecipe ai fatti unitari. Nelle sollevazioni, il popolo
faceva richieste economiche precise, e la repressione scattava affinché queste
richieste venissero ritirate, in quanto non c’era alcuna intenzione da parte
dei Savoia di rispettare la sovranità popolare o di rendere più equa la
situazione economica dell’Italia.
I massacri della popolazione e le condanne a morte venivano attuati in nome del
re (che soltanto con la legge 17 marzo 1861 n. 4671 diventerà ufficialmente re
d’Italia), sulla base del decreto 17 maggio 1860 n. 84, da cui si legge “Le
sentenze, le decisioni e gli atti pubblici saranno intestati: In nome di
Vittorio Emanuele Re d’Italia”.
A sua volta, Vittorio
Emanuele obbediva alle autorità inglesi che lo avevano messo sul trono. Le
autorità inglesi difendevano gli interessi dei Lord e degli altri personaggi
dell’establishment. Ad esempio, a Bronte, il Console inglese, John Goodwin,
faceva continue pressioni affinché Garibaldi e l’allora Ministro dell’Interno
Francesco Crispi tutelassero a tutti i costi gli interessi
agricolo-patrimoniali dei Nelson. Nelle lettere, Goodwin invita a punire
l’avvocato Nicola Lombardo: “arrestare l’autore di tale assassinio onde essere
giudicato dall’autorità competente e condannato. (9)
In conclusione, ieri come oggi molti sono i falsi eroi nazionali, che in realtà
sono veri criminali, e molti veri eroi delle terre depredate dalle autorità
occidentali risultano essere considerati “terroristi” e per questo perseguitati
e uccisi.
Oggi, se volete essere consacrati ad eroi, andate a massacrare innocenti nelle
missioni estere, e se morirete ammazzati magari vi dedicheranno una via o una
piazza. Di sicuro diranno che siete “caduti per la libertà” e vi offriranno una
corona di fiori e una medaglia. La vostra vita sarà valsa una medaglia e molti
onori, mentre le vite innocenti che avrete distrutto non avranno nemmeno il
valore di un minuto di silenzio.
Antonella Randazzo
Fonte: http://lanuovaenergia.blogspot.com
Link:
http://lanuovaenergia.blogspot.com/2009/04/falsi-eroi-ma-veri-criminali.html
10.04.2009
NOTE
1) “Bollettino della
Società africana d’Italia”, 1882, cit. in Aruffo Alessandro, “Storia del
colonialismo italiano da Crispi a Mussolini”, Editrice Datanews, Roma 2003,
p.29.
2) Miani Giovanni, “Diari”, cit. in Aruffo Alessandro, “Storia del colonialismo
italiano da Crispi a Mussolini”, Editrice Datanews, Roma 2003, p. 28.
3) ACS, Carte Graziani, b. 1, f. 2, sottof. 2, in Del Boca Angelo, “Gli
italiani in Libia, dal fascismo a Gheddafi”, Laterza, Roma-Bari 1991.
4) ASMAI, Libia, pos. 150/22, f. 98, cit. in Del Boca Angelo, “Gli italiani in
Libia, dal fascismo a Gheddafi”, Laterza, Roma-Bari 1991.
5) Sulle vicende della Commissione, cfr. in particolare F. Focardi e L.
Klinkhamer [a cura di], “La questione dei criminali di guerra italiani e una
Commissione d’inchiesta dimenticata”, in “Contemporanea”, a. IV, n. 3, luglio
2001, pagg. 497-528.
6) Smith Denis Mack, “Garibaldi, una grande vita in breve”, Arnoldo Mondadori
Editore, Milano 1993, p. 285.
7)www.brigantaggio.net/brigantaggio/Storia/Meridionale/Q37_Mafia.PDF+inglesi+terre+sicilia+contadini&hl=it&ct=clnk&cd=5&gl=it&ie=UTF-8
8) Sciascia Leonardo, “Nino Bixio a Bronte”, Edizioni Salvatore Sciascia,
Caltanissetta, 1963.
9) Radice Antonio, “Risorgimento perduto”, De Martinis & C., Catania 1995.
BIBLIOGRAFIA
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Ciano Antonio, “I Savoia e il massacro del Sud”, Grandmelò, Roma 1996.
De Matteo Giovanni, “Brigantaggio e Risorgimento – legittimisti e briganti tra i Borbone ed i Savoia”, Guida Editore, Napoli 2000.
Di Fiore Gigi, “1861. Pontelandolfo e Casalduni: un massacro dimenticato”, Grimaldi & C. Editori, Napoli 1998.
Di Fiore Gigi, “I vinti del Risorgimento”, UTET, Torino 2004.
Izzo Fulvio, “I Lager dei Savoia”, Controcorrente, Napoli 1999.
Pellicciari Angela, “Risorgimento da riscrivere”, Ares, Milano 2007.
Radice Antonio, “Risorgimento perduto”, De Martinis & C., Catania 1995.
Servidio Aldo,”L’imbroglo Nazionale”, Alfredo Guida Editore, Napoli 2000.
Smith Mack Denis, “I Savoia Re d’Italia”, Rizzoli, Milano 1990.
Smith Denis Mack, “Garibaldi, una grande vita in breve”, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1993.
Zitara Nicola, “Il proletariato esterno. Mezzogiorno d’Italia e le sue classi”, Jaca Book, Milano 1977.
Zitara Nicola, “Negare la negazione”, La Città del Sole Edizioni, Reggio Calabria 2001.