“FANCIULLI” TRATTA DEI BAMBINI NEL REGNO D’ITALIA E IN TERRA DI LAVORO
Senza scomodare Milan Kundera credo che mai nella storia dell’uomo ci sia stata una cancellazione di una Nazione con 8 secoli di vita, quella napolitana, avvenuta con tale disinvoltura e spudoratezza e conseguente trasformazione antropologica come quella subito da un popolo che da napolitano s’è trovato da un giorno all’altro ad essere meridionale di una subnazione.
E’ stata un operazione partita nel 1860, le premesse erano nate una sessantina di anni prima, che si puo dire terminata alla fine prima guerra mondiale grazie alla nascita del mito del milite ignoto e del soldato italiano che insieme alla grande emigrazione e alla propaganda fascista hanno tolto definitivamente il concetto di napolitanità nella popolazione italiana. Una cosa però che non è mai terminata e tiene sempre alta la guardia, è il controllo del mondo della cultura istituzionale sulla scuola, sui media, sul cinema e sull’arte che mai hanno potuto liberamente narrare e divulgare le verità storiche occultate sulla nascita di questa “meravigliosa nazione” chiamata Italia.
La nota più triste di questa assurda politica è quella del mondo accademico che da 160 anni dà una rappresentazione di se molto squallida quando si narrano le insorgenze del triennio 1797-99, il Risorgimento e le vicende che hanno portato alla nascita della Nazione Italiana.
Un mondo accademico che trova una ottima sponda dal canale Rai Storia, mentre per il 1799 ha costruito una torre quasi inviolabile che per ora tiene a bada un mondo insorgente che con fionda e mazze cerca ingenuamente di scardinare le spesse mura perché sa che se dovesse essere presa crolla tutto, per il 1860 e l’Unità d’Italia ha tenuto la guardia un po più bassa senza mai affrontare con decisione la nutrita truppa di storici insorgenti che senza mezzi e muniti di grande passione hanno creato una bibliografia di notevole livello e difficilmente contestabile, almeno fino a qualche tempo fa. Infatti il sistema ha compreso che il mondo insorgente napolitano ha portato il ripristino delle verità storiche fuori dai salotti per farlo conoscere alle masse dove si sta diffondendo a macchia d’olio e sta cercando di correre ai ripari mettendo un buon numero di storici accademici che non hanno nulla a che vedere con i loro illustri predecessori che certamente erano salariati quanto loro ma avevano un livello di preparazione decisamente diverso e certamente superiore.
Parlano dei padri della patria come Cavour, Mazzini, Garibaldi, Pisacane ecc. ecc. con toni cosi banali e propagandistici che sono riusciti a ribaltare le parti infatti siamo arrivati al paradosso che gli stoici storici insorgenti non si inquietano più quando si parla di quelli istituzionali ma li ignorano e provano anche un sentimento d’affetto. Personalmente credo che sono migliori di come appaiono, anche se hanno creato una casta di stampo nepotistico, ma si sono trovati di fronte ad un fiume carsico che è emerso in superficie con una forza e una violenza tale che portarlo nel letto del conformismo è quasi impossibile. Come si fa a parlare degli ideali dei suddetti padri della patria di fronte alla ferocia repressione dei piemontesi per alcuni decenni dopo il 1860 o dell’incredibile legge Pica, come della nascita dei campi di concentramento e del tentativo dell’applicazione per la prima volta della soluzione finale, della massiccia emigrazione mai conosciuta prima, dello scandalo della banca romana e di quello che divulgheremo a breve.
Parliamo della “Tratta dei Bambini” che per alcuni decenni dopo il 1860 ha investito il nostro ex amato Regno, ora sud italia, e soprattutto la terra di lavoro che non scagiona nessuno, che non trova nessuna giustificazione e non lascia adito a nessun equivoco. Dopo aver già pubblicato un articolo sui processi tenutosi al tribunale d’Isernia oggi pubblichiamo un documento inedito che a leggerlo ti fa venire la pelle d’oca e di cui non vogliamo anticiparvi nulla tranne che su un breve passaggio in cui si cita la nostra ultima grande Regina Maria Sofia che a Parigi era attiva a organizzare la cura e l’accoglienza dei “Fanciulli” napolitani sventurati. Alla fine del testo troverete un breve video dove Loreto Giovannone parla in un convegno della “tratta dei fanciulli” che ha investito anche la Toscana, almeno questa volta siamo in buona….compagnia.
Claudio Saltarelli
Giugno 1901. Anno I — N. 2 Giugno 1901.
OPERA DI ASSISTENZA
degli Operai Italiani emigrati in Europa e nel Levante
BOLLETTINO BIMENSILE EDITO DAL CONSIGLIO CENTRALE
FANCIULLI ITALIANI
NELLE VETRERIE FRANCESI
RELAZIONE PRELIMINARE DEL COMITATO PIEMONTESE
(Estensore il Cooperatore Dr. ALBERTO GEISSER)
INCHIESTA FATTA NEI CIRCONDARI DI SORA E DI ISERNIA
dal Dr. UGO CAFIERO
APPENDICI
Rapporto in data Novembre 1900 dell’avv. LIONELLO SCELSI, già reggente il Consolato d’Italia a Lione (estratto dal «Bollettino del Ministero degli affari esteri», dicembre 1901).
Lettere dei Missionari R. JACOMUZZI, CANONICO e GRASSI al Segretario generale dell’«Opera di assistenza».
ROMA
TIPOGRAFIA DI F. FAILLI
Via della Consolazione, 64.
1901
Le notizie che un Missionario nostro, reduce da Lione, portò lo scorso Settembre sulla tristissima condizione dei minorenni italiani che lavorano nello vetrerie francesi, ci indussero a prenderne a cuore lo sorti. Di ciò incaricammo il Comitato Piemontese, il quale rende conto della bene avviata opera sua colle relazioni che qui appresso pubblichiamo.
LA PRESIDENZA DELL’ OPERA
I successivi numeri del presente Bollettino saranno inviati gratuitamente, oltreché ai soci dell’Opera di assistenza, a tutte quelle persone che ne facciano richiesta con cartolina postale alla Segreteria Generale (2, Via Donati — Torino).
I.
RELAZIONE DEL COMITATO PIEMONTESE
L’Opera di assistenza per gli operai italiani emigrati in Europa e nel Levante si costituiva nel maggio 1900, col concorso d’Italiani d’ogni provincia, sotto la presidenza di Monsignor Bonomelli, Vescovo di Cremona.
L’Opera di assistenza non ignara dei mali dei fanciulli italiani addetti alle vetrerie estere (1) sin dallo scorso luglio si propose di studiare anche questa piaga della nostra emigrazione temporanea ed i possibili rimedi.
Questo compito fu assunto dal Comitato Piemontese ed assegnato a chi scrive. Il nostro esimio concittadino l’abate Peyron si recava a tale scopo nell’agosto, a Lione, dove trovò presso il reggente quel Consolato generale d’Italia, il cav. Scelsi, la migliore accoglienza.
Ci è gradito dovere segnalare alla riconoscenza degl’Italiani, il cav. Scelsi, 1’attuale nostro Console generale a Lione cav. E. Perrod, il nostro Ambasciatore conte Tornielli, il suo collaboratore marchese Paulucci de’ Calboli, i quali tutti, degni rappresentanti del Paese, hanno spiegato e spiegano in questa questione delle vetrerie, come abbiamo potuto constatare, opera infaticabile.
Alle informazioni raccolte dall’Abate Peyron, a quelle attinte presso il Consolato di Lione, il Comitato volle aggiungerne altre richieste ad amici dell’Opera residenti in Francia e non legati agli ovvii riguardi ufficiali, nonché altre ancora assunte nei paesi dove si reclutano i fanciulli per le vetrerie.
Ci fu detto, per una parte, che anche in Francia le Leggi esistenti non sono sempre ed ovunque applicate col dovuto rigore, che Ispettori del lavoro in certi casi o si astengono dal compiere le loro ispezioni o vedono male o non vedono punto; che influenze elettorali di interessati nelle vetrerie e quindi nello sfruttamento dei giovani italiani si farebbero a volte sentire in più d’un pubblico ufficio…
(1) In Francia l’industria della vetreria è particolarmente sviluppata nel Lionese (Dipartimento del Rhéne e della Loire).
Ecco, secondo le indicazioni del Consolato Italiano a Lione, contemperate a quelle del rapporto Scelsi e di altre fonti ancora, il numero di Italiani residenti nel Lionese. Si tratta naturalmente di cifre approssimative,induttive e soggette a variazioni sensibili e anche rapide, a seconda delle condizioni delle industrie.
Nella città e nei sobborghi di Lione si può dire vi siano da 5 a 6mila operai italiani, vetrai, muratori, terrazzieri, pittori-decoratori, fumisti, formatori, ecc,
A Saint Etiénne (Loire) da 3 a 4mila; nelle vetrerie, fabbriche d’armi e miniere di carbone;
A Rive-de-Gier (Loire) oltre 1500 di soli minorenni (vedi relazione Scelsi, pag. 20), impiegati esclusivamente nelle vetrerie ;
A Givors (Rhòne) circa 800 operai addetti alle vetrerie, e fra essi da 3 ai 400 minorenni;
Un centinaio almeno nelle stesse condizioni a Saint-Romain-Le Puy;
Altrettanti a Saint Galmier (Rhòne).
A Saint Denis, Pantin, Chòisy le Ròi, Quatre Chemins ecc., nei pressi di Parigi, vi sono pure vetrerie che occupano fanciulli italiani, come quelle del lionese.
A siffatti presunti mali, non nuovi certo per noi Italiani, ci si suggeriva qual rimedio una raddoppiata insistenza del benemerito nostro Ambasciatore presso il Governo francese.
Altre fonti, in paese e fuori, c’indicavano invece quali cause specifiche della tratta, la trascuratezza, se non addirittura spesso la interessata complicità, delle Autorità locali (Sindaci, Segretari comunali) in taluni centri nostrani dell’emigrazione.
Alcuni di questi funzionari rilascerebbero copie di atti di stato civile non rispondenti agli originali, passaporti per l’interno e per l’estero senza controlli né cautele; stimolati o coperti, di si dice, anche qui, a volte, dall’ influenza di elettori ragguardevoli e interessati, di Consiglieri provinciali, di Deputati, solleciti di accontentare i propri mandanti.
Il deputato Socci interrogava alla Camera il Ministero su questo argomento e nella tornata del 27 gennaio 1898 il conte Bonin, sottosegretario di Stato per gli affari esteri, rispondeva confessando che «tutti gli sforzi del Governo Italiano per impedire il triste commercio dei piccoli schiavi erano fino a quel tempo riusciti infruttuosi ».
Il rapporto Scelsi, pubblicato a metà dicembre (1), la cui importanza è ozioso mettere in rilievo, analizzato il male, propone i rimedi. (Veggasi la pag.22 di questo documento ristampato in calce alla nostra inchiesta).
Il rapporto Scelsi, come una parte delle informazioni da noi raccolte, conclude prevalentemente a cercar in Paese i rimedi alla tratta dei piccoli italiani per le vetrerie.
Nei primi di Febbraio il nostro Comitato manifestava al Ministero degli Affari Esteri dubbi da esso concepiti, in base alle fatte indagini, che gli articoli 2-4 della nuova legge sull’emigrazione (2) potessero venir applicati a dovere e costituire quindi un efficace rimedio
(1) Bollettino del Ministero degli affari esteri, n.184. Di questo furono tosto, a cura dal Comitato Piemontese dell’Opera, distribuiti, con opportuno criterio, oltre 100 esemplari alle Autorità governative, al Clero, a pubblicisti, ecc.
Siccome le pubblicazioni del Ministero degli Affari Esteri, come sgraziatamente pressoché tutte quelle dei nostri Ministeri e del Parlamento, spesso buone o eccellenti, sono però assai difficilmente accessibili al pubblico non ufficiale, che pur ne sopporta la spesa, crediamo pregio dell’opera ristampare il rapporto Scelsi quale allegato al presente Bollettino,
Così il quadro riuscirà più completo ed istruttivo.
(2) Art. 2. Coloro che arruolino, conducano o mandino all’estero minori degli anni 15, a scopo di lavoro, senza che siano stati sottoposti alla visita medica c forniti del libretto del Sindaco, di cui all’art.3 del Regolamento sul lavoro dei fanciulli 17 settembre 1886, saranno puniti coll’art.4 della legge 11 febbraio 1886, n. 3657.
Art. 3. Chi arruoli o riceva in consegna, nel Regno, uno o più minori degli anni 15, per impiegarli all’estero, sia in professioni girovaghe, sia in industrie che verranno indicate dal Regolamento come dannose alla salute, o come pericolose, sarà punito con la reclusione fino a sei mesi e con multa da cento a cinquecento lire. Con la stessa pena sarà punito chiunque conduca o mandi all’estero, o consegni a terse persone perché conducano all’estero, minori degli anni quindici, con lo scopo d’impiegarli come è detto nella prima parte del presente articolo. In tal caso il tutore decadrà dalla tutela ed il genitore potrà esser privato della patria potestà,
Le medesime prescrizioni sono applicabili a chi induce una donna minorenne a emigrare, per trarla alla prostituzione;
Art. 4. Chi abbandoni in paese straniero minori degli anni diciassette avuti in consegna nel Regno per dare ad essi lavoro, sarà punito con la reclusione fino ad un anno e con multa da trecento a mille lire, senza pregiudizio delle maggiori pene in caso di maltrattamenti e di sevizie.
Se il minore non abbia compiuto quattordici anni, la pena sarà aumentata della metà.
L’imputato, cittadino o straniero, sarà giudicato a richiesta del Ministro della giustizia o a querela di parte: e se già fu, per lo stesso reato, giudicato all’estero, si applicheranno le disposizioni degli articoli 7 e 8 del Codice Penale.
nei paesi dove i fanciulli si reclutano. Il Comitato insisteva pertanto perché nel Regolamento di cui era in corso lo studio si accogliessero circa i passaporti per l’Estero alcune modalità ch’esso ravvisava pratiche, semplici e concludenti.
Rispondeva il Ministero manifestando la sua piena fiducia nell’efficacia delle nuove disposizioni legislative sopra ricordate e soggiungendo doversi sperimentare pei passaporti per l’Estero il nuovo regime promulgato con R. Decreto 31 Gennaio scorso.
Li 29 Marzo, allorquando il nostro Comitato stava già attuando i propositi da esso formati, l’on. Teofilo Rossi svolgeva eloquentemente alla Camera (Atti pag. 3039-41) la sua interrogazione ai Ministri dell’Interno e per gli Affari Esteri «per conoscere quali provvedimenti intendano prendere allo scopo d’impedire la vergognosa incetta, liberamente praticata, di fanciulli italiani che vengono portati a lavorare nelle vetrerie francesi, ove perdono sempre la salute, spesso la vita».
Esposti sostanzialmente i fatti consegnati nel rapporto Scelsi, l’on. Deputato soggiungeva averli egli pure osservati visitando le vetrerie francesi e avere nel Gennaio scorso constatato altresì che nelle Provincie di Roma, di Caserta, di Campobasso si esplicava liberamente l’incetta dei fanciulli per le vetrerie (1).
L’on. Ronchetti, Sottosegretario di Stato per l’Interno, rispondeva esponendo le diligenze spiegate dai successivi Ministeri sia in via amministrativa e giudiziaria, sia in via diplomatica, affermava la propria fiducia negli art. 2-4 della nuova legge sull’emigrazione; ma al tempo stesso dichiarava non aver fede nella possibile soppressione del male.
«Che cosa può valere l’opera dello Stato in codesta materia quando manca il primo e più necessario aiuto che è quello delle famiglie ?»
L’on. Teofilo Rossi punto soddisfatto, ed a ragione, della risposta, dichiarò voler convertire la sua interrogazione in interpellanza, per fare a sua volta delle proposte. Ed una domanda d’interpellanza, colle firme dei Deputati Rossi, Teofilo, Battelli, Giaccone, Di Bagnasco, Meardi, Donati Carlo, Calleri Enrico, Bergamasco, Rizzetti è stata deposta all’Ufficio della Presidenza, li 30 Marzo «per conoscere quali provvedimenti i Ministri dell’Interno e degli Affari Esteri intendano prendere per difendere la salute e la vita dei fanciulli italiani che in Francia sono vittime dei più odiosi maltrattamenti da parte di inumani speculatori ».
Sarebbe stato giusto, in omaggio al vero, di soggiungere che questi speculatori sono essenzialmente italiani.
Con maggior precisione di concetti pratici, l’on. Francesco Farinet mandava li 2 aprile alla Presidenza della Camera una sua domanda d’interpellanza ai Ministri per l’Interno e per la Giustizia «sui provvedimenti che intendono prendere contro i pubblici ufficiali i quali direttamente prestano mano all’illecito e immorale invio dei piccoli italiani nelle vetrerie francesi o belghe, e sull’urgenza di ricondurre in patria i disgraziati ragazzi, vittime di colpevole speculazione» (2).
(1) Sarebbe stato più esatto il dire: nel circondario di Sora (provincia di Caserta), nel vicino circondario d’Isernia (provincia di Campobasso) e nella parte meridionale del Lazio, ai confini dell’antico Reame di Napoli. Gli altri Circondarii delle citate provincie sono sin ora immuni da questa lebbra, Veggasi la nostra Inchiesta pag.10.
(2) Pensiero questo umanitario e lodevole, ma che, a parte le difficoltà dell’esecuzione non taglierebbe le radici del male. Veggasi la mostra Inchiesta a pag. 13. Incidentalmente avvertiamo che l’opera nostra non ha avuto sin qui modo di compiere indagini concludenti circa i fanciulli italiani nelle vetrerie belghe, Ma è ragionevolmente da ritenere che la diagnosi e la profilassi del male non siano guari diverse pel Belgio da quelle che esponiamo per la Francia.
Non si può disconoscere che il Sottosegretario di Stato per l’Interno dimostrò nella ricordata seduta di aver bensì letto documenti e rapporti ufficiali, ma al tempo stesso mancanza di nozioni e di idee vive, dirette, concrete, le sole utili e concludenti nella questione.
Intanto l’Opera di assistenza, fra la disparità di informazioni molteplici, la divergenza di disinteressati suggerimenti circa le cause del male cd i possibili rimedii, ravvisò fin dalla fine del febbraio la necessità di illuminare e sé stessa e il Pubblico italiano con un’inchiesta: inchiesta oggettiva, spregiudicata, una fotografia dal vero, nei circondarii di Sora e d’Isernia, fatta da chi, ispirando meritata fiducia al nostro Comitato, potesse e sapesse raggiungere lo scopo nostro — la verità, la verità su tutto, su tutti — nell’argomento dell’incetta dei nostri fanciulli per le vetrerie francesi.
E poiché anche i propositi rivolti disinteressatamente al bene sono, la Dio mercé, contagiosi, ci toccò la ventura di trovare nel Dott. Ugo Cafiero l’uomo atto a dar vita al nostro disegno.
Nato ai piedi del Vesuvio, fornito della più estesa coltura, esperto dei congegni amministrativi, degli ambienti elettorali, perché durante più anni severo e benemerito Assessore anziano del Comune di Castellamare Stabia, dubbioso dapprima, se non sui fini, sui metodi dell’Opera, ma assetato di verità e di bene, egli accettò il nostro mandato, senza compenso per le fatiche e i disagi, che furono pel corso d’un mese incessanti e non lievi.
Dell’opera sua daranno giudizio i lettori.
Egli, come l’Opera, lo aspetta e lo invoca con coscienza serena.
L’inchiesta del dott. Cafiero espone i mali ed i rimedi.
Questi sono molteplici quanto semplici.
Sono in potere delle Autorità e degli uffici, dai più alti ai più modesti, dai piccolo Comuni della Campania e del Lazio alle stazioni di frontiera, del Clero, dei Medici provinciali, delle Società ferroviarie, dell’Ispettorato per le ferrovie, dei Consolati italiani, dei cittadini tutti, e sopra tutto e tutti, del Commissariato testé istituito per l’emigrazione. Non occorrono provvidenze nuove né nuovi congegni amministrativi.
«Compia ognuno sempre il proprio dovere» (1).
Tenga aperti gli occhi e l’animo al male che noi segnaliamo nelle tante sue forme, e anche questa vergogna d’Italia, questo strazio di tante vite innocenti andrà scomparendo fra poco. Certo la causa prima e più profonda del male – la miseria economica, la necessità d’emigrare – permane. Questa non può venir eliminata, ma bensì incanalata per altre vie. Qui si parrà la nobilitate del Commissariato per l’emigrazione e degli uomini cui tocca l’onore e il dovere altissimo di dargli vita e vigore.
Si tratta, ben lo dice il Cafiero, di popolazioni ottime per salute e per indole. Il Commissariato può e deve avviarle man mano ad emigrare, così come fanno gli abitanti degli Abruzzi, delle Calabrie, ecc., quali lavoratori agricoli nel Sud-America e altrove.
Il contingente numerico annuo medio non è eccessivo, e più che i mezzi materiali gioveranno al Commissariato i mezzi morali, le relazioni ch’esso coltiverà coi Paesi i quali ci richiedono lavoratori della terra.
Il Clero, il Governo, l’Opera nostra, i molti cittadini generosi che il Cafiero incontrò, apriranno gli occhi alle misere ignare popolazioni che ora vendono i figli loro.
(1) Parole con cui Vittorio Emanuele III iniziava il suo Regno e che ogni Italiano dovrebbe aver scolpite nel cuore.
Il turpe mercato, l’alimento di sangue e di lacrime che l’Italia dà alle vetrerie straniere colla salute e la vita di tanti suoi fanciulli, può, deve cessare, cessare fra breve, cessare pel concorde volere e l’inflessibile azione degli Italiani.
Un autorevole amico dell’Opera di assistenza e dell’Italia, cittadino francese, ci propose di far appello all’opinione pubblica in Francia. Egli ci manifestava la sicurezza che parecchi fra i migliori figli di quel Paese grande e generoso avrebbero, se informati dello stato delle cose, della responsabilità almeno parziale che vi hanno Autorità e cittadini francesi, levato la voce contro nefandezze le quali macchiano pure il suolo e il nome di Francia.
Ma l’Opera di assistenza confida che noi Italiani sapremo da soli compiere il dover nostro, estirpare una piaga obbrobriosa per l’Italia, posto che la nostra Inchiesta ha dimostrato che ciò è in potere di tutti noi, privati cittadini e ufficiali governativi o locali, laici ed Ecclesiastici.
L’Opera nostra pure questa meta si è prefissa; vi tenderà sempre, con ogni sforzo, coll’aiuto di tutti i buoni; essa reclamerà senza posa né tregua, in nome della Religione di Cristo, in nome della Patria e «del fiore di nostra gente infelice venduta allo straniero (1)» che ognuno compia, modestamente, ma sempre, il proprio dovere.
Questo può, questo deve bastare per lavarci dall’attuale disonore.
Torino I maggio 1901.
P. Il Comitato Piemontese dell’Opera di assistenza
Dott. ALBERTO GEISSER
Delegato per il tema: Assistenza dei fanciulli italiani nelle vetrerie straniere.
Ci sarebbe caro compiere qui, sin d’ora, il dovere di additare alla pubblica riconoscenza gli uomini cuore, che, in Italia e fuori, assecondarono in molti modi l’iniziativa e le indagini del Comitato Piemontese. Crediamo preferibile, e ben accetto anche, il tacere, acciò non vengano compromessi i maggiori frutti che alla santa Causa potrà dare l’ulteriore concorso di quei generosi, che non conviene render noti agli incettatori e ai complici di costoro.
Non possiamo però tacere del Giudice Raffaele Maietti, il quale nel tempo che rimase Pretore a Roccasecca, divenne un vero apostolo contro la tratta, pubblicò manifesti e uno studio nella Domenica Giudiziaria, e fornì al Cafiero notizie interessantissime (2).
Un ringraziamento collettivo dobbiamo e possiamo fin d’ora rivolgere al Touring Club Italiano, alla sua Direzione centrale, ai suoi Consoli, Soci, Medici nelle provincie di Caserta e Campobasso.
Il Cav. Luigi Vittorio Bertarelli, Capo della sezione strade, l’autore delle mirabili guide di tanta parte d’Italia, partecipe del nostro proposito, diede al dott. Cafiero commendatizie numerose quanto efficaci presso i membri del patriottico Sodalizio, il quale anche questa volta ha dimostrato com’esso sappia collegare ed avvivare in un fascio salutare le energie fisiche e morali della giovane Italia.
(1) Parole di Luigi Luzzatti, relatore per la legge sull’emigrazione, alla Camera dei Deputati (Tornata 29 novembre 1900). L’eminente economista e pensatore, antesignano ed apostolo infaticato della redenzione economica, del civile progresso, della fratellanza nazionale, ha avuto col marchese Visconti-Venosta, col senatore Lampertico e col deputato Pantano parte precipua nella preparazione ed approvazione della laboriosa Legge sull’emigrazione, che gli amici dell’Opera di assistenza si onorano di aver invocata e sollecitata essi pure con ogni possa da molto tempo.
(2) Anche ìl Prof, Corsi della R. Università di Pisa e il Prof. Roberto Puccini che valendosi dei rapporti del Dott, Marco-Quagliozzi, parroco di Roccasecca e di altri degni osservatori locali, scrissero importanti studi su la prima monografia del Paulucci.
INCHIESTA
NEI CIRCONDARI DI SORA E DI ISERNIA
del Dr. UGO CAFIERO
Il grido di dolore lanciato dal Regio Console Scelsi ha avuto una profonda eco in quanti Italiani hanno letto il rapporto (1) pubblicato dal Ministero degli Esteri sulla compravendita dei piccoli Italiani, che vanno a diventare tubercolotici nelle vetrerie francesi.
E un nuovo e confortante segno della nostra fratellanza nazionale ci è venuto dal forte Piemonte, nel quale si sentono più vivi i dolori e più urgenti i bisogni che premono le altre parti d’Italia. La sezione piemontese dell’Opera di assistenza degli operai italiani emigrati in Europa e nel Levante, così benemerita dell’emigrazione italiana dovunque questa si volge per la sua opera moralmente e socialmente risanatrice, ha sentito il bisogno di fare a sue spese un’inchiesta nei circondarii di Sora e d’Isernia, per additare, se fosse possibile, nei particolari dell’ambiente che produce il tristo fenomeno, i mezzi di farlo cessare (2).
A me è toccata la singolare ventura di esserne incaricato, perché si ritiene a ragione che un meridionale desti minori diffidenze in un’opera indagatrice di miserie meridionali. Ma i miei compaesani non si meraviglieranno quando sapranno, che sebbene io non potessi negarmi a un così nobile invito, pure accolsi l’idea col nostro solito scetticismo. Non mi pareva sufficiente un’opera di propaganda verso i genitori per fare che aborrissero una tale vendita dei propri figli; e, dopo l’interrogazione del deputato Teofilo Rossi, dalla risposta dell’on. Ronchetti Sottosegretario di Stato agl’Interni scaturiva evidente che il Governo, il quale pure da parecchio tempo per mezzo dei suoi funzionarii era informato dei modi onde la turpe incetta si fa ed aveva agito per diminuirla e punire i colpevoli, ha la dolorosa convinzione che a questo male non può portare radicale rimedio, essendonele radici nelle famiglie inumane che trovano mille mezzi subdoli per guadagnarvi poche lire all’anno. Eppure le mie abitudini intellettuali di studioso di questioni sociali mi fecero intraprendere il viaggio col maggiore ardore. Mi parve che raramente, come in questo caso, allo studioso delle teorie si presentasse l’opportunità di adoperare i metodi induttivi, così fecondi nelle scienze sperimentali, per dimostrare che, anche in questo campo, lo studio scientifico può fornire Alla politica quello che essa da sé non trova. E dopo la inchiesta oramai posso affermare che tutti i miei due preconcetti, quello dell’inutilità della propaganda e quello dell’impotenza del Governo, erano sbagliati.
E son sicuro che dopo aver letto quest’esposizione, che mi studierò di rendere più breve che sia possibile, tutti gli uomini d’ingegno e di cuore mi daranno ragione.
(1) V. Appendice I.
(2) Il circondario di Sora è uno dei più importanti della provincia di Caserta; quello d’Isernia geograficamente appartiene pure all’antica Campania, ma nel 1860 le fu tolto e fu annesso alla provincia di Campobasso. Ma molto duole a questo circondario l’annessione, specialmente nell’attuale crisi agricola, anzi ne è un fattore principale, perché l’aliquota della sovrimposta della provincia di Campobasso é molto superiore a quella di Caserta. A metà quasi della linea ferroviaria Roma-Napoli, a Roccasecca, parte la linea ferroviaria Roccasecca-Balsorano, che unisce il circondario di Sora all’arteria ferroviaria principale; due stazioni dopo, a Caianello la linea Caianello-Isernia, che unisce il circondario di Isernia da una parte con la linea Napoli-Roma e, dall’altra, per Sulmona, con gli Abruzzi.
L’EMIGRAZIONE NORMALE.
Appena si scende alle stazioni ferroviarie di questi due circondari, immancabilmente un fenomeno vi colpisce. Frotte di contadini di ogni sesso ed età, ammucchiati con sacchi di effetti di uso, aspettano il treno, che li porti lontano dall’Italia. Sono tutti uomini corpulenti e robusti, donne belle, con graziose acconciature di panni alla testa, rosei bambini, vecchi arzilli. La popolazione di queste contrade è tutta bella e forte, è forse la più bella d’Italia. Ed è anche buona. Si usano tra loro le cortesie più ingenue, nel dividersi il pane e qualche companatico, che portano con loro come provvista di molti giorni; prima le parti ai bambini, poi ai vecchi, poi alle mogli, ultimi i padri di famiglia.
In molti paesi dei due circondarii mi hanno assicurato che non c’è caso che un genitore percuota i figli per correzione: non c’è caso, che qualcuno emigrato senza la famiglia se ne dimentichi, che non mandi a pagare i debiti, se ne ha lasciati. Però nell’attesa spesse volte lunga dei treni-omnibus, hanno tutti un’aria preoccupata, triste, amara. A me che per l’abitudine e per lo scopo speciale della mia missione, mi soffermavo a guardarli, a interrogarli, la risposta era sempre loquace, ma velata di rabbia, o contro i padroni delle terre, o contro la terra stessa. — Non è pii possibile tirare avanti. La terra non dà più niente. Se c’è, piglia tutto il padrone; non ci resta come sfamarci. Trovino ora le braccia. Se la lavorino loro, ora, la terra! — Perlopiù, hanno venduto tutte le masserizie, sino all’ultima, o qualche pezzo di terra che possedevano, o hanno avuto il denaro pel viaggio da parenti già emigrati. Si separano da questa terra con l’amarezza di chi si divide da una persona amata, che non meriti più oltre di viverci insieme, e per la convinzione di andare a trovar la ricchezza, visti i denari che dagli emigrati si mandano in ogni paese di queste contrade.
E veramente la Campania non è più per niente felice. La malattia della vite è così generale, incessante, cronica, che un Parroco di Sora, sacerdote operoso e caritatevole, mi diceva, che i contadini si sono svogliati perfino di dare lo zolfo alle viti. Il Parroco era stato incaricato da un proprietario, che vive a Napoli, di consegnare al contadino il solfato e sorvegliare la solforazione. Ed il contadino con forte convinzione e con la più grave aria di serietà rispondeva al Parroco: «Ma lasciamo stare. Vedrete che è inutile. Sarà tanto di risparmiato». Difatti nel contado di Venafro, i proprietari mi hanno detto a coro, che il poco vino che bevono, prodotto delle loro terre, costa ad essi carissimo. In questo contado non si può esercitare l’industria lattifera, perché vi è un po’ di malaria. Il grano viene in quantità sempre minore perché esiste ancora il metodo adamitico dell’avvicendamento. La malattia dell’ulivo, ch’era la superstite ricchezza di queste contrade, ha ridotto le risorse a zero. Intere popolazioni vivevano dei magnifici oliveti che coprono tutta la pianura e le falde delle montagne tra un paese e l’altro. La raccolta durava circa sei mesi e negli anni ch’era abbondante, sino a otto mesi. Ogni persona trovava lavoro alla raccolta e persino le vecchierelle raccogliendo per le strade le ulive sperdute ne adunavano tante da ricavarne due staia d’olio, il condimento per tutto l’anno. In questi ultimi anni, nemmeno una uliva si è raccolta! E si, che queste popolazioni sono sobrie; mangiano tutti i giorni pane di granturco e minestra di erbe che colgono per le montagne; solamente la domenica, se possono, maccheroni. Come questa gente, ripeto, è tutta bella e forte, il fatto che fa traboccare la misura e che in sé stesso sarebbe una vera ricchezza, mentre qui è invece il massimo fattore di miseria, si è li enorme prolificità. La popolazione, come risulta dal recente censimento, sebbene siano emigrati buona parte degli uomini validi e siano restati solo vecchi, bambini e parte delle donne, aumenta di continuo enormemente -naturale conseguenza della depressione economica. La differenza tra i nati e i morti di un piccolo paese sulla montagna Atina, a tre ore da Cassino, è di 80 all’anno. Si vedono tutte le madri, ancora giovani, ancora fiorenti, con sette o otto ragazzi intorno. La caratteristica, che aumenta la pena di chi li considera, è che questi ragazzi sono quasi tutti bei fiori umani.
In questo stato di cose, nessuno si meraviglia del fenomeno dell’emigrazione. Già l’ardire di emigrare è antico, è tradizionale in queste contrade. I più poveri, la più bassa gente, parla di andare in Inghilterra e tornare, come si parla altrove del fare un viaggio partendo la mattina e ritornando la sera. Solo qui, si trova frequentemente per le campagne un carrettone, come un omnibus, nel quale, tirato spesso solamente da un asinello, questa gente ripone tutte le masserizie, la famiglia, dei rustici strumenti musicali, e vanno a fare il mestiere di sonatori per la Francia, pel Belgio, nell’Inghilterra, nella Scozia (1). In questi ultimi paesi specialmente, sono soliti di unire a questo mestiere quello del sorbettiere e pasticciere. E così vivono discretamente, guadagnano parecchio, e sono felici spesso di ritornare con alcune migliaia di lire, nei luoghi dove sospirarono il centesimo, alla casetta, al pezzetto di terra donde furono espulsi, per ricomprarlo.
A questo proposito, Filippo Ranaldi barbiere scrive il 20 marzo al Pretore Maietti, che lo aveva interessato ad informarlo delle condizioni dell’emigrazione italiana in Inghilterra: «ho vergogna di essere italiano, perché i miei connazionali sono il disprezzo del popolino inglese, perfino nel giornale di caricature. Sono dei contadini, che vengono a fare i venditori di sorbetti, di castagne, di patate con una stufa su una carrettella, musicanti, ammaestratori di scimie cui fanno tirare le sorti, ragazzi mendicanti, giovinette che le intere giornate sino a tarda ora sedute a terra, con una gabbia di uccelli infissa sopra un palo, aspettano chi vada a farsi tirar la sorte. Esauste, si trovano spesso piangenti».
Della sorte di questi girovaghi molto commovente dipintura è quella del Dottor Cimmino, residente a Parigi, nella sua deposizione al processo Vozza (2): «stringe il cuore anche ai francesi vedere dopo la mezzanotte nei mesi di dicembre e gennaio a Parigi molti fanciulli italiani offrire in vendita le statuette, che loro assegnano i padroni, con la minaccia di non rientrare a casa se non portino una data quantità di soldi. I fanciulli tremanti del freddo, singhiozzano ai passanti: «datemi di che rientrare, il padrone mi batterà».
In questi ultimi anni per evitare le spese e le lungaggini del passaporto per l’estero, gli emigranti si fornivano spesso di quello per l’interno e con esso, attraverso i valichi alpini, passavano all’estero. Cosi ad esempio, in Arpino dove è visibile ancora il culto delle antiche glorie cittadine di Cicerone e Caio Mario, e sono tracce dell’antica ricchezza dell’industria dei tessuti di lana, tutte le grandi fabbriche sono chiuse e domina galoppante una miseria estrema. Nel 1898, i passaporti per l’interno furono 91, nel 1899 furono 129, nel 1900, 244. A Cassino; nel 1896, 46; nel 1897, 218; nel 1898, 363; oltre 480 per l’estero dal 1894 al 1898. Quelli per l’estero servivano per le Americhe, quelli per l’interno d’Italia, invece, per l’Europa.
A Sora, i passaporti per l’interno, dal febbraio 1900 all’aprile 1901, n. 260; a Casalvieri, circa 200 ogni anno; sicché di 6 mila abitanti sono rimasti 4 mila. In qualche paese, come Capriati al Volturno, lo spopolamento è al punto, che manca chi lavori alla campagna. Sono ordinariamente o contadini o braccianti, che emigrano per le Americhe, di emigrazione permanente, o per l’Europa; e questi ultimi ora, sono, oltre che sonatori, sorbettieri, cenciaiuoli, anche contadini e braccianti, di emigrazione temporanea, che sono considerati in paese, come una vera manna, quando ritornano, dopo pochi mesi, con un gruzzoletto d’oro. Quando lo hanno finito, ripartono, per poi ritornare ancora. La nuova legge sull’emigrazione, in quanto riguarda la concessione dei passaporti, per le sue facilitazioni, è considerata dai proprietari, unanimemente, come un incentivo all’emigrazione. Per essa, i contadini hanno capito di aver diritto ad ottenere i passaporti gratis in 24 ore. La Sottoprefettura di Sora in un mese, dacché è andata in vigore la nuova legge, ha dovuto rilasciare 1319 passaporti per l’estero. Il nulla osta richiesto al Sindaco non è una garanzia sufficiente, che l’emigrante non ottenga il passaporto contro la legge. Il Sindaco ordinariamente fa tanto bene quanto son capaci di fargliene fare gli impiegati del Comune. Se questi non obbediscono a ragioni d’interesse personale, o il Sindaco a interessi elettorali, sono spesso la trascuraggine e l’opinione delle Autorità, che l’emigrante lontano sia un fastidio e un bisogno di meno nel Comune, ad ispirare l’indagine che fa il Municipio prima di rilasciare il nulla osta.
Il Sottoprefetto prima di rilasciare il passaporto suole domandare il parere dell’Arma dei Carabinieri.
(1) Veggasi il completo studio che è nell’interessante volume del marchese Paulucci de’ Calboli su Girovaghi Italiani in Inghilterra e i suonatori ambulanti. Lapi, Città di Castello, 1893. — V. anche per analogia la brillante difesa che il Paulucci ha fatta dei piccoli stucchinai toscani nella Revue des Revues (Luglio 1900) — Les staluaires du peuple.
(2) Svoltosi al ‘Tribunale di Cassino. Nelle pagine seguenti ne diamo un riassunto.
Ma questa, per quanto brava e coscienziosa, non può, come un’onniveggente, sopperire ai difetti di tutte le altre ruote. Molti graduati dell’Arma mi hanno confessato che questa controprova del nulla osta che essi dovrebbero fare, difficilmente la possono eseguire con coscienza, perché dovrebbero attingere le prove nell’ambiente stesso del Sindaco che lo ha concesso.
Le rimesse di denaro che in ciascuno di questi paesi vengono per lo più a mezzo della posta da parte degli emigrati, sono un vero rinsanguamento dell’economia della regione, sono da tutte le classi considerate come l’unico benedetto argine alla disperazione.
Dal Sindaco di Sora a quelli di Venafro, di San Donato e di Fontana Liri, tutti bravi amministratori, ai principali cittadini, come il dottor Cardelli di Settefrati, come il signor Bartolomucci di Picinisco, come il dottor Gentile di Atina, agli egregi segretarii di Isola del Liri, di Roccasecca, di Pozzilli, di Venafro, tutti energicamente affermano, che l’emigrazione sia una sorgente di ricchezza. E difatti in tutti gli uffici postali, sono molte le migliaia di lire che si pagano alle povere famiglie rimaste. L’ufficio postale di Atina riceve ogni anno di rimesse dagli emigrati molte diecine di migliaia di lire.
Ed Atina è un paese privilegiato dalla fortuna, perchè la benemerita e valorosa famiglia Visocchi, utilizzando le forze idrauliche del Melfa (1), dà nelle cartiere a vivere a tre o quattrocento operai, ed ora si prepara ad unire Atina a Cassino con un tram elettrico che darà vita a parecchi di quei paesi. Perciò Atina è meno povera degli altri paesi, che non hanno traccia di industria. Ond’è che Isola del Liri sembra un’oasi in mezzo ad un deserto. Quasi tutti i suoi abitanti lavorano nelle cartiere. Vi è in tutto il paese un’aria di moralità, di compostezza, di allegria, di bontà che rinfrancano.
Sicché di fronte a questa emigrazione, che è una vera funzione di necessità economica, se io temo di sembrare utopistico, ricordando quanto bene potrebbero fare istituti numerosi di credito e di previdenza agraria, credo di non essere utopistico affermando, che se i capitali improduttivi e i capitalisti non intralciati dal Governo, utilizzassero tutte le forze idrauliche, che vi sono, farebbero di questa regione tristissima tutta una grande Isola del Liri. Gli operai sono di una contentabilità, di una bontà, che si può dire dabbenaggine. Fontana Liri, un paesello misero su la cima di un colle, fornisce al Polverificio governativo, che è poco distante nella vallata, gli operai delle più micidiali e pericolose combinazioni chimiche, a una lira e una e cinquanta al giorno.
Aveva ragione di sorprendersi il Colonnello di artiglieria che da Terni veniva a dirigere il Polverificio, perché gli operai di Fontana avessero la metà della giornata di quelli di Terni.
A Fontana un operaio del Polverificio accudisce a un recipiente dove si forma un liquido terribile e deve tenere nelle mani due manubrii e guardare il termometro ch’esce dal recipiente. Quando questo termometro segna un dato numero, l’operaio deve muovere i due manubrii e far precipitare giù il liquido. Se non fosse sollecito a farlo precipitar giù, sarebbe finita per lui. Quest’uomo ha due lire al giorno. Pochi giorni or sono, un sorvegliante pretese per forza da un operaio, che alzasse un grosso peso, ad onta di tutte le proteste dell’operaio, che il peso era eccessivo, e che vi erano tanti compagni che potevano aiutarlo. Il sorvegliante s’impose e l’operaio, per timore di essere espulso, eseguì. Gli venne subito un guasto all’inguine, per cui dovette cercare un riparo! Ma non volle sentire di muovere lite al sorvegliante, sempre pel timore di essere espulso.
(1) Crediamo opportuno ricordar qui l’opera popolare e troppo poco apprezzata «Pro Sylvis, elementi di economia naturale fondati sul rimboschimento » del rimpianto Prof, Senatore 4. Cantani (Unione Tip.-Edidrice, 1893). Attuando sul serio, cioè colla voluta costanza, i suggerimenti dell’eminente scienziato e patriota, sì ridonerebbe per le prossime generazioni l’antica feracità e felicità a molte plaghe oggi desolate dell’Italia meridionale ed insulare,
(Nota del Comitato)
L’EMIGRAZIONE PATOLOGICA.
L’emigrazione, così larga e così utile, non è dunque un correttivo sufficiente della miseria e dell’ignoranza di queste popolazioni.
E sebbene io non presuma, nelle cose dette, di aver scoperto alcunché di nuovo, ho creduto di doverle ricordare, perché mi pare che spieghino il prodursi del fenomeno patologico, che è la tratta dei minorenni, che sì distingue nettamente dall’emigrazione normale.
Mentre lontano da queste regioni si pensa, ed io stesso vi sono andato con la prevenzione che nelle classi dirigenti, sacerdoti e laici, vi sia una insensibilità morale pel fatto, una specie di cointeressenza e di complicità, io ho il dovere di dichiarare ad onor loro, che unanimemente lo hanno deplorato con me, anche quei miserabili impiegati che dal fatto stesso hanno cavato qualche guadagno; unanimemente hanno convenuto, che questa forma dell’emigrazione non è in nessun modo un sollievo dei miseri genitori, e hanno riconosciuto che questa vergogna dovrebbe ad ogni costo cessare.
Dell’indignazione, che i Parroci e i cittadini di Arpino sentivano, si è nobilmente fatto eco il locale giornale Il Rostro di Caio Mario, che dopo aver descritto il male, non conoscendo l’attuale legge sull’emigrazione, così termina:
«Chiudiamo con una domanda a noi stessi: La libertà dell’uomo è inalienabile, i fanciulli non possono disporre di sé e sono perciò sottoposti alla patria potestà o ad un tutore; allorché questi li cedono ad uno speculatore, non fanno una vera alienazione di libertà? e non dovrebbero risponderne? Il nostro Governo, che si occupa di queste cose e sappiamo che in Francia esercita la sua vigilanza sui poveri fanciulli italiani, non potrebbe come remora al brutto mercato, chiamare gl’inumani genitori a rendere conto dei loro nati? ».
Il Giudice Maietti così energicamente delinea il fenomeno: «Pretore per circa 12 anni in Provincia di Caserta, ove la tratta è fiorentissima, posso ben certificare che l’avidità del denaro è causa principale di tanta ignominia. Gl’incettatori in pochi anni ammassano molti quattrini. Quel Testa (di cui in mia sentenza del 5 maggio 1897 — V. Il Giudice Conciliatore) in poco tempo, raccogliendo giovanetti in Colle S. Magno e Caprile di Roccasecca, per la questua in Inghilterra, raggruzzolò oltre quindicimila lire. L’esempio è estremamente contagioso. Contadini ed operai agiati lasciavano tutto per dedicarsi alla tratta. Onde una con concorrenza feroce in patria e in Francia».
«Altri vi si piegavano per necessità. Partiti per le vetrerie, non vi erano ammessi senza fanciulli; e o ne compravano di seconda mano in Francia dai grossi fornitori, ovvero ritornavano in Italia ad incettarne. Ricordo un Pasquale della Valle, fabbro, buon uomo, che mi scongiurava con le lagrime agli occhi di lasciarlo partire con un carico; mi opposi. Parti solo, ma la merce, sempre italiana, la comprò a Parigi. Seppi che li trattava bene, i fanciulli».
«Questo lavoro dei fanciulli italiani è un affare eccellente per gl’intraprenditori francesi. Alcuni di loro interdicono l’ammissione in fabbrica ad uomini adulti senza almeno due ragazzi. Altri soppressero addirittura gl’intermediari e mandano agenti proprii a reclutare la merce ».
Lusingati dai negrieri — sono sempre dei compaesani che dimorano in Francia e vengono per poco tempo,a rifornirsi di carne umana — si videro promessa una vita di agi, di ricchezze, davanti a cui in contrapposto delle miserie locali, s’inebbriano gl’ingenui fanciulli. In modo che, quando non sono i genitori, che cedono per le promesse cinquanta lire a semestre, sono i ragazzi, che con pianti e preghiere e moine persuadono le tenere madri a mandarli.
Consegnati al negriero, comincia il Calvario. Quando il negriero riesce a non sborsar denaro per vestirli prima di partire, con la promessa di farlo nella prossima città, li porta nella notte, spesso sopra un carro, al freddo, sino a Napoli o sino al treno. Straziante mi parve specialmente il racconto di uno di loro di Fontana Liri.
— Io ero scalzo; prima disse (il negriero), che mi avrebbe comprato le scarpe a Cassino; arrivati qui, disse che le avrei avute a Napoli; arrivati a Napoli sulla carretta, eravamo 24, c’imbarcò per Lione, senza scarpe; lì mi mandò alla fabbrica con le scarpe di legno e così rimasi. Spesso sui piedi nudi cadevano pezzi di vetro bollente, o sul petto o in faccia. —
Un altro di quegli infelici mi diceva; — la sete era tale e tanta, nella vetreria, che bevevamo due bottiglie d’acqua ognuno di noi ogni ora e la sete non finiva mai!
Da ogni ragazzo che il negriero manda alla vetriera ricava 30 o 40 soldi al giorno e sempre più, a misura che vi restano più tempo e imparano il mestiere. Quando pure mandino ogni sei mesi le 50 lire ai genitori — ordinariamente convenute per tre anni — tutta la loro spesa si riduce a fornire un posto per un giaciglio comune dei ragazzi, pane la mattina, e minestra molto liquida la sera, da cui il negriero ha tolto la parte solida per sé.
Certo Antonio Fraioli ha molti ragazzi piccoli, dorme sul pane per non lasciarlo prendere ai ragazzi, lo compra ogni dieci giorni e ne distribuisce un pezzo al giorno; cambia le lenzuola ogni due mesi. Il Sindaco di Fontana Liri mostrò una lettera di un ragazzo che stava con l’incettatore Francesco Frezza; la lettera diceva: «Il Frezza tratta bene due di noi perchè sono grandi, noi siamo piccoli, non possiamo parlare perché ci bastona. Da quando partimmo da Lione, ci stiamo morendo di fame.
Scrivete al Console che il Frezza ci ha cambiato di nome, non abbiamo a chi ricorrere perché siamo piccoli. Lavoriamo la notte e il giorno dobbiamo andare al bosco a rubare la legna, le pulci ci mangiano». intendevano col fattorino postale e con i gendarmi francesi che venivano a guardare la fabbrica».
Un altro reduce mi diceva: il Vozza e il Carlesimo nostri padroni se la intendevano col fattorino postale e con i gendarmi francesi che venivano a guardare la fabbrica».
Angelo Marsella e la moglie tenevano parecchi di questi ragazzi nella loro pensione. Uno, Zeppa Emilio, il 22 novembre 1898 scriveva al padre: «ignudi e stracciati ci vergogniamo di uscire la domenica; la sera Angelo Marsella non ci dà che mazzate. Siamo in mezzo al fuoco, ammalati e pezzenti, se non andiamo un giorno a lavorare, mazzate». Col Marsella vi erano anche i ragazzi fratelli Proia, Paolo e Angelo. Al Pretore Maietti, quando istruiva il processo, Angelo riferì: «mio fratello Paolo la notte per la debolezza orinava nel letto. Marsella e la moglie schifavano mio fratello e lasciavano il letto tale e quale puzzolente, e mio fratello la notte era costretto a ricoricarsi in quel letto, che era in un pianterreno umido ». Lo stesso Paolo, venuto in Arce, al Pretore narrava: «io ero costretto a lavorare 12 ore di continuo davanti alla fornace; non avevo altra camicia da cambiare quando ero sudato. Il sudore asciugato mi produsse dei dolori alla schiena. Un giorno caddi svenuto. Quando rinvenni, il caporale mi obbligò a riprendere il lavoro. Svenni di nuovo e mi portarono all’ospedale». Il medico francese lo definì uno stato di marasma gravissimo. Dopo cinque mesi uscito dall’ospedale di Francia, il medico di Arce lo dichiarò inguaribile! Per costui invece prima che cadesse sulla breccia, il Marsella scriveva al padre ottime notizie. I Marsella, padre e figlio, incettatori fanno perfino intervenire i minorenni nei contratti ad obbligarsi a non lasciarli mai; altrimenti sono stipulati danni e interessi!
Ma il processo Vozza, che riassumo, è il più terrificante: l’eco sinistra dal Tribunale di Cassino si è sparsa dovunque intorno.
Donato Vozza giunse nel 1896 a S.Denis con 13 fanciulli di proprietà sua e di un tal Carlesimo, e li impiegò nella vetreria Legras. Di accordo col proprietario della fabbrica li accompagnava ogni giorno, si sentissero o no in forze, e li sorvegliava, durante la giornata di lavoro nella fabbrica stessa. Intascava più di mille lire al mese. La stanza dove i ragazzi dormivano era in un pianterreno non scantinato, umidissima, la cui porta dava in un corridoio nero, senza altra apertura da cui venisse la luce tranne un foro nel soffitto. Quando in seguito all’inchiesta delle autorità francesi il Vozza coi piccoli fu stanato di là, la portinaia raccontò che in un anno non aveva mai visto entrare in quella casa né carne né pane; si compravano sole croste di pane. I ragazzi affamati erano mandati nei giorni di mercato a raccogliere tutta la roba che si gittava nella fogna del mercato, e mangiavano tutti i residui di commestibili che trovavano, torsoli etc., per le vie, nei rigagnoli. La mattina dai padroni avevano croste di pane e a mezzogiorno minestra (come disse il Polese) schifosa di erbe cotte. E quando i ragazzi si riposavano un poco, Vozza e Carlesimo li maltrattavano ferocemente insieme con gli ouvriers che li insultavano sputando loro in faccia, e torturandoli con le canne roventi.
Giuseppe Polese, una delle vittime del Vozza, depose: «eravamo non ricordo quanti, a Napoli non ci volevano far partire. Vozza e Carlesimo fecero certi imbrogli, lo stesso fecero in Francia, perché li esigono l’età. Da Parigi alla Plaine de S. Denis, andammo a piedi. Nella vetreria Legras io fui collocato in un fosso dove l’operaio soffiava il vetro rovente; era troppo faticoso, riuscii ad abbandonarlo, ma fui messo ad altro lavoro faticosissimo, a soffiare la pasta rovente, ma ero obbligato con palettate dagli operai francesi. Ferito alla testa, scottato in parecchie parti, fui adibito al trasporto (1): 1400 viaggi al giorno, per un 400 metri, ma anche li, sempre percosse. Il mio salario era di L. 50 al mese, ma lo riscuoteva il Vozza che sapeva il francese e mi dava mezza lira la domenica, pane duro la mattina, minestra di cavoli la sera. Quando ci coricavamo sulla paglia, ci facevano levare la camicia per non farla consumare. Una mattina il compagno Francesco Fraioli non voleva andare a lavorare, perché non si fidava, fu obbligato dal Carlesimo ad andare. All’officina si accorsero che stava male e a mezzanotte un commesso della fabbrica lo riportò moribondo.
Portato all’Ospedale morì lo stesso giorno (questa circostanza è confermata anche dalla deposizione del Rev. Mancone). Noi compagni lo accompagnammo al cimitero e gli portammo dei fiori. La cassa e il trasporto lo pagammo noi compagni. Poco dopo anche l’altro Fraioli, Felice, non si fidava di lavorare, ma Vozza veniva all’officina e l’obbligava a lavorare e due ouvriers con le canne roventi lo torturavano mentre seduto in un fosso teneva fra le gambe la forma in cui si soffiava la pasta rovente ed egli doveva aprirla e chiuderla ». .
Il 5 aprile il Vozza faceva scrivere al padre dal ragazzo Paolo Fraioli: «Mio fratello Felice sta male e il padrone l’ha portato all’ospedale per farlo guarire (!), ma con molto dispiacere vi annunzio che è una malattia di polmonea. Se avete altre notizie non le leggete, io lo vado a trovare il giovedì e la domenica». Il Vozza soggiunse nella stessa lettera: «vi do questa notizia che il vostro figlio sta male e il medico ha obbligato di portarlo all’ospedale. Non vi credete che non vi sono andato a trovarlo, perché l’ho voluto più bene di voi (!) e se guarisce ve lo rimando. Non leggete altre notizie. Non credete che io sono trascurato. Io sono andato a chiamare tre volte il medico, che me lo ha assicurato tanto bene». (!)
Il 14 maggio il Vozza assume il nome di Paolo Fraioli e scrive al padre: «Vi fo sapere, che mio fratello Felice è passato all’altra vita, ma non vi pigliate pena, perché gli hanno fatto tutto quello che serviva. Era una malattia fulminante chiamata polmonea. Voi, non credete a quanto dicono, ha avuto tutta l’assistenza, ma invano perché così è piaciuto al Signore. Mi avete mandato a dire che volete venire qua, ma vi dico che ai confini della Francia non vi fanno passare». (!) E il giorno appresso a nome proprio scriveva al padre: «vi vengo a dare tristi notizie: che fossero queste le ultime. Il vostro figlio Felice è partito per l’altra vita. Non è stata colpa di nessuno. Cominciò una febbre, una specie di tisi, poi è finita in polmonea. Non pensate che il vostro figlio fu abbandonato, perché fu assistito molto bene. Il medico l’ho fatto venire tre volte. Alla terza volta mi ha forzato (!) di mandarlo all’ospedale ed io col vostro figlio Paolo lo abbiamo accompagnato in carrozza. (!)
Informatevi bene da qualunque persona era presente. Non vi scoraggiate che anche io perdetti una sorella che aveva 4 anni. Ci vuole pazienza perché tutti dobbiamo morire».
Poscritto del figlio Domenico Vozza: «faccio un regalo io di lire dieci al padre del Fraioli». (!)
Prima della morte del fanciullo Capuano, la quale fu il lampo più sinistro del terribile quadro con cui il Paulucci de’ Calboli (1) per primo apri gli occhi al mondo civile su questo argomento, il Vozza scriveva al padre del Capuano, che trovavasi nell’ospedale: «l’ho dato ad una monaca che lo tratta a casa sua meglio di un signore. Tiene la trippa (la pancia) grande. Il medico dice, che la malattia la tiene da quando era piccolo. Ma non credete che sia malato» (sic !). Il Reverendo Mancone Barnabita, che fu in Francia l’angelo consolatore di questi miserelli, nella sua deposizione disse che il povero piccolo Capuano mentre era moribondo mostrava con gioia una moneta di dieci soldi che gli avevano regalata nell’ospedale, dicendo che non ne aveva mai avuta alcuna, e presente anche il Paulucci di Calboli il ragazzo disse che sempre che chiedeva da mangiare, il Vozza lo percuoteva. Benedetto Scappaticci, affetto da tubercolosi, si rifiutava di lavorare; il Vozza lo accompagnava alla vetreria a colpi di cinghia, lasciandogli sulle carni le impronte, che poi furono misurate e trovate eguali alla cinghia; alla vetreria il ragazzo riceveva calci nell’addome dagli operai francesi, e tali maltrattamenti che ne impazzì.
(1) Veggasi nelle appendici il rapporto Scelsi, pag. 18.
Il Vozza si rifiutò di pagargli il rimpatrio, ciò che il Console esigeva, rimproverandolo di avere portato dall’Italia il ragazzo florido di salute; il Vozza lo trattenne, contando di poter presto rimetterlo alla vetreria e risparmiar la spesa del rimpatrio; aggravatosi il ragazzo, l’Ambasciatore ingiunse al Vozza di rimpatriarlo, ma questi si squagliò. Una monaca della Villette, visto il fanciullo aggravatissimo, ne parlò con la pia signora che soccorreva molte di queste sventure, Maria Sofia ex-Regina di Napoli. Questa si recò alla Plaine de S. Denis, visto il ragazzo nel sozzo tugurio, lo ritirò e quindi a sue spese lo fece rimpatriare. Intanto il Vozza scriveva al padre del ragazzo: «voglio sapere se è arrivato, se ha fatto un felice viaggio; e per mio regalo gli do cinque lire (!); io sono andato al Console per farlo rimpatriare, non sono andato alla stazione perché non sapevo l’ora della partenza». Il disgraziato ragazzo invece era nel manicomio di Genova. Il Vozza se ne venne in Italia a far nuova incetta di 20 ragazzi, ma sull’avviso dell’Ambasciata italiana fu arrestato; poco dopo in Francia erano arrestati suo figlio Domenico e sua moglie.
Appena il Vozza Donato fu arrestato in Italia, giungeva al Sindaco di Roccasecca questa lettera firmata da uno dei suoi ragazzi lavoranti in Francia, Luigi Giorgi: «Parigi 21 maggio 1898, Caro signor Sindaco ed Autorità di Roccasecca: non fate pratiche per farmi venire perché io sto bene e i nemici vogliono male a Donato Vozza. Se lo avete fatto arrestare, cacciatelo (liberatelo) e regalategli qualche cosa». La lettera era falsa perché il Giorgi nel pubblico dibattimento l’11 ottobre rinfacciava il Vozza di feroci maltrattamenti e che gliel’avevano fatta scrivere con minacce. Il ragazzo Polese aggiungeva: «Quando il figlio di Vozza seppe carcerato in Italia il padre, ci menava in luoghi solitari e ci percuoteva. Non potevamo scrivere a Roccasecca, perché c’impediva. Io mi feci proteggere da alcuni francesi, che mi aprirono la strada al Console, un monaco (il bravo Mancone) perorava la nostra causa e ci fece aiutare da una Regina (Maria Sofia). Io, Federico Marinelli ed altri fummo ricevuti da questa Regina in casa sua e trattati da gran signori, così scampai la morte perché ebbi anche io la polmonite ».
Per avere una precisa idea di qual tempra siano fatti gli animi di quest’incettatori, basta leggere la lettera del Vozza Donato, che sapeva quanti infanticidi aveva commessi, e scriveva dal carcere al Giudice istruttore:
«Su semplici anonime (l’arma dei vigliacchi, gelosi, perché non ho voluto pagare loro un migliaio di lire) di aver io trasportato in Francia minorenni e cagionato forse la morte di Antonio Capuano di Felice Fraioli, mi si arresta e si priva della libertà degli onesti cittadini, che lavorando si procurano l’agiatezza(!). Esclamo con Orazio: Nihil conscire sibi, nulla pallescere culpa! (lett. Non avere nulla da rimproverarsi, non dovere impallidire al ricordo di qualche colpa)».
Dopo avere impugnato e discusso alcune deposizioni, conchiude: «Se per l’art.1 del Codice Penale non è imputabile alcun fatto che non sia espressamente preveduto dalla legge; se non mi si possono applicare gli art.4, 5, 371, 372 perché nessun delitto ho commesso all’estero, debbo respingere con tutte le mie forze l’applicazione degli art. 390, 391, 416 Codice Penale. Non commisi abusi di mezzi di correzione. Il Capuano morì di tumore splenico (milza), il Fraioli di ileotifo e polmonite. Valgano i certificati medici e le testimonianze dei compagni. Se non potettero nulla i farmaci del primo ospedale di Parigi, cosa potevo io contro il Dittator della vita? Non commisi truffa, perché feci il contratto coi genitori avanti il Sindaco di Roccasecca. Perciò chiedo alla giustizia un’ordinanza di non farsi luogo e la libertà provvisoria! »
Egli ha avuto una condanna di 6 mesi, che ha scontata, una multa di seimila lire che non
ha pagata; in questi mesi ha fatto un’altra incetta e, dopo sporto appello, è ripartito per la
Francia!
Vero è che prima ancora del rapporto Scelsi, i tristi effetti della tratta erano riapparsi dalla Francia. Di quei ragazzi, che vanno, rimangono nelle vetrerie parigine quelli che hanno eccezionale costituzione. Gli altri, quelli che sopravvivono e ritornano, sono oggetto ella commiserazione di tutti e si distinguono per il viso pallido, per la magrezza, per l’andatura lenta e stanca.
(1) V. Marchese Paulucci de’ Calboli: La traite des petits Italiens en France (1897) — Encore la traite etc. 1898) — Paris, Typographie Davy.
Solo le classi colte e i medici sanno che sono diventati tutti tubercolotici; il popolino se li riprende con rassegnazione e non pensa qual male quelli portano, terribile per loro e per gli altri. In tutti questi paesi ve ne sono di tali reduci. Ritornano malati e, spesso rimpatriati dai Consoli, si pongono a letto per non più rialzarsi. Quelli, che sopravvivono per restare fino alla morte bollati dall’ospite tubercolosi, bisogna sentirli raccontare le sofferenze, per sentirsi dentro impietrire. Per quanto tempo passi dopo il loro ritorno dalle vetrerie, non riacquistano mai più il colore roseo dei compagni che non vi sono stati; sembrano rami recisi da lungo tempo dal tronco!
I paesi, la cui popolazione è più buona, sebbene pure misera, al primo esempio del triste effetto, si sono corretti e non hanno voluto più sentirne. Da Fontana Liri, per esempio, partirono 24 col famigerato Donato Vozza; appena qualcuno se ne vide ritornare così malconcio da morirne, tutte le famiglie assalirono il Sindaco perché facesse ritornare gli altri. Il buon Sindaco mi narrava, che ogni giorno si vedeva le madri alla casa comunale a far premure e ogni giorno egli era costretto a girare
le premure al Console; non ebbe pace sinché tutti gli altri non furono ritornati. Né alcun altro ragazzo di Fontana è stato più ceduto. Generale è la convinzione, che la legge non ha preveduta l’entità di questi reati, non commina pene adeguate, e per questo lato nemmeno la nuova legge è sufficiente, proporzionata alla gravità, alla vastità del delitto. Perché il fatto di Fontana Liri prova, che principalmente l’inganno sulla miseria, l’ignoranza delle conseguenze induce quasi sempre i genitori a questa cessione dei figliuoli.
Tanto è vero, che anche ad Isola del Liri — che è tutto dire — una povera vedova nello scorso mese si accingeva a mandarvi due figliuoli.
I genitori talvolta credono di far bene a mandare i figli e che il governo ha torto di punirli. Agostino Rea di Picinisco, condannato a Cassino per aver ceduto un figlio, quando è uscito ha preso tutti e tre i suoi figli e li ha menati in Francia. Un Francesco Franchi con tutta la famiglia se n’è andato a Lione. Un altro contadino nella campagna di Roccasecca, avendo ceduto pochi giorni prima suo figlio a un certo Costanzo Viola, famigerato incettatore, voleva persuadermi che suo figlio stava bene alla vetreria, e che son tutte fandonie quello che si dice.
Perciò credo che per mero caso io ne abbia salvati due dall’incetta. In treno sulla linea Caianello-Isernia incontrai un bravo giovine signore, sindaco di un piccolo comune degli Abruzzi, vicino ad Alfedena. Come suole, essendo soli, presentatici scambievolmente, io gli parlai dello scopo del mio giro e gli detti una copia del rapporto Scelsi. Egli si batté la fronte, disse che solo in quel momento capiva di aver rilasciato il nulla osta a due ragazzi per la Francia Meridionale, che dovevano partire con un certo amico residente in Francia; andava egli a Napoli, ma mi promise di telegrafare dalla prossima stazione al segretario per fermare i passaporti.
Dunque gl’incettatori estendono il loro raggio d’azione fra gl’ignoranti. Bisognerà, si o no, prevenire che comincino a razziare in altri comuni poveri, dove persino i sindaci ignorano che esiste questo genere di reato?
I negrieri, dalla Francia, esercitano la più scrupolosa sorveglianza sulla corrispondenza epistolare dei ragazzi con le loro famiglie. Ordinariamente i ragazzi non sanno scrivere, ma anche se sanno, sono costretti dal terrore a scrivere alle famiglie come vogliono i loro sfruttatori. Io ho letto molte di queste lettere, si somigliano quasi tutte: « Caro padre o cara madre, io questa lettera ve la scrivo (o me la fo scrivere) di nascosto del padrone! Io sto bene, assai in salute meglio di voi! Il padrone non ci fa mancare niente e se lo leva di bocca lui e la moglie per noi!
Qui non c’è lavoro ora e stiamo a carico suo! perciò pazientate per il denaro e non dubitate!» Se il padre minaccia di andare in Francia, allora il figlio scrive: «non venite perché io non me ne voglio tornare al paese a soffrire! Se venite, io mene scappo e non mi fo trovare! Il padrone mi vuole più bene di voi!» Et similia!
Un altro forte vecchio, nella stessa campagna, lo incontrai, che lavorava con una magnifica, numerosa figliolanza intorno. Per non destar in lui sospetto, finsi che cercavo di un mio nipote ch’era andato a lavorare nelle vetrerie francesi e non potevo averne più notizie. Aggiunsi, ch’ero preoccupato, perché li menano una vita che li fa diventar tisici. Subito m’interruppe, che non ci credessi a queste chiacchiere: — stanno bene. Io vi ho un figlio ed ora ne mando un altro, con la madre; staranno con la madre tutti e due. Il padrone (il negriero) mi scrive di non mandare la madre (et pour cause!), ma io ve la mando con l’altro; spero di potermene andare pure io con gli altri. Qui non si può più tirare avanti. I padroni vogliono il loro e la terra non vale più! — Domandando io se egli desiderava forse fare un contratto di mezzadria, o in qualche altro modo, giacché aveva tante buone braccia, per lavorare lui e i figli e che non c’era bisogno di emigrare, soggiunse recisamente: — io non mi lagno di niente, ma una cosa sola non posso tollerare: quando la terra non dà, perché lo esige il padrone? Io rimarrei pure in Italia a lavorare, se almeno due soldi al giorno mi fossero assicurati, due soldi! — Ed insistendo io a descrivere le sofferenze e I danni delle vetrerie, esclamò: — ebbene, vivranno 50 anni invece di 60, 0 40, o 30 magari, ma vivranno senza sentire la fame. — Io mi allontanai ammutolito.
Nei paesi dove la miseria è più grande e minore la bontà, come a Belmonte Castello, un padre ha mandato tre figli alle vetrerie. Con le trecento lire, che ha avute dell’annata del loro lavoro, si è costruita la casa. Quando i figliuoli sono ritornati malati, al dottor Gentile di Atina che lo rimproverava, il padre ha risposto: — ma almeno hanno la casa! —
Gli effetti delle industrie insalubri hanno inquinato un’intera, magnifica popolazione, ma questi effetti sono poco noti.
Filignano è un paese che dista tre ore di cavalcata da Venafro, in montagna. Era così bella e forte la sua popolazione, così opulente e sane le donne, che forniva di nutrici tutti i paesi attorno, senza temer concorrenza. Questa popolazione scendeva alla raccolta delle ulive e così viveva. Qualcuno del paese fu attratto a lavorare nelle raffinerie di zucchero francesi, se ne tornò con del denaro. Subito un grosso numero di compaesani lo imitarono, spinti dal bisogno e dal miraggio dell’oro. Ritornarono tutti con la lue sifilitica. Quasi tutta la popolazione n’è stata contagiata.
Dalle sucreries alle vetrerie era corto il passo. Breve, tutta la sanità, tutta la bellezza della popolazione è distrutta; nessuna nutrice, mi ha assicurato il dottor Lucenteforte, può prendersi più a Filignano.
Casi strazianti si incontrano di questa tratta, ma uno è singolare, indimenticabile. In una misera capanna della campagna di Roccasecca ho trovato una vecchia nonna, col figlio, la moglie di questo e parecchi ragazzi e ragazze. Il marito e la moglie parevano due scheletri, solo con gli occhi per piangere e con un fil di voce. Col solito pretesto io mi introdussi, e mentre il marito rimaneva muto, la moglie mi raccontò: — Signore mio, lasciatemi stare, il guaio mio è più grande del vostro, voi potete muovervi e andare ma io non ho potuto muovermi ancora. Una domenica, all’improvviso vennero (i negrieri) e ne dissero tante, che i miei due ragazzi vollero andare per forza. Il più piccolo non teneva l’età, ma mi dissero che ci pensavano loro! il più grande non aveva inclinazione, ma il più piccolo lo trascinò. A me il cuore me lo diceva e andai al municipio a domandare all’impiegato che fa le carte perché aveva fatto la fede col nome di un altro ragazzo. L’impiegato a dirmi: —scema, e che volevi? ti deve far piacere. — E partirono. Signore mio, da allora vivevo in palpito di quelle carni mie lontane. Viene una notizia, che il più grande era malato. Quattro telegrammi feci battere, con la risposta pagata, e me li fece il Pretore (1) così buono, e pagai ogni volta sette lire l’uno! All’ultimo telegramma il ragazzo era morto! — Una pausa lunga, lamentosa, poi riprese: — Questo poveromo (il marito) uscì pazzo ed è stato otto mesi al manicomio! Frattanto abbiamo dovuto lasciare (siamo stati mandati via) dalla terra e a stento abbiamo trovato questa capanna. Quest’omo non è più buono a lavorare e non trova nemmeno lavoro, io non ho testa se non a fare scrivere lettere per riavere almeno l’altro figlio mio. Quell’infame (il negriero) ecco che mi risponde! — mi mostra le cartoline postali da Pantin. Ripetono sempre: « cara madre, io sto bene, il lavoro non ci sta, io non ho i mezzi del viaggio, sono in debito col padrone». — Signore mio, riprese la donna, io sto vendendo tutto per fare le cento lire del viaggio, partirò con una carovana di questi ragazzi che partono per le vetrerie, purché faccia presto a riprendermi il figlio mio, vedrò pure pel vostro ragazzo, da temi il nome! —
Io mi sentiva mancare il respiro, detti alla misera quel che potevo, e ho additato il caso all’Opera di assistenza che sta provvedendo.
Certamente l’energia e lo zelo spiegato dal Sottoprefetto di Sora e dai funzionari e dai Sindaci in seguito agli stimoli di lui, ha diminuito il male. Il cav. Domenico Tinto, con uno spirito veramente da S.Domenico, ha inculcato ai Sindaci di non rilasciare più passaporti per l’interno, di essere indagatori e prudenti nel rilasciare passaporti per l’estero, di negarli ogni volta che si accorgano lontanamente, che servano per trasportare minorenni in Francia. Persino fieramente ha minacciato i Sindaci e gl’impiegati comunali di coinvolgerli in accusa di complicità quando fossero poco oculati nel rilasciare documenti che si usino per commettere reati sui minorenni. Ha ispirato un salutare terrore. Vi sono Sindaci, che hanno preso la cosa talmente a cuore, che qualcuno come quello di Pozzilli (circondario d’Isernia), bravo galantuomo, ha pubblicato un manifesto vivace e caratteristico. Passaporti per l’interno non si rilasciano quasi più. Nella circolare il Sottoprefetto incitava i Sindaci a diffondere la conoscenza del rapporto Scelsi, a fare che fosse oggetto delle prediche dei Parroci. E molti Sindaci e, per questi, molti Parroci hanno risposto all’appello. Ma molti Parroci, o per incuria del Sindaco o perché non da persona su loro influente, pur deplorando più di me le cose, non se ne sono incaricati.
Mi è accaduto d’informare dei fini dell’Opera il bravo giovine canonico Tuzi, che nell’assenza del Vescovo dirige in fatto tutta la importante diocesi di Sora; è diventato un apostolo della propaganda contro la tratta. Ma mi ha dichiarato che nessuno gliene aveva parlato. Ho trovato tutti i Parroci veramente ministri di carità e di amore, oppressi dalle miserie dei loro parrocchiani, affitti dagli effetti di questa tratta; qualcuno avanti di me si è spogliato dell’ultima moneta che teneva, per sollievo della miseria in quel momento urgente alla sua porta, ma mi avvertiva che egli non bastava. Io doveva riconoscere che a contatto immediato dei miseri ignoranti non vi sono che loro; ma isolati, insufficienti, non leniscono se non i mali che si presentano a loro, non possono cercare quei miseri che deviano, aberrati, in preda dell’inganno. Così gli emigranti in procinto di partire, negli ultimi giorni, quando ogni filo, che li unisce alla patria, venendo reciso, sanguina, non vedono del loro paese nessun rappresentante che con la parola dolce e savia, col minimo aiuto, li faccia partire con meno rancore verso il Governo e le classi dirigenti.
Quanto incalcolabile bene potrebbero dunque fare questi ottimi sacerdoti, organizzati ad alleviare i dolori dell’emigrazione ordinaria, a prevenire quella forma di emigrazione le cui conseguenze sono ignote a quelli stessi che ne sono le vittime! Quante energie preziose e impareggiabili sono, per mancanza di impulso e di direzione, insufficienti a diminuire i mali che le circondano!
I miseri ignoranti abbandonati agli artigli e alle lusinghe dei negrieri, non sono sufficientemente difesi dalle proibizioni dei passaporti e dalle denunzie all’autorità giudiziaria, sempre poche in verità, al paragone del numero di reati, che in questo campo si consumano.
Nella lotta ingaggiata tra i negrieri e le autorità, queste stesse oramai lo confessano, sono vinte, sono impotenti. I ragazzi non ricevono i passaporti? Ebbene, basta che l’abbiano i negrieri il passaporto, i piccoli basta che abbiano il solo atto di nascita, che è richiesto dai Sindaci in Francia per immatricolare i piccoli martiri.
Il Sindaco di Trevelle si lagna che egli, obbedendo agli ordini del Sottoprefetto di non rilasciare passaporti, gli vien chiesto l’atto di nascita e di moralità dei suoi piccoli amministrati, ch’egli non può negare; con questi atti, gl’interessati vanno al Municipio di Terracina e ottengono il passaporto per l’interno. Come si vede, non tutti i Sindaci sono coscienziosi o non tutti i segretari comunali sono oculati e rigidi. A che vale dunque il rigore di uno, quando un altro impiegato fa quello, che è dal collega negato? Attorno alla industria dei negrieri, fiorisce una vera industria di alcuni impiegati comunali. Un ex-segretario, lasciato l’ufficio, portò con sé il bollo del Comune e dei moduli e rilasciava per conto proprio, a quelli che gliene chiedevano in vendita, le richieste ferroviarie, che valgono a fare il viaggio per metà prezzo sulle linee italiane. Tanto di risparmiato pei poveri negrieri! Il Sottoprefetto lo ha appurato e denunziato all’autorità giudiziaria. La legge prescrive, che gli uffici comunali prima di rilasciare queste richieste, appurino bene le generalità e le qualità di operai in cerca di lavoro, di coloro cui le rilasciano; e le scrivano nelle madri e figlie.
(1) È il Pretore Maietti.
Ma evidentemente alcuni uffici debbono aver perduto l’abitudine di ottemperare a questa tassativa disposizione e nessuna Autorità superiore sorveglia questo ramo di servizio e i registri relativi, perché il Municipio di Roccadarce ne rilasciava in bianco, e in bianco lasciava le madri. I negrieri le riempivano dei nomi di quelli che credevano sino a 14. Il Sottoprefetto ha denunziato alla giustizia il segretario Paolella Gennaro e il vice-segretario Conte Angelo, che si scagionano asserendo che
le rilasciavano per ordine superiore!
I ragazzi al confine passano senza passaporto. Che cosa ci vuole dunque perché da uno dei tanti impiegati dei Comuni si ottengano degli atti di nascita di Tizio o Caio, nomi che non destino alcun sospetto? Più spesse volte i destinati alle vetrerie non avendo i tredici anni richiesti dalla legge francese, se anche l’impiegato non fosse indulgente, si trova sempre un amico che abbia un figlio di tredici anni e vada al Municipio a chiederne l’atto di nascita. Il negriero l’intasca e in Francia l’affibbia a un ragazzo minore di tredici anni. Tale è il caso scoperto da S. E. l’Ambasciatore Tornielli, caso caratteristico, che somiglia a molti. Il 27 settembre 1900 da Roccasecca partiva una comitiva per Torino e Modane, guidata da Bernardo Greco di Pasquale nato e domiciliato a Roccadarce, residente a Parigi, e composta della moglie Donata Giorgi da Roccasecca, di Luigi Faioli con tre figli Emilio di anni 14, Ferdinando di anni 11 e Francesco di anni 9, di Clemente Cacciarelli coi figli Gregorio di anni 15 e Angelo di anni 12, di Domenico Ricci con due figli, Antonio di anni 14 e Serafino di anni 12; 12 avevano passaporti per l’interno e un solo, il D. Ricci, passaporto per l’estero. S. E.Tornielli informato del prossimo passaggio del confine avverte telegraficamente i Delegati di Bardonecchia e di Ventimiglia, ma non ne ottenne nessuna risposta.
Il Cancelliere dell’Ambasciata procedendo allora ad un’inchiesta, trova 8 dei sunnominati già a S.Denis, introdotti nelle vetrerie senza libretto: li aveva presi a pensione il padre di Bernard Greco, Pasquale, ed assoggettati ad ogni sorta di maltrattamenti. Chiamati i ragazzi al cospetto del Cancelliere, Serafino Ricci, preparato dal suo padrone dice di essere Pasquale Giorgi e presenta il costui atto di nascita, ma il fratello Antonio lo scopre, smentendolo innanzi al Cancelliere. Il Greco nel settembre a Santopadre aveva interessato Antonio Giorgi a procurargli l’atto di nascita del fratello Pasquale. Così sono rimpatriati i quattro ragazzi Serafino e Antonio Ricci, Carlo Ricci di Giuseppe e Gaetano Ricci di Loreto di Santopadre.
Il Greco non possedeva alcun documento comprovante che i genitori gli avessero affidato figli, solo possedeva gli atti di nascita rilasciati pochi giorni prima dai Sindaci.
(1) Il Capo dell’Ufficio di P. S. a Bardonecchia gode fama di funzionario provetto e specchiato ed ha proceduto infatti all’arresto di non pochi incettatori. Ma o è male assecondato o, comunque, non posto in grado di adempiere in modo adeguato a questo servizio. Le migliaia di minorenni italiani occupati nelle vetrerie francesi depongono in modo irrefutabile contro tutte le Autorità italiane e particolarmente quelle dei Confini e di Solo in parte è vero che i minorenni vengono contrabbandati nella buona stagione attraverso i valichi alpini. Ma anche qui perché le Autorità, non esercitando la dovuta sorveglianza, se ne rendono responsabili ?
Abbiamo potuto procurarci copia del contratto del Ricci col Greco; eccolo:
Copia del contratto-vendita (1).
Dichiaro io qui sottoscritto Giovanni di Ciocci fu Antonio, mi carantisco per tre anni, ogni sei mesi, consegnare centoquindici lire (115 L.) a Domenico Ricci fu Giovanni e sua moglie Lucia; poi se i ragazzi da Bernardo Greco non vonno starci o sia dovesse andare qualche persona mandata dai suoi genitori, allora Giovanni di Ciocci non desidera di pagare e non deve pagare più a Domenico Ricci la detta somma; se poi dovesse andare il suo padre a ripigliare i suoi figli, allora Domenico Ricci deve dare a Giovanni di Ciocci L. 300 a danno e interessi; sempre però prima degli tre anni Bernardo Greco si obbliga a mantenere i ragazzi a mangiare e vestire o sia tutti trattamenti. Se poi non li tratta come al contratto, allora, o sia, (se) si dovesse ammalare per un mese gli ragazzi sono obbligati a rimettere il mese di lavoro (2).
Dichiarano li due testimoni.
Testimonio Antonio Giorgi
» Giuseppe Ricci
» Martini Antonio
firmato: Giovanni di Ciocci
Vengono sottoposti a processo il Greco Bernardo e gli altri, i genitori. Nell’interrogatorio tutti dichiararono che avevano ceduto i figli al Greco, che li avevano consegnati appena arrivati alla frontiera. Poiché gli incettatori sono entrati nella preoccupazione di essere arrestati, ora si assoggettano a pagare il viaggio al padre o a qualcuno che figuri di farne le veci. Così alcuni di questi genitori dopo consegnati i figli, si mettono al servizio dell’ incetta per conto dei negrieri e loro menano al confine i reclutati. Lo stesso Domenico Ricci, padre dei due ragazzi rimpatriati, arrestato al ritorno in Italia ad Alessandria e poi rilasciato, viene l’11 novembre 1900 dal Sindaco denunciato per nuova incetta. Similmente Luigi Giorgi. Un tale Pietrantonio Rienzi, contadino proprietario di un pezzetto di terra con una numerosa famiglia, prima consegnò a Giovanni Faioli per le vetrerie di S. Galmie i due figli, poi il terzo. Il Faioli gli scrive ed io ho letto le lettere, che I tre ragazzi stanno benone, che oramai lui Faioli e il Renzi potevano dirsi amici, e prosegue: «tu puoi farmi un favore, e guadagnarti qualche cosa, procurami due ragazzi, non t’incaricare di carte, poiché ci ho gli atti di nascita dei tuoi figli». E il Renzi, felice di guadagnare del denaro, gli porta i due ragazzi al confine e si frega le mani, che nessuno gli ha dimandato se fossero suoi figli.
Le industrie dell’incettatore sono sempre sufficienti a portare la preda in Francia. Persino hanno convenuto, che quando le compagnie dei ragazzi arrivano nella stazione designate prima del confine, una stazione sempre variabile, si dirigano a degli affiliati che hanno particolari distintivi rossi all’occhiello, i quali prendono i ragazzi e s’incaricano di farli seguire la via sicura.
Circostanza notevole, questi incettatori sono quasi sempre nativi di due o tre paesi, designati per l’eccezionale cattiveria dei loro abitanti: tra cui Casalvieri, Casalattico, Belmonte Castello. Forse è il solito costume di contrabbandieri e di ricettatori insito nelle popolazioni di confine, perché questi paesi sono vicini alle montagne di Veroli, al confine dell’antico Stato Romano. Un graduato dell’Arma dei carabinieri mi diceva che qualunque reato vi avvenga, è difficile avere dalle autorità comunali un aiuto all’indagine, e che questi paesi aggiungono al’emigrazione anche l’articolo donne per la prostituzione infima all’estero; mentre alcuni altri paesi non demoralizzati, mandano le donne in America sì, ma a maritarle. Difatti in Casalvieri io non ebbi l’impressione che ho riferita di tutti gli altri paesi, cioè la bellezza e la bontà degli abitanti; facce sinistre di uomini mi guardavano come per accingersi a farmi una grassazione, donne belle ma sfrontate guardavano con sguardo fisso soggiogatore, fanciulli piccoli insistenti come le più moleste zanzare non lasciarono di corrermi ai panni sinché non ebbi regalato il soldo. Di Casalvieri è notorio l’aneddoto della risposta del Sindaco al Prefetto, che lo interpellava sulle voci di costumi ladroneschi dei suoi concittadini.
(1) Ho messo la punteggiatura che mancava.
(2) Cioè a lavorare un corrispondente periodo di tempo addizionale ai tre anni pattuiti,
«A Casalvieri, se ne togliete S. Onorio (il santo Protettore) sono tutti ladri».
Se non è vero, deve essere verosimile e fatte le debite eccezioni, dev’essere un’istantanea del vivaio dei negrieri. Di questa unica stirpe sono quasi tutti gl’incettatori e i tenitori di pensione degl’infelici ragazzi delle vetrerie francesi: Giuseppe Alessio Cecchini, Giovan Battista Fallone, Antonio Fraioli, Maria Domenica Jacobelli, Francesca Cecchini, Teresa D’Andrea, Cecchini Francesco fu Onorio, Maria Abruzzese. Questi girano tuttora per tutti i paesi, combinano i genitori, e prudentemente ora non li accompagnano più loro al confine i ragazzi, li fanno accompagnare. Col brigadiere dei carabinieri io ne incontrai uno sulla via provinciale che tornava da una sua escursione. Era uno dei più famigerati del cognome famigerato in questa industria: Carlesimo. Con un’aria di eleganza parigina, da un antico scalpellino che era, pur essendo evidente che egli si sapeva spiato dal brigadiere, alla domanda di costui fatta alla buona onde venisse, rispose una frottola. Il brigadiere la ingoiò. Non poteva fare altrimenti. Il personale che dovrebbe sorvegliare non c’è, i mezzi per girare per tutti quei paesi e tener d’occhio questi pregiudicati non sono a disposizione dell’Arma. Un brigadiere mi diceva: «a Casalattico per questa faccenda io dovrei andare un paio di volte la settimana, perché è un centro attivo di questa peste. Ma io non ci vado che una volta al mese»
Spunta, come si vede, l’insufficienza della sorveglianza come causa prima della cosiddetta confessata impotenza del Governo. I funzionari colpiscono quelli che passano al volo, per caso, dove essi si trovano, ma questi sono una frazione minima del numero di quelli che hanno interesse nella turpe industria. Di ciò abbiamo la prova nell’arresto annunziato dai giornali il 29 aprile, di quel Donato Ciccarelli con 14 minorenni avviati in Francia. Se io non fossi stato una volta ad Arpino, abbiamo tutto il diritto di affermare che anche questo sarebbe scappato.
Io mi recai una bella mattina di questo aprile nella linda Arpino, su in alto, dentro una chiesa parrocchiale. Nella sagrestia trovai il bravo Parroco in mezzo a due file di ragazzi seduti: a destra una fila di ragazze, a sinistra una fila di ragazzi. E pensai subito: — chi parla alle anime se non il sacerdote in queste contrade? — Il parroco li teneva attenti e sorridenti intorno; parevano una corona di rose, tanto erano belli, rosei, forti, maschi e femmine. Il Parroco, appena lesse la lettera della Curia Vescovile che raccomandava la mia inchiesta, mi parlò subito come della più ordinaria malattia, del fatto che anch’egli deplorava. E mi mostrò due belli ragazzi, un biondo e un bruno bellissimo, che in un paese civile e ricco non avrebbe prezzo e noi vendiamo alla tubercolosi del capitale francese per cento lire all’anno! I due ragazzi erano pronti a partire con dei padroni alla fine del mese. Dalla loro bocca strappai i nomi degli incettatori: Tommaso Palma, Donato Ciccarelli alias Cioppi. Io mi affrettai ad avvisare la Presidenza dell’Opera di assistenza, questa denunziò i nomi al Prefetto di Torino: così abbiamo avuto il piacere di leggere il Ciccarelli arrestato e di avere la prova, che davvero con una sorveglianza più sistematica, più precisa, più completa della mia, molte altre centinaia si riuscirebbe a salvarne. E certo il Governo avrebbe tutti i mezzi di farla. Del resto anche i funzionari del Governo convengono che bisognerebbe una sorveglianza nelle stazioni di partenza e di transito per lo meno. Ebbene, si crederebbe? si fermano, specialmente la notte, in queste stazioni, ore ed ore ad aspettare i treni, le torme di questo bestiame umano, e non l’ombra di una guardia osserva chi accompagna i ragazzi, chi è, perché, se ne sorprenderebbero centinaia; ma in quelle ore forse la forza serve a sorvegliare i ladri di galline. Questi ragazzi partono sforniti di carte, non sanno dove vadano, e lungo le strade ferrate patrie, per centinaia di chilometri, per diecine di stazioni, il brutto reato passa inosservato. Quanto bene potrebbero almeno fare gl’impiegati ferroviari, dall’addetto ai biglietti al Capostazione, se fossero autorizzati e affiliati alla santa causa. Sotto il loro occhio passa sempre il reato.
Pochi arriverebbero alla frontiera, e questi pochi non dovrebbero sfuggire alla sorveglianza dei Delegati di pubblica sicurezza italiani. Ma devo dirlo? Invece ora troppi se non tutti arrivano alla frontiera e la passano! Già ho narrato il caso toccato a S. E. Tornielli cogli Uffici di P. S. di Ventimiglia e di Bardonecchia.
Quando egli credette di avvisarli del passaggio del famoso Bernardo Greco C., dovette contentarsi di ricercare poi di là dalla frontiera in Francia il contrabbando! Un mese fa, uno di questi incettatori, che sogliono, come abbiamo detto, fornirsi di passaporto solo per sé, lo chiese al Comune di Roccasecca. Il Sindaco lo negò. Cominciarono a piovergli le raccomandazioni da tutte le parti, specialmente dalle grandi autorità elettive! Il Sindaco nicchiava. Finalmente, non potendo negarlo e volendo utilizzarlo, convenne col Sottoprefetto di dire al pregiudicato, che partisse e troverebbe il passaporto presso il Delegato alla frontiera; solamente, dicesse l’ora della sua partenza. Disse che sarebbe partito alle 8 del giorno appresso. Telegrafarono subito di tenere d’occhio la sua compagnia. Nessuna notizia. Dopo alcuni giorni il Sindaco ricevette dalla Francia una lettera firmata da questo pregiudicato, piena di ingiurie e di scherno. «A che faceva tante sevizie per concedere quel passaporto che non gli era stato domandato da nessuno? Dunque il Sindaco era che faceva il rigido. Ma egli se n’infischiava, aveva fatto il comodo suo!» (1).
Oramai uno dei mezzi più sicuri per sottrarsi alla sorveglianza, me lo hanno indicato parecchi ragazzi reduci dalle vetrerie. Le loro guide, dopo averli fatti viaggiare in terza classe un paio di giorni sino ad una delle stazioni di confine, non mai la stessa, qui li fanno scendere e prendere il
biglietto di seconda classe dei diretti, che hanno meno minuti di fermata e non falliscono mai allo scopo: nessuna domanda, nessun fastidio da parte dei funzionati italiani.
Ma, se bisognasse qualche altra prova della mancanza colà di ogni sorveglianza da parte di questi, si è avuta questa prova. Parecchi funzionari del circondario di Sora, e militi di un’Arma superiore ad ogni sospetto, mi hanno confessato, che le autorità alla frontiera chiudono tutti e due gli occhi, che per quante denunzie e comunicazioni facciano loro, non ottengono mai una risposta.
E dire, che l’egregio Sottoprefetto di Sora mi diceva che possiamo solo sperare nella più rigida applicazione della legge al riguardo dei minorenni da parte dei funzionari francesi! In verità, credo che avremmo diritto di sperarla da parte dei funzionari italiani. E mentre plaudiamo tutti al rapporto Scelsi che è stata una generosa azione di un Console italiano, non possiamo convenire con lui, che «il Governo italiano fa quanto può». Questo sarebbe un pernicioso eufemismo ufficiale. Il Governo ha i mezzi di far cessare totalmente questa sorgente grandissima di tubercolosi, questa vergogna della nostra civiltà, questa ottusità del sentimento sociale ed umano in Italia. E poiché lo può, come abbiamo dimostrato, lo deve.
L’ultima notte della mia escursione per questo teatro di miserie e di dolori, verso le tre dopo la mezzanotte, io uscii dall’albergo di Cassino per andare a prendere a Caianello il treno d’Isernia. Avvicinandomi alla stazione di Cassino, avverti grida confuse. Quanto più avanzavo, più si facevano distinte e lamentose. Erano donne, con bambini, che mandavano grida da fuori la stazione verso la linea ferroviaria. Ai lati del fabbricato della stazione vi erano le palizzate, che impedivano loro di entrar dentro. A chi erano dirette quelle grida? — Ai loro uomini che emigravano. — Questi formavano un’altra massa, addossata ad un angolo interno della stazione, muti, lividi, sotto i colpi delle grida acute, strazianti. Erano dolci richiami, voci di abbattimento, di disperazione.
Ah! quelle grida, chi le ha sentite non può dimenticarle. Chi può dire che cosa della Patria esse deponevano nel cuore degli emigranti? Chi può dire quali opinioni e quali propositi potessero germogliare dal sentimento, che in quell’ora rendeva muti quegli uomini?
Io vorrei avere la penna di Dante per fermare quelle voci in una forma immortale davanti all’anima dell’Italia. Io le sento tutt’ora vibranti nei miei nervi c mi pare che le mandasse la Patria dalle sue viscere a coloro, che sono il cuore e il cervello dell’Italia, alle classi dirigenti e al Governo.
Roma, 30 aprile 1901. i
Dr. UGO CAFIERO
48, Via Poli.
(1) se le informazioni pervenuteci sono esatte, il sindaco d’un Comune vicino ad Aosta, e già benemerito elettore politico, si propose non è guari di assistere un suo compaesano ed elettore il quale avea reclutato un discreto numero di minorenni valdostani destinati a una vetreria del Belgio. Negatigli recisamente i passaporti per ordine della Prefettura di Torino, l’incettatore, assistito dal sindaco sullodato, colla squadra si sarebbe recato in una Provincia vicina dove, mercé la protezione certo incosciente ma che non sarebbe meno deplorevole, se vera, d’un uomo parlamentare, avrebbe trovato modo o di avere per semplice notorietà le carte occorrenti o quanto meno di varcare indisturbato la frontiera col suo contrabbando umano. Questi presunti fatti avrebbero provocata l’interpellanza dell’on. F. Farinet ricordata nel Proemio. ;
Ci è stato riferito testé che in una vetreria di Lione trovasi una squadra di minorenni reclutati a Giaveno (circ. di Torino).
Proseguono in proposito le indagini del Comitato.
(Nota del Comitato).
APPENDICE I.
I MINORENNI ITALIANI E LE VETRERIE FRANCESI
RAPPORTO del R. Vice Console Avv. Lionello Scelsi, già reggente il R. Consolato in Lione
(estratto dal Bollettino del Ministero degli Affari esteri, Dicembre 1900)
L’industria del vetro è forse, tra le industrie francesi, quella che maggiormente riposa sul lavoro degli operai italiani.
Dovremmo esser fieri, ad ogni nuova occasione che ci si porge, di constatare come in ogni parte del mondo, nei più grandiosi lavori, nello sviluppo delle maggiori industrie, 1’ opera del bracciante e dell’ operaio italiano sia non solo richiesta, ma necessaria ed apprezzata; sennonché non v’è alcun motivo di felicitarsi pel contributo che i nostri connazionali portano all’industria del vetro in Francia; troppo gravi ragioni, morali ed umanitarie, dovrebbero farci augurare che tale contributo cessasse. Quanto avrò occasione di esporre più Avanti servirà, spero, a dimostrarlo ampiamente.
Le più importanti vetrerie della Francia sì trovano nei dipartimenti del Rodano, della Loira e del Puy-de-Dòme, e precisamente a Givors, Rive-de-Giers, Saint Romain-le Puy, Saint Galmier e nei sobborghi della città di Lione.
Voglio subito notare che la quasi totalità degli Italiani impiegati nelle vetrerie si compone di minorenni.
Avendo visitato tutte le fabbriche esistenti in quei dipartimenti, mi propongo di mostrare quale sia la vera condizione che è fatta ai nostri piccoli connazionali. E non credo far opera inutile e vana, poiché ho potuto constatare come da qualche tempo a questa parte il traffico dei fanciulli italiani, che ha per centro principale le provincie di Caserta e di Campobasso, vada sensibilmente aumentando, sia per l’incoscienza veramente inaudita, e talvolta per l’avidità, dei genitori che lasciano partire i loro figliuoli in ancor tenera età, sia per la crescente audacia dei numerosi speculatori che, approfittando spesso dell’ignoranza e della credulità dei parenti, sottopongono tanti poveri ragazzi ad un lavoro immane e dannosissimo alla salute. Perché sia più facile farsi un’idea del genere di lavoro cui sono sottoposti i minorenni italiani, dirò, in due parole, qual sia la distribuzione del lavoro nell’interno delle vetrerie francesi. Gli operai si dividono in tre categorie: primo, per importanza, è l’ouvrier colui che lavora il vetro, che dà forma alle bottiglie od agli altri oggetti, ed è sempre un adulto. Viene poi il gamin, e d è questi un fanciullo che colla canna di ferro coglie dai forni il vetro liquefatto per porgerlo all’ouvrier; infine vi è il porteur che riceve dalle mani dell’ouvrier 1’oggetto di vetro già lavorato per portarlo in un secondo forno, dove il vetro deve essere nuovamente cotto.)
È certo che il lavoro più penoso è quello del gamin, poiché egli deve restare per lunghissime ore dinanzi alla bocca del forno nel quale è una temperatura di 1400 gradi! E mentre a quel lavoro dovrebbero adibirsi uomini adulti di robustissima costituzione, i padroni delle vetrerie, per economia, vi pongono dei fanciulli appena tredicenni. È facile immaginarsi in quali condizioni fisiche siano ben presto ridotti questi ragazzi, obbligati ad esporre il gracile petto ad un calore micidiale.
Non è a credersi però che il lavoro dei piccoli porteurs sia di gran lunga meno pesante di quello dei gamins. Anzitutto osserverò che per quella mansione sono utilizzati dai proprietari delle vetrerie tutti quei minorenni che non hanno ancora compiuto i tredici anni che la legge francese stabilisce come età minima per il lavoro dei fanciulli.
Dirò poi come e perché tali minorenni riescono ad essere impiegati, contrariamente al disposto tassativo della legge. I porteurs, adunque, che sono fanciulli in tenerissima età — ve ne sono di nove anni — debbono, nelle fabbriche di bottiglie ad esempio, trasportare diariamente circa mille bottiglie ciascuno, innestate in cima ad un pesante ordigno di ferro, Quest’ordigno colla bottiglia vien loro dato dall’ouvrier dalla distanza di un metro e mezzo circa, ed essi debbono prenderlo a volo. Qualche volta — ed è comprensibile — il piccolo porteur non arriva ad afferrarlo in tempo, la bottiglia cade, si spezza o si sforma e l’ouvrier — il quale è pagato sulla quantità del lavoro prodotto — eccitatissimo, tra le maggiori contumelie lancia addosso al povero bimbo quanto gli capita sotto le mani. E questi incidenti sono frequentissimi.
Anche il piccolo porteur è condannato a subire, sebbene in minor grado, la malefica influenza del calore eccessivo, poiché le mille bottiglie fabbricate dall’ouvrier egli le deve portare, come ho detto, in un altro forno dove il vetro riceve la seconda cottura.
I forni delle vetrerie sono, come ognuno sa, accesi notte e giorno, ed il lavoro non è mai interrotto. Gli operai sono divisi in tre squadre, ed ogni squadra, composta di ouvriers, gamins e porteurs, lavora — o meglio, dovrebbe lavorare — otto ore su ventiquattro. La prima squadra è di turno dalle quattro del mattino fino a mezzogiorno; la seconda lavora da mezzogiorno alle otto di sera, e la terza, infine, dalle otto alle quattro del mattino. Questo in teoria; poiché nella pratica avviene altrimenti. Il numero degli ouvriers è sempre al completo e per essi il turno è rispettato; la quantità dei gamins e dei porteurs è, invece, in quasi tutte le vetrerie inferiore al necessario, malgrado la straordinaria buona volontà che gli incettatori pongono nel reclutare minorenni in Italia. Cosicché avviene normalmente che i gamins ed i porteurs, dopo aver lavorato le otto ore regolamentari, si vedono costretti dai loro speculatori a ricominciare stanchi, sfiniti, un nuovo turno di otto ore!
Dirò ora perché la tratta dei nostri minorenni venga esercitata, e qual sia la sua organizzazione. Nei primi tempi che mi trovavo in Lione, non avendo ancora esatta conoscenza della situazione vera fatta ai nostri minorenni, mi domandavo come mai nelle vetrerie non fossero impiegati fanciulli francesi ai quali, per molti ragioni, sarebbe stato più agevole ottenervi lavoro. Ma la spiegazione non tardò a venire; la ebbi allorché cominciai le mie ispezioni nelle fabbriche e nelle case — o meglio nelle stalle — in cui sono ammucchiati i nostri nazionali. I genitori francesi che vedono da vicino la vita che si vive nelle vetrerie e che constatano in quali condizioni fisiche sia ben presto ridotto un fanciullo addetto ad un tale pesantissimo lavoro, non mandano i propri figli a logorarsi il petto in quelle fornaci, poiché sono coscienti della grave responsabilità che si assumerebbero, e dei santi doveri, che tutti i padri è tutte le madri, hanno di fronte alle loro creature.
La ragione, adunque, dell’impiego dei nostri fanciulli — i quali su questo punto non hanno a temere alcuna concorrenza da parte dei francesi — sta nella gravezza del lavoro. Gli incettatori si recano nelle provincie del mezzogiorno d’ Italia, nei comuni dove maggiore è la miseria; ad un contadino che ha la fortuna — o la sventura — di avere una famiglia troppo numerosa in proporzione dei suoi mezzi economici, a quell’uomo che si dibatte giorno per giorno tra le maggiori privazioni per poter mantenere la numerosa prole in ancor troppo tenera età per potersi guadagnare l’esistenza, l’incettatore propone che gli siano ceduti due o tre figliuoli, si assume lo incarico di apprender loro un mestiere lucroso, di nutrirli e vestirli, e per di più di pagare al cedente la somma annuale di cento lire per ogni fanciullo. Il contratto viene generalmente conchiuso per tre anni, è redatto su carta bollata, con l’intervento dei relativi testimoni; ed i fanciulli partono, così, per le vetrerie.
Sennonché il primo anno scade, e quasi sempre il padre non riceve la somma pattuita; riceve semplicemente una lettera del padrone dei suoi figliuoli, nella quale lo si avverte ch’essi sono stati troppo spesso ammalati, oppure si sono rifiutati a lavorare, ed egli — lo speculatore — ha dovuto sobbarcarsi alle spese del medico, delle medicine e del nutrimento, senza poterne ricavare alcun profitto. La conclusione si è ch’egli ha dovuto trattenersi i cento franchi promessi per rimborsarsi delle spese sostenute. Di qui naturalmente cominciano a sorgere i primi reclami dei genitori, i quali dopo qualche altro mese, vedendo che i patti contrattuali sono dall’incettatore, in un modo o nell’altro, elusi, si rivolgono all’autorità consolare, affinché i figli siano fatti rimpatriare.
Si potrebbe domandare come mai questi incettatori riescano a condurre in Francia delle turbe di dieci o dodici ragazzi alla volta, ed a far lavorare nelle fabbriche di vetro anche quei fanciulli che non hanno ancora compiuto l’età di tredici anni prescritta dalla legge francese.
Occorre, però, sapere che, sebbene la vigilanza esercitata dalle autorità italiane sia rigorosissima tanto nei paesi che forniscono maggior contingente di fanciulli alle vetrerie, che alla frontiera od ai punti di imbarco, gli incettatori trovano assai spesso il mezzo di sottrarvisi mettendo in opera innumerevoli artifizi. Ogni incettatore ha in Italia il proprio compare che gli procura i minorenni. Quando il giorno della partenza è venuto, i minorenni accompagnati dal padre o dalla madre partono muniti di regolare passaporto per l’interno, e si riuniscono poi, alla frontiera o in un’altra città qualsiasi, all’incettatore, il quale ha seguito altra via. Il padre torna indietro, ed i minorenni, giunti alla stazione che precede quella della frontiera, scendono dal treno e passano il confine attraverso le montagne per sfuggire alla sorveglianza esercitata dalle autorità del regno. Altre volte, invece, l’incettatore, servendosi del passaporto per l’estero col quale ha già condotto in Francia I propri figliuoli, conduce liberamente e indisturbato i minorenni reclutati, E qui, giacché cade in acconcio, faccio notare che gli incettatori non impiegano i propri figli nelle vetrerie, ma preferiscono — e si capisce — far loro imparare un altro mestiere qualsiasi (1).
Giunti a destinazione, i minorenni son subito accolti nelle vetrerie. Però ve ne sono di quelli, come ho già avvertito, che non potrebbero essere ammessi a lavorare. Ma qui altri artifizi vengono in campo. Quasi sempre l’incettatore che ha condotto fanciulli non ancora tredicenni si è provveduto, prima di partire dal paese di atti di nascita di altri ragazzi che abbiano superata l’età regolamentare, e presentano ai commissari di polizia quegli atti come appartenenti ai fanciulli condotti. Altre volte, invece, l’atto di nascita dei ragazzi minori di tredici anni è raschiato ed alterato con maggiore o minore maestria. Spesso la cosa passa inosservata, ma talvolta accade che la mistificazione è scoperta e gli incettatori vengono denunciati all’autorità giudiziaria. Si vede allora una turba di compaesani dell’accusato offrirsi spontaneamente come testimoni per attestare che I documenti alterati furono così inviati dal regno dai genitori dei minorenni, e, non essendovi testimoni che asseriscano il contrario, l’azione penale ha principio e fine nel gabinetto del giudice istruttore. Rimesso così in libertà e prosciolto da ogni accusa, l’incettatore non ha perduto ogni speranza, poiché molti padroni di vetrerie che hanno urgente bisogno di minorenni li accolgono nelle loro officine, senza che posseggano i documenti in regola.
Ciò non toglie, però, che qualche esempio salutare sia stato dato e qui ed a Parigi, ove la regia ambasciata non lascia sfuggire occasione per segnalare gli abusi alle autorità francesi: abusi che non mancano di verificarsi anche nelle vetrerie di altri dipartimenti della Francia. A varie riprese si ebbe modo di accertare responsabilità indiscutibili di incettatori e padroni dì vetrerie. Essi furono denunciati all’autorità giudiziaria, la quale emanò varie sentenze di condanna, al carcere per gli incettatori ed a pene pecuniarie per i padroni delle fabbriche.
Ma non c’è da farsi troppe illusioni, poiché la condanna di un incettatore o di un padrone non impedisce che altri incettatori o padroni persistano nel loro colpevole procedere e che centinaia di fanciulli siano indegnamente sfruttati, A Rive-de-Giers vi sono non meno di millecinquecento fanciulli italiani; a Givors ve ne sono dai tre ai quattrocento, e così pure tra Saint Romain-le-Puy e Saint-Galmier; nei sobborghi di Lione, Oullins, la Mulattière, la Mouche, Venissieux, il numero dei minorenni supera gli ottocento.
Questo dei fanciulli impiegati nelle vetrerie è un vero mercato di carne umana, un infame mercato. Ho potuto, un giorno venire in possesso di una lettera che un incettatore ricevette dal proprio compare residente nel mezzogiorno d’Italia, nella quale era detto:
«Ti ho preparato quattro ragazzi, ma costano cento lire l’uno; se li vuoi bisogna pagarmeli così, se no li vendo ad un altro che me li ha domandati». Proprio come al mercato delle bestie. Un giorno mi recai in uno dei maggiori centri vetrari della Loira, e appena giunto ricevetti una lettera dal maîre del comune, nella quale in nome dell’umanità, mi pregava e vivamente insisteva, perché io facessi tutto quanto era in me per far cessare il doloroso spettacolo dato dai piccoli italiani. Egli era infermo e mi recai preso di lui. Mi narrò allora le dolorose vicende — che del resto mi erano fin troppo note — di quei fanciulli, non nutriti, non vestiti e continuamente maltrattati dal loro incettatore per ogni più futile. motivo. Ed aggiungeva:
«Vedete, signore, i vostri piccoli connazionali sono buoni; non litigano mai, né tra di loro né coi ragazzi francesi. La sola cosa, la sola colpa che si potrebbe loro rimproverare si è di recarsi — ma è raro però — nei campi vicini alle fabbriche a rubarvi qualche frutto. Ma non è per vizio, sapete; è perché hanno fame.
(1) Veggasi su tutto ciò quanto invece espone e documenta la nostra inchiesta.
E vi assicuro che quando la guardia campestre me ne conduce qualcuno preso sul fatto, non mi sento il coraggio di sgridarlo, perché conosco troppo bene il motivo che lo ha spinto al mal passo».
Ma non è solo l’incettatore a batterli; l’incettatore è pei fanciulli il tiranno fuori della vetreria. Nella fabbrica altri tiranni li attendono: gli ouvriers. Questa gente, costretta ad un lavoro rude, faticosissimo, che provoca un’arsura continua nel petto, e li obbliga a bere ad ogni minuto, questa gente che, in una parola, è sotto la nefasta influenza delle bevande alcooliche tracannate come acqua di fonte, acquista un carattere irascibile al più alto grado,le cui tristi conseguenze sono, purtroppo, sopportate dai piccoli nostri connazionali: dai gamins, se attorcigliano intorno alla canna un’oncia di vetro più del necessario, dai porteurs se non afferrano a volo il pesante ordigno in cima alla quale è innestata la bottiglia già modellata. L’incettatore di minorenni è la figura più odiosa che io abbia mai conosciuta. Anzitutto debbo notare che questa specie di individui molto spesso ha regolato, o deve ancora regolare, qualche conto colla giustizia del suo paese. Ne ho conosciuti che avevano passato otto, dieci, ed uno ventidue anni in carcere, e che abituatisi all’ozio, hanno trovato semplice, economico e proficuo questo sistema di trarre l’esistenza. L’incettatore non fa nulla; intrattiene ottime relazioni col padrone della vetreria, intasca le mercedi dei fanciulli, si accerta che la moglie non ponga nella pentola un grammo di lardo più del convenuto per confezionare quel liquido nerastro e disgustoso, privo quasi totalmente di sostanze grasse e nutrienti, e che dovrebbe, unito ad un meschino pezzo di pane, ristorare le forze esauste dei poveri fanciulli che tornano a casa morti di fatica dopo otto, e, spesso, sedici ore di lavoro ininterrotto.
L’incettatore, assicuratosi che l’ordinaria razione non è stata sorpassata, permette che le sue piccole vittime cerchino nel sonno quel ristoro alle perdute energie che non fu loro possibile trovare nel nutrimento. Ed è così che stanchi, sfiniti essi dividono in tre, e qualche volta in quattro, un pagliericcio gettato sul lurido pavimento.
La giornata del minorenne si svolge generalmente così: egli lavora quasi sempre sedici ore consecutive; indi rientra a casa dove; dopo la magra refezione, deve sbrigare le faccende domestiche, andare al pozzo ad attingere l’acqua per la casa, ed infine può riposarsi per tre o quattro ore. Gli incettatori sono lietissimi allorché i fanciulli debbono lavorare durante due turni consecutivi, poiché essi ricevono una doppia mercede, mentre d’altro lato le spese di vitto e di vestiario — per modo di dire! — non aumentano.
I gamins ed i porteurs guadagnano, in media, dai quarantacinque ai cinquantacinque franchi al mese, dato che non facciano che il loro turno di otto ore. Tutto questo denaro entra nelle tasche dell’incettatore, il quale ha quasi sempre dai cinque ai dieci fanciulli ai suoi ordini. Se si considera che ben raramente i genitori ricevono intatti i cento franchi promessi, e che il nutrimento somministrato ai minorenni è tutto ciò che vi può essere di più meschino, appare chiaro che gli incettatori debbano raggranellare, in breve tempo, un non indifferente gruzzolo di denaro. Ne ho conosciuti che con quel mestiere erano riusciti a comprare dei terreni nel loro paese.
Non credo inutile trascrivere un brano di un rapporto fatto ai suoi superiori da un commissario di polizia incaricato di compiere un’inchiesta, da me domandata sulla morte di un minorenne che, mi era stato riferito, – fosse avvenuta in seguito a maltrattamenti da parte dell’incettatore cui il fanciullo era affidato. Debbo, prima, avvertire che è molto difficile per i funzionari francesi compiere tali inchieste, poiché oltre a non poter comprendere il linguaggio dialettale dei minorenni che interrogano, la loro più buona volontà si spezza contro la solidarietà che esiste tra tutti gli incettatori. Essi sanno di essere tutti ugualmente colpevoli, e quindi vicendevolmente si sostengono. Ed ecco, tradotto, il brano del rapporto: «Non sapendo moltissimi di questi fanciulli esprimersi in francese, e gli altri non osando dire tutta la verità per paura d’essere castigati, non fu possibile indagare a fondo l’odiosità della speculazione di cui essi sono vittime. Risulta, tuttavia, dalle timide confessioni di due o tre fra essi che loro avviene talvolta di essere battuti e di essere mandati al lavoro senza aver ottenuto una sufficiente alimentazione. Per tal modo si presentano gli uni e gli altri pallidi ed in tale stato di magrezza e sofferenza, che richiederebbero d’urgenza una visita medica; mentre s’imporrebbe un’ispezione dei loro dormitori per parte della commissione d’igiene. Ed infatti: questi ragazzi dormono in un’unica stanza, a due od a tre, su letti o brande di ferro provvisti d’un pagliericcio, di lenzuola e d’una coperta, il tutto in uno stato di sudiciume più o meno sordido.- Né devesi trascurare di notare che i fanciulli, che si lagnavano mentre era assente l’incettatore, non risparmiavano a lui gli elogi, quando l’incettatore era presente. Perché sanno assai bene che cosa li attende, se non si mostrano soddisfatti del martirio continuato a cui vengono sottoposti dal loro ingordo padrone.
Quel coscienzioso commissario di polizia non peccava certo di esagerazione, allorché accennava alla urgente necessità di sottomettere a una visita medica i minorenni italiani. Le loro condizioni di salute, infatti, non potrebbero essere più deplorevoli. Per dimostrarlo mi basterà riferire quanto ebbe a constatare il dottor Vecchioni, un egregio giovane che a scopo di studio passò alcuni mesi in Lione abitando in uno dei sobborghi della città, la Mulattiére, dove esiste una vetreria non certo di molta importanza, e nella quale sono impiegati cento minorenni circa. Nel breve tempo di sua residenza fu chiamato spessissimo per curare i fanciulli italiani ammalati. Ebbene, egli ebbe a constatare una ventina di casi di pleuriti bacillari, ascessi freddi ed adeniti tubercolari.
Tutte queste malattie di tubercolosi localizzata non hanno origine — egli mi disse — da predisposizione ereditaria, ma da predisposizione organica, determinata da affievolimento delle forze d’un tenero organismo, forzato a vivere in un ambiente sudicio e malsano (le case d’abitazione) ed a respirare la polvere di carbone e dei preparati velenosi che occorrono nella composizione del vetro. E questo senza contare le numerose febbri tifoidi, le gravi bruciature, e via dicendo. Quanti fanciulli mi furono condotti in ufficio in uno stato da destare la più grande pietà! Erano bimbi macilenti, in ancor tenerissima età; si leggeva loro sul volto, d’un pallore mortale, che la tisi, che non perdona, aveva intrapreso il suo micidiale lavoro in quei gracili organismi. Dopo averli ridotti, per l’ingordigia loro, in questo stato miserando, gli incettatori avevano ancora l’ardire di presentarli all’autorità consolare per il rimpatrio a spese del’o Stato, E, per di più, cercavano di farsi passare per i benefattori di quei poveri ragazzi, dicendo di averli incontrati in mezzo alla strada, abbandonati, di averli raccolti e condotti ad implorare il rimpatrio in nome della carità! E i fanciulli, interrogati, non osavano mai confessare la verità, memori delle sofferenze patite e temendo la cieca ira di quella gente senza cuore.
Che cosa diverranno mai tutti quei fanciulli che, tolti all’aria libera dei loro campi e gettati in quelle
fabbriche dove l’aria é impregnata di elementi velenosi, sono costretti ad un lavoro di molto superiore alle loro forze, senza poi ricevere un riposo adeguato ed un sostanzioso nutrimento?
È facile immaginarlo. A venti anni — se pur vi arrivano — sono quasi tutti etici, col petto incavato e senza più alcuna energia. Ne ho visti tanti che so, purtroppo, di non errare.
Questi i mali. Quali sono i rimedi? Allo stato attuale delle cose, i provvedimenti che potrebbero esser presi dalle autorità francesi — come ad esempio, l’obbligo ai direttori delle vetrerie di adibire al servizio dei forni giovani non minori di venti anni, l’aumento di sorveglianza da parte degli ispettori del lavoro, il comminare pene pecuniarie fortissime ai padroni delle fabbriche che impiegano fanciulli senza che abbiano ottenuto il permesso di lavoro, il non concedere tale permesso se non dietro presentazione di un certificato dall’autorità consolare italiana, la quale ha maggiori mezzi per assicurarsi della genuinità dei documenti che gli incettatori presentano come appartenenti ai minorenni condotti, il sottomettere all’ispezione della commissione d’igiene le abitazioni dei minorenni, umide, malsane, e prive spesso di finestre — sarebbero i più adatti, senza dubbio, a difendere la salute e spesso la vita di tanti miseri fanciulli.
Non può dirsi che la sorveglianza nel regno non sia energicamente esercitata (1). Ne fanno prova le numerose e continue condanne a cui sono sottoposti quegli incettatori che vengono scoperti nel momento in cui si accingono a partire per la Francia insieme ai minorenni reclutati.
L’azione di vigilanza governativa può essere — come, del resto, lo è attualmente — di grande profitto; ma essa non può bastare di fronte alla ostinata volontà e agli innumerevoli sotterfugi degli incettatori coalizzati coi genitori dei fanciulli (2), e, d’altra parte, non potendosi essa esercitare al di là dei confini dello Stato, V’è però un’altra azione che potrebbe essere ancora più giovevole; un’azione di propaganda, di risanamento morale delle popolazioni in mezzo alle quali si svolge l’indegno traffico; un’azione intesa a far comprendere l’odiosità del loro modo di procedere a quei genitori che lasciano partire i propri figliuoli, anzi li vendono, poiché l’atto che intercede tra l’incettatore ed i parenti del minorenne è un vero contratto di vendita temporanea.
La volontà del fanciullo non vi entra per nulla. Il genitore cede tutti i suoi diritti sul figliuolo per lo spazio di tre anni: egli non si cura di sapere che cosa l’incettatore ne farà, purché gli si paghino annualmente cento lire.
Ed è possibile, io domando, che per poche — e problematiche — diecine di lire un – padre ed una madre debbano rovinare per tutta la vita un figliuolo? Io trovo ancor più colpevoli i genitori che l’incettatore (3). Questi un individuo senza cuore e senza coscienza, poiché non considera I minorenni reclutati che come un istrumento atto a saziare la sua ingordigia. Ma i genitori, invece, dovrebbero averlo un po’ di cuore per le loro creature, e non anteporre un meschino guadagno alla salute e all’avvenire dei loro figli.
Ho scritto queste poche pagine nella speranza che le persone colte e di cuore d’ogni parte d’Italia si interessino ad una questione di così alta umanità. Nella nostra Italia dove ogni giorno sorgono nuovi patronati per l’infanzia abbandonata e maltrattata, per i fanciulli rachitici e pei tubercolotici, non sorgerà un patronato contro la tratta dei fanciulli destinati a logorarsi nelle vetrerie?
Facciano le persone oneste e di cuore una costante propaganda contro l’immorale mercato, e ne riceveranno in cambio il premio più gentile e più ambito: la riconoscenza di tante piccole creature ch’essi avranno contribuito a salvare dall’abbrutimento, dalle più terribili malattie e, fors’anco, dalla morte.
Ben venga, e venga presto la nuova legge sull’emigrazione, che provvede anche alla tutela dei minorenni mandati o condotti all’estero a scopo di lavoro. Nelle sue severissime disposizioni è la salute di migliaia d’Italiani (4).
(1) Veggasi ancora quanto in proposito risulta dalla nostra inchiesta.
(2) V. nota prec.
(3) V. nota prec.
(4) V. nota prec.
APPENDICE II
LETTERE dei R. Sacerdoti JACOMUZZI, CANONICO e GRASSI
Missionari dell’Opera di Assistenza in Francia
A Grenoble, nel Delfinato, risiedono in modo più o meno permanente, dai quattromila Italiani per metà muratori o simili, provenienti dall’Alta Italia, e per metà circa Napoletani, occupati nell’industria delle pelli di capretto e dei guanti che è colà sviluppatissima. Alcuni anni addietro, la nobile damigella Maria Cicierska, Polacca, capitata a Grenoble fu mossa a pietà di una sventurata famiglia italiana. Da allora in poi l’eletta gentildonna cristiana, sorda al fascino e richiamo della terra natale, non cessò dal dedicarsi tutta, opera e sostanze, ai nostri derelitti fratelli.
Lo scorso autunno la signorina Cicierska venne a Torino per invocare, dal nostro Arcivescovo Cardinale Richelmy, l’invio a Sacerdote italiano. Il degno Pastore, non ravvisando persona più adatta e zelante, non Grenoble d’un esitò ad inviare a Grenoble, il proprio Segretario, il Sac. Angelo Iacomuzzi, privandosi così di un aiuto prezioso nel disimpegno dell’elevato e grave ministero Arcivescovile. Lo scorso Aprile due altri benemeriti Sacerdoti, il Teol. Canonico, Parroco di Monasterolo, ed il Teol. Grassi Vice-Parroco di Fiano, d’accordo con l’Opera di Assistenza, si recarono a Rive-de-Giers (Loira) per una Missione Pasquale framezzo ai molti Italiani colà residenti. Crediamo pregio di questa pubblicazione riprodurre qui due lettere ch’essi inviarono testé al Segretario Generale dell’Opera e che lumeggiano mirabilmente al tempo stesso le condizioni dei nostri emigranti in generale, quelle in particolar modo dei fanciulli addetti alle vetrerie e l’ azione sacrosantamente salutare che in loro vantaggio possono spiegare i Sacerdoti italiani, secondo i fini ed i metodi dell’Opera d’assistenza.
Rive de Giers, 19 aprile 1901.
Ill.mo signor Segretario Generale dell’Opera di assistenza,
Approfitto di questo momento di libertà per soddisfare a un caro mio dovere col rispondere alla gentilissima e gradita sua lettera. Anzitutto la ringrazio per la sua premura nell’inviarmi le L. 500 a pro dell’Opera nostra, come pure sono in debito di ringraziarla tanto per la benevolenza che V. S. dimostra inverso questo povero Missionario, sempre lieto ogni qualvolta a lui si presenta un’occasione per venire in aiuto dei suoi diletti ma disgraziati connazionali.
Fu degna corona alla Missione di Grenoble la Comunione generale che si fece per la prima volta nel giorno solenne di Pasqua. La funzione riuscì bella e devota tanto che i buoni emigrati espressero il loro desiderio perché presto abbia a presentarsi un’altra occasione per godere di una gioia sì gioconda e sì pura. E questa comunione generale poi sarebbe riuscita ancora più numerosa se io avessi potuto in qualche modo moltiplicarmi.
Alla Messa solenne, durante la quale la nostra Corale eseguì con gusto scelti pezzi del Capitani, di Mons. Cagliero, la Cappella fu sì piena di gente da non potervi più capire persona.
Non meno soddisfacente fu la breve Missione che incominciò il giorno 11 del corrente mese a Notre Dame des Anges in Lione. Questa parrocchia conta 500 italiani, ed oltre trecento ogni sera si trovavano a sentire dal debole mio labbro la parola di Dio. Qui ancora ebbi a dolermi di me stesso perché non ho potuto soddisfare quanti volevano confessarsi. Non ho potuto assistere allo spettacolo di certo commovente della domenica giorno di gran festa per le Pasque italiane, poiché il mio dovere mi reclamava a Grenoble; ma a priori posso assicurare che riuscì imponente.
I cari fanciulli delle vetrerie formarono l’oggetto dei miei primi amori, Oh! quanto sono amabili questi buoni ragazzetti, ed insieme ahi! quanto disgraziati!
A Lione nelle vetrerie del cantone «La Mouche» ve ne sono un duecento: la più gran parte delle provincie meridionali. Essi vengono comperati a mo’ di schiavi, da alcuni agenti che a tal fine si portano in Italia. Costoro promettono ai parenti di questi cari fanciulli, la cui età varia di regola ordinaria dai 12 ai 16 anni, mari e monti; sborsano loro un centinaio di lire e poi fanno firmare una carta, che in sé varrà un bel nulla, ma di cui l’atto medesimo incute paura a questa gente ignorante, e si portano così via il ragazzetto che da quel giorno in sino allo scadere di un triennio incomincia una vita di umiliazione e di patimenti.
Essi lavorano, nelle vetrerie, i più vicini al fuoco e sono sottoposti alle più dure fatiche. Solo otto ore al giorno dovrebbero lavorare, ma succede pure spesso che le otto ore si cambiano in dieci e qualche volta anche in dodici. Sono poi mantenuti miseramente: al mattino un pezzo di pane duro, a mezzodì una semplice zuppa in comune con un po’ di pane duro e così la sera. La domenica un mezzo bicchiere di vino.
Teneri negli anni, mal nutriti, mantenuti per più nel sudiciume, soggetti a grandi fatiche, non fa stupire se nel breve spirare di quattro o cinque anni questi fanciulletti diventano incapaci ad ogni lavoro quando ancora non lascino la vita.
E questo non è il tutto: che alla miseria materiale s’aggiunge per di più la miseria morale. Confesso il vero; il mio cuore si intenerì sino alle lacrime quando avvicinando questi poveri disgraziati, mi accorsi che la loro ignoranza era al completo. Trovai giovani di 14, di 16 e perfino di 18 anni, e non sono casi isolati, che non sapevano dirmi che vi ha un Dio solo; per di più incapaci di leggere e scrivere. Sono cose che vanno al cuore!
Però sia detto in lode di loro, la morigeratezza è maggiore di quanto si potrebbe pensare; sono più derelitti che corrotti, ed è appunto questo, credo, il motivo per cui accorrevano volentieri fra le mie braccia, ascoltavano, come la Maddalena ai piedi di Gesù, le brevi istruzioni che per loro ogni sera io faceva a parte; per questo che tanti mi supplicavano perché li ammettessi a fare la Comunione. Fui largo molto per soddisfarli, ma pur troppo, mi sentii in dovere di ancora trattenere indietro, nonostante fervorose suppliche, alcuni di loro e assai anziani, perché si trovavano, e fa pena il dirlo, per rispetto alla conoscenza del buon Dio, al grado delle bestie. Oh! come sarebbe pure necessario che un buono e zelante Sacerdote italiano si dedicasse ad un’opera così importante e di assoluta necessità! tanto più che il Sacerdote italiano è vivamente desiderato dal Curato di Notre Dame di Lione e da altri ancora.
Presentemente mi trovo a Rive de Giers invitato da questo buon Curato per aiutare i miei cari confratelli, il Sac. Canonico e il Teol. Grassi. Può facilmente comprendere con quale contento dell’animo mio abbia abbracciato questi due zelanti e nuovi Missionari, i quali già mi erano carissimi amici. Lo zelo spiegato da Don Canonico e dal Teologo Grassi fu ben coronato, e ieri sera, giorno del mio arrivo qua, gentilmente invitato a tenere io stesso un breve sermone, con stupore vidi radunati nella ampia e bella Chiesa Parrocchiale oltre ottocento Italiani senza la minima esagerazione. Il Curato stesso di qui ne è meravigliato, e tanto è il contento che prova che già mi promise per un altro anno volere fare un’altra Missione italiana. Deo gratias.
Le condizioni di questi operai si rassomigliano a quelle degli operai di Lione, e come quelli sono ugualmente disgraziati i fanciulletti delle vetrerie di qui.
Ma le relazioni dettagliate a tale riguardo le lascio, come di giusta ragione, ai miei compagnoni, coi quali passiamo delle ore che da tempo io non ho più gustate così felici, e che si uniscono a me nel presentare I loro rispettosi omaggi a V. S. Ill.ma.
Sabato notte io partirò per Lione onde possa trovarmi per le confessioni di buon mattino nella domenica a Grenoble e per le solite funzioni.
Lunedì sera insieme con D, Canonico e Teol. Grassi, che mi raggiungeranno a Grenoble, partirò per Torino dove mi fermerò alcuni giorni soltanto, dopo di avere provvisto per Grenoble.
Dev.mo Servo
Sac. ANGELO JACOMUZZI
Missionario italiano a Grenoble.
Ill.mo sig. Segretario dell’Opera di Assistenza degli operai emigrati
Fino dallo scorso anno in seguito a conversazioni fatte con emigrati, venimmo sul proposito di recarci a Rive de Giers per dar comodo ad essi di adempiere il dovere pasquale, renderli migliori ed anche per sollevarli di fronte ai francesi come gente non tanta disprezzata perché non abbandonata dai loro sacerdoti. Non si poté far nulla per mancanza di mezzi. Quest’anno fattane parola col Teol. Franco da cui ebbimo incoraggiamento, fummo messi in corrispondenza col Curato di Rive de Giers, al quale comunicammo il nostro divisamento. Accolse di gran cuore lo zelante curato l’offerta fatta e si proferì di mettere a disposizione dei missionari, la Chiesa e la casa.
Con tali buone disposizioni, colla benedizione e commendatizia del nostro venerato Cardinale, coll’aiuto di codesta benemerita Opera, ci mettemmo in viaggio un po’ trepidanti, sia per non essere troppo conoscitori della lingua francese, del luogo della missione e delle disposizioni degli Italiani. — Il curato aveva bensì dato avviso in Chiesa del nostro arrivo, ma quanti Italiani vanno in Chiesa?
Nonostante queste difficoltà ed animati dallo Spirito di Gesù Cristo per cui gloria ci accingevamo alla temuta impresa, ci incamminammo fiduciosi nell’aiuto di Dio.
Arrivammo a Rive de Giers la sera dello stesso giorno, ricevuti dal Curato Abbè Gagnaire e da diversi Piemontesi consapevoli del nostro arrivo. Cordialissime furono le accoglienze dell’ottimo parroco, che ci ricevette con tutte le cure più amorevoli.
Il giorno seguente, domenica in Albis, demmo principio alla Missione colla celebrazione della S. Messa e della Predica, Circostanza commovente: appena comparso il Missionario in pulpito ed incominciato il discorso colle parole «Fratelli, siamo venuti dall’Italia fra voi, pel vostro bene spirituale…», molti che non erano ancor consapevoli della nostra venuta, all’udire la propria lingua parlata da un connazionale, furono non solo sorpresi ed attoniti, ma ad alcuni sfuggirono le lacrime dagli occhi. Due centinaia d’Italiani furono presenti alla funzione.
Alla sera altra funzione, Rosario, canto delle Litanie e Predica. Lo stesso orario fu tenuto nei seguenti giorni. La notizia della nostra venuta o non era giunta a tutti gli Italiani, oppure l’accidia li teneva lontani da noi, motivo per cui nella domenica e nel lunedì fu scarso l’ uditorio. Decidemmo allora di recarci in persona alle officine e nei loro quartieri per invitarli alla Missione. Ivi, sia per un saluto portato a loro dai parenti lontani, sia per piccoli regali in libri di devozione, medaglie, corone ecc., sia per un impulso della grazia di Dio: fatto sta ed è che frutto delle nostre visite fu di veder salire il numero degli intervenuti alla Chiesa fino quasi ad un migliaio, come accadde mercoledì, giovedì e venerdì, Non fu sterile la nostra Missione; il Signore volle consolarci colla vista di un migliaio d’Italiani accostarsi alla S. Mensa Eucaristica per soddisfare al dovere pasquale. Quanti nel deporre il pesante fardello delle loro colpe, nel ripigliare le pratiche di religione dianzi abbandonate, non piansero di consolazione! Possiamo dire che le nostre vesti furono più fiate bagnate da lacrime di gioia e di pace. Nota caratteristica della Missione fu il canto delle Litanie e la Benedizione del SS. Sacramento come si usa in Piemonte, cosa che fece esclamare a molti: pare di essere tornati nel nostro paese, nativo, nelle nostre Chiese e presso i nostri sacerdoti.
Domenica, 21 aprile sì fece una numerosissima Comunione generale che fu di edificazione a tutti. Ai comunicati fu distribuito il biglietto pasquale, Oh quante madri, al ricevere dai loro figli lontani questo segno di dovere compiuto piangeranno di gioia e ringrazieranno chi ha loro procurato tanto bene.
Sul biglietto pasquale furono scritte, come ricordo, queste parole: Perseverate nel bene! Dio voglia che altri dopo di noi accorrano in loro aiuto e non lascino spegnere la scintilla di bene ridestata nel loro cuore. Frutto pure della missione fu stabilire (e si spera in modo costante) l’insegnamento del Catechismo ai ragazzi italiani fatto da due giovani operai. Siano dunque rese grazie a Dio, che pur servendosi di noi servi inutili e disadatti, operò un bene così copioso. Grazie siano pur rese allo zelante Curato di N. D., che procurò tanto bene ai nostri fratelli. Grazie siano altresì tributate ai benefattori che ci procurarono i mezzi della compiuta missione.
I missionari italiani
Avv. GIUSEPPE PRATO, responsabile.
documento agghiacciante come la maggioranza di quelli riguardanti il risorgimento
Angela Pellicciari