1799, Fernando Riccardi rende onore al Ducato di Sessa
Il 13 gennaio abbiamo organizzato di concerto con la Proloco di Sessa, con la Biblioteca Comunale di Sessa e con il patrocinio del Comune di Sessa, un convegno dove veniva presentato la copia anastatica della marcia dei Sanfedisti del Card. Ruffo. Stando a Sessa non si poteva non parlare dei fatti del 1779 accaduti a Sessa e a questo ci ha pensato Fernando Riccardi che ha regalato all’aristocratica Sessa momenti di altissima cultura degni del blasone che la perla Regnicola ha nel suo Dna.
Dopo aver pubblicato i video dell’intervento introduttivo da me curato oggi pubblichiamo l’intervento di Fernando Riccardi ripresi da Cinzia Zomparelli e il Pres. Vincenzo Giannone in due pezzi. Pubblichiamo, altresi, anche gli appunti che Fernando ha preparato per esporre la sua relazione.
Convegno
1799: le insorgenze in Terra di Lavoro
e nel Ducato di Sessa nel Regno di Napoli
Biblioteca Comunale “Gaius Lucilius”
Sessa Aurunca (Ce)
Sabato 13 gennaio 2018, ore 17.30
Il Ducato di Sessa, collocato geograficamente sulla via Appia, l’antica “regina viarum”, che conduceva Capua e poi a Napoli, era un sito molto importante dal punto di vista strategico.
Ecco perché nel 1796 il re Ferdinando IV di Borbone lo reintegrava al demanio regio.
E la stessa cosa fece con il ducato di Sora e di Arce, nella media valle del Liri, che si trovava di fatto sulla via Consolare, la strada che da Sora conduceva a Capua, per di più situato nei pressi della linea di confine che saparava il Regno di Napoli dallo Stato Pontificio.
Quei territori erano troppo importanti, specialmente dal punto di vista militare, per lasciarli nelle mani di sia pur nobili famiglie.
Quindi, sia a Sessa che a Sora e dintorni, ci si liberò dal “giogo della feudalità” dieci anni prima che i francesi, con Giuseppe Bonaparte re di Napoli, emanassero la famosa “legge eversiva”, tanto osannata e lodata “urbi et orbi”, datata 2 agosto 1806.
Ma di questo, chissà perchè, non si parla mai o quasi.
L’importanza strategica dei due territori (Ducato di Sessa e Ducato di Sora) è confermata dal fatto che quando iniziarono a spirare forte i venti di guerra contro la Francia, le truppe borboniche vennero schierate proprio lì, tra il Garigliano e la media valle del Liri.
Per quel che riguarda Sessa, a Santa Maria la Piana, vennero dislocati cinque reggimenti di fanteria e sei squadroni di cavalleria.
E lì restarono per parecchi mesi fino a quando, il 10 ottobre del 1796, a Parigi, venne stipulato il trattato di pace tra la Francia ed il Regno di Napoli.
Anzi, ad onor del vero, vi restarono anche dopo, in attesa degli eventi, fino a quando una virulenta epidemia (forse di tifo), che provocò, secondo le fonti, 18 mila morti, costrinse la corte regia a disporre lo smantellamento degli accampamenti, sia nel sessano che nella valle del Liri.
Ma, come era facile prevedere, la pace non sarebbe durata a lungo.
E le cose precipitarono quando, nel febbario del 1798, i francesi di Championnet invasero lo Stato della Chiesa, detronizzando il vecchio e malato pontefice Pio VI, che qualche mese dopo morirà in esilio in Francia.
Fu allora che tra il Garigliano e Sora tornarono ad accamparsi le truppe borboniche.
E si cominciarono a costituire, per ordine espresso del re Ferdinando IV, anche le cosiddette “truppe a massa”, reclutando volontari che non avevano obblighi di leva e che, quindi, non potevano confluire nell’esercito regolare.
Ogni paese fu tenuto ad adempiere a questa prescrizione, fin dal mese di luglio del 1798: evidentemente già si presupponeva che l’esercito regolare borbonico non sarebbe stato in grado di sostenere adeguatamente lo scontro con le truppe transalpine, scarse numericamente (soltato 15-18 mila uomini), ma molto ben dirette dall’energico generale Championnet.
Anche Sessa fu chiamata ad ottemperare a tale incombenza tanto che il governatore Giulio Beatrice, un giureconsulto di Mondragone, ricevette l’ordine di formare una compagnia di cacciatori, sotto la denominazione di “cacciatori minturnesi”, avvalendosi anche dei detenuti.
Sappiamo bene come andarono le cose.
La truppe borboniche, affidate al comando del generale austriaco Mack von Liebarick, grande esperto di strategia militare ma che non aveva mai combattuto sul campo di battaglia, invadono lo Stato Pontificio e conquistano Roma con relativa facilità (fine novembre 1798).
Subito dopo, però, le cose si mettono male, con Championnet che passa al contrattacco, l’esercito borbonico si scioglie come neve al sole, ed i reparti giacobini possono sciamare indisturbati in direzione di Napoli, seguendo la litorale tirrenica ed il percorso interno che da Sora reca a San Germano (l’odierna Cassino) e poi a Capua.
2 gennaio 1799 = Le truppe transalpine del generale Kellermann entrano in Sessa senza dover sparare neanche un colpo di fucile. Quindi, poco dopo, l’ufficiale riparte per Capua lasciando in città un esiguo distaccamento.
6/7 gennaio = Scoppia la rivolta antifrancese guidata da Antonio Vacca e dal calzolaio Salzillo, senza dimenticare il sacerdote Capizzi e Leone di Tora di Lauro, tra i più valorosi luogotenenti di Michele Pezza, alias Fra Diavolo, di Itri, il capo indiscusso del movimento insurrezionale antigiacobino. In quel giorno, infatti, un ufficiale francese giunge a Sessa con l’ordine di prelevare denaro per la contribuzione che la città di Sessa doveva fornire. Usando la forza riesce ad ottenere 1.800 ducati dal governatore Giulio Beatrice. Tale episodio scatena la sollevazione popolare e nei disordini viene ucciso un soldato francese. La scintilla parte da Cascano e ben presto arriva fino a Sessa, dove confluiscono anche gli insorgenti di Carinola, guidati da Salvatore Donatiello di Giusti. Nella zuffa resta ucciso il capitano francese Gourdel, aiutante di campo di Championnet. Terribile fu la fine riservata all’ufficiale francese: fu bruciato vivo ed a fuoco lento nella pubblica piazza. Pronta reazione dei giacobini con i generali Rey e Kniazewicz che inviano 3 mila uomini per sedare la sommossa.
9 gennaio = Cascano è riconquistata e saccheggiata
10 gennaio = Rey giunge a Sessa ed intima la resa ma per tutta risposta i sessani uccidono la persona, un tale Struffi, che era stato inviato a parlamentare. Comincia allora l’attacco che porta alla caduta di Sessa ed al suo atroce saccheggio. Per punire i sessani il generale Rey impone una contribuzione forzosa straordinaria di undicimila ducati.
La ricostruzione di questi fatti drammastici si può apprendere andando a leggere le memorie, davvero assai interessanti benché di parte, dei generali francesi Thiebault e Bonnamy.
21 gennaio = Si pianta l’albero della libertà (in effetti si trattò di una pianta di arancio), davanti la chiesa di San Giovanni. In quello stesso giorno, o giù di lì, ora più ora meno, a Napoli un gruppo di “patrioti”, stimando ormai vicino l’arrivo delle truppe francesi, proclamava la “Repubblica Napoletana una e indivisibile”.
22 gennaio = Si insedia la municipalità repubblicana a Sessa. Francesco Novellino, un patriota che era rientrato con i francesi, è il presidente, Antonio Micillo, Pascale Vacca e Giacinto Sacco i sindaci, Saverio Cox, Antonio de Petrillo e Vincenzo Sorgente i municipi. Viene allestito un ospedale militare nel convento degli Agostiniani, viene costituita una guardia civica agli ordini di Muzio Cornelio, con capo di battaglione Francesco Funiciello, e nominata una commissione militare, presieduta dal barone Vincenzo De Luca, per giudicare i reazionari filo borbonici che avevano fatto scoppiare la rivolta ai primi di gennaio. Vengono condannati a morte, tra gli altri, Mascolo di Lauro, parente di Leone di Tora, e l’avvocato Vincenzo de Angelis di Roccamonfina.
9 febbraio = Entra in vigore la legge Bassal, dal nome di un ex curato che aveva seguito Championnet in Italia ed era stato nominato ministro delle finanze del governo provvisorio napoletano, che suddivideva l’ex regno borbonico in 11 dipartimenti, a lora volta suddivisi in cantoni e municipalità, secondo la moda transalpina. Il cantone di Sessa entrava a far parte del dipartimento del Garigliano che aveva come capoluogo San Germano, l’odierna Cassino. Per la cronaca il cantone di Sessa comprendeva: Sessa, Roncolise, Cascano, Sant’Agata, Quintola, Avezzano, Sorbello, Carano, Piedimonte, Mondragone e Falciano. Giovan Vincenzo Battiloro, un ex sacerdote di Arpino, fu nominato commissario del dipartimento del Garigliano.
A partire dal mese di aprile sia i francesi che i polacchi iniziano ad abbandonare Sessa dirigendosi verso Roma ed il nord Italia, contrastati dalle masse guidate da Leone di Tora.
14 maggio = Leone di Tora occupa Sessa.
16 maggio = L’abate Mattia de Paoli, parroco di Cellole, strenuo difensore del re Borbone e acerrimo oppositore di “que’ perfidi ed infami ribelli che sotto l’orrida maschera del Giacobinismo nascondono un pestifero veleno ed un feroce genio sovvertitore de’ sacri diritti del Trono e della Monarchia”, lancia un proclama insurrezionale volentissimo (dal quale è tratta la frase che vi ho appena letto) mirante a far insorgere la popolazione locale, guidata “dall’invitto Eroe Lione di Tora”, per scacciare quel che rimaneva dei giacobini e dei loro satelliti locali.
10 giugno = Il governatore Giulio Beatrice, in una sua relazione, scrive che a Sessa, Mondragone e paesi limitrofi, l’albero giacobino della libertà è stato definitivamente rimosso.
Personaggi sessani tra “reazionari”
e “repubblicani”
Reazionari
Nel folto novero dobbiamo inserire Leone di Tora, fedele luogotenente di Fra Diavolo, il sacerdote Capizzi, il calzolaio Salzillo, Antonio Vacca e il governatore Giulio Beatrice, che però era di Mondragone.
Ma i due personaggi di spicco nell’ambito del movimento reazionario sessano sono sicuramente l’abate Mattia de Paoli e il vescovo diocesano mons. Pietro De Felice.
Sacerdote Mattia de Paoli (1770-1831)
Fu parroco di Cellole per 25 anni, ma anche un fine letterato, teologo, seguace delle dottrine di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, membro di varie accademie culturali dell’epoca (tra le quali l’Arcadia Reale, a Napoli, con il nome di Ippoloco Pritaneo), docente di eloquenza e di lingua greca nel seminario vescovile di Sessa.
Fu per tutta la vita uno strenuo sostenitore della monarchia borbonica ed un feroce oppositore dei giacobini nel 1799 e poi dei napoleonidi nel decennio francese.
Cellole, anche grazie alla sua azione e predicazione, fu uno dei posti molto temuti dai francesi i quali, passando di lì, venivano immancabilmente presi d’assalto, specialmente nel luogo detto “la Piscara”, e spesso ci lasciavano le penne.
E gli abitanti del borgo, dimostrando tutto il loro disprezzo per i giacobini, erano soliti affermare che “andavano a caccia di cinghiali”.
Un altro posto fatale per i francesi fu sicuramente Castelforte che temevano particolarmente gli agguati continui e devastanti dei cosiddetti “piedi pelosi”: così erano chiamati gli abitanti di quel paese per via delle calzature di pelle di capra che portavano ai piedi.
L’abate de Paoli, arrestato nel 1807, con l’accusa di “reazionario ed eccitatore della controrivoluzione”, fu mandato in esilio a Montefiascone, vicino Viterbo.
L’esilio durerà tre anni, dopo di che potè tornare alla sua parrocchia di Cellole dove rimarrà fino alla morte, giunta nel 1831.
Mons. Pietro de Felice (1737-1814)
Vescovo di Sessa Aurunca dal 1797, uomo di irreprensibili costumi, all’avvicinarsi dei francesi fu instancabile nella sua opera tutta tesa al respingimento degli invasori in nome della fedeltà al legittimo regnante Ferdinando IV di Borbone.
E fu così preso nella sua “missione” che pretese dai tutti una sorta di giuramento di fedeltà.
Fu lui a guidare la rivolta contro i giacobini il 6 di gennaio che culminò con l’eccidio di Cascano, tra i primi, se non il primo in assoluto, episodi di insorgenza antifrancese in Terra di Lavoro.
Ristabilita la situazione, con il ritorno a Napoli di Ferdinando IV, mons. De Felice, nell’ottobre del 1799, dava alle stampe il “Catechismo Reale”, un opuscolo anti-giansenista, che andava a contrapporsi al “Catechismo Repubblicano” del vescovo filo giacobino di Vico Equense, mons. Michele Natale.
Anche il vescovo di Sessa, nel 1807, veniva arrestato con l’accusa di essere un pericoloso agente controrivoluzionario
Senza subire alcun processo (come del resto anche l’abate de Paoli) gli furono chieste mille piastre per la liberazione.
Al suo rifiuto sdegnato venne spedito in esilio ad Assisi.
E la sua stessa sorte subirono i vescovi Ludovici di Policastro, Colaianni di Sora e de Mellis di Aquino.
A quanto è dato sapere potè ritornare nella sua diocesi di Sessa soltanto dopo aver giurato fedeltà al nuovo governo.
E qui rimase fino alla morte che lo colse nel 1814.
Repubblicani filo giacobini
I nomi già li abbiamo, in gran parte, già menzionati.
Il barone Vincenzo De Luca, cui fu affidato il compito di presiedere la commissione militare giudicatrice della reazione del 6 e 7 gennaio a Cascano e a Sessa.
I fratelli Girolamo e Giuseppe Struffo.
Francesco Funicelli (o Funiciello), capo di battaglione della guardia civica.
Gaetano Colacicco, che figura nell’elenco degli “eccettuati” dall’indulto di re Ferdinando del 23 aprile 1800.
Tommaso Verrengia, capo della guardia civica di Carano.
Il canonico Creta.
Francesco Novellino, presidente della municipalità sessana.
Antonio Micillo, Pascale Vacca e Giacinto Sacco, sindaci della municipalità.
Saverio Cox, Antonio de Petrillo e Vincenzo Sorgente, municipi.
Muzio Cornelio, comandante della guardia civica.
Nelle carte dell’Archivio di Napoli tra i “repubblicani” sessani figurano anche un tale Salvatore Laubert, che però dovrebbe essere di Teano, Paolo Corona, che in effetti è di Sora, Camillo Aprile e Aniello Silvestro, colono che aveva in affitto alcuni poderi di Tommaso Verrengia, a Carano.
Infine c’è da segnalare il curioso, ma mica poi tanto, caso di Saverio Cox, che nell’arco di pochi mesi, da repubblicano (era stato uno del municipi di Sessa) passa armi e bagagli nel campo dei realisti: lo troviamo infatti incaricato, nel luglio del 1799, da Leone di Tora nel disporre il sequestro dei beni del “giacobino” Aniello Silvestro.
Sugli eventi che, tra il gennaio ed il giugno del 1799, interessarono Sessa e dintorni, presso l’archivio di Stato di Napoli, è conservata un’enorme mole di materiale cartaceo che, in parte, deve essere ancora studiato ed analizzato.
Così come non possono essere trascurati i “libri mortuorum” di quel periodo che costituiscono una fonte, assi spesso inedita, dalla quale trarre notizie di straordinario interesse.
Prima di concludere, consentitemi di ricordare in questa sede, un amico ed uno studioso aurunco, che ci ha lasciato troppo presto.
Mi riferisco al prof. Aldo Di Biasio, docente dell’Orientale di Napoli, con il quale ho avuto una lunga e proficua frequentazione culturale, anche sui fatti del 1799.
Ho avuto infatti l’onore ed il piacere di essere tra i suoi collaboratori quando, nel 1999, organizzò in quel di Formia, una bellissima mostra di documenti, manoscritti e libri a stampa sulla Repubblica Napoletana del 1799, a duecento anni esatti dalla sua proclamazione.
Con Aldo Di Biasio, non la pensavamo proprio allo stesso modo, ma apprezzavo moltissimo la sua limpida onestà intellettuale ed il suo rigore scientifico nell’analizzare le fonti.
Ecco perché mi sembrava giusto ricordare oggi, qui, a Sessa Airunca, non troppo lontano dal suo paese natale (Santi Cosma e Damiano) il suo nome e la sua imponente opera di provetto studioso del comprensorio aurunco e non solo.
Fernando Riccardi