Alta Terra di Lavoro

già Terra Laboris,già Liburia, già Leboria olim Campania Felix

Figure salienti dell’ Unità d’Italia

Posted by on Dic 28, 2018

Figure salienti dell’ Unità d’Italia

I GENERALI LANZA, CLARY, NUNZIANTE, PIANELLI E L’AVVOCATUCCIO DON LIBORIO ROMANO:
questi cinque uomini,chi più chi meno tutti erano stati beneficati dai Borboni, e si disobbligarono col tradimento il più inqualificabile. Questi cinque uomini sono quelli stessi che nel corso di questo viaggio ho chiamati fatali alla dinastia e al Regno, che fecero di tutto, come se non avessero avuto una patria, per farla cadere inonorata, anzi farla rotolare nel fango. È da notarsi però, che Nunziante fece più male quando facea l’assolutista e il terrorista, anzi che quando si coprì con la maschera di liberale.

A questi cinque uomini fatali fecero codazzo due altezze reali, Leopoldo di Borbone Conte di Siracusa, e Luigi di Borbone Conte d’Aquila, tutti e due fratelli di Ferdinando II. Il Conte d’Aquila meriterebbe il posto tra i primi cinque, perché in qualità di Ammiraglio ridusse la flotta napoletana (ad eccezione di pochi uffiziali e delle ciurme) ad una congrega di settarii; e la defezione della flotta fu una potente leva per rovesciare dinastia e trono.

Si distinsero nell’epoca garibaldina per viltà e tradimenti i generali Landi in Calatafimi, Lanza in Palermo, Clary in Messina, Gallotti in Reggio, Ruiz e Briganti nel Reggiano, Caldarelli in Cosenza, Ghio in Soveria-Mannelli, Lo Cascio in Siracusa, Torson la Tour in Augusta, Flores in Bovino, de Benedictis negli Abruzzi.

Vi sono altri Generali che veramente non tradirono, ma si distinsero o per viltà o perché mancarono al loro dovere come soldati, come sudditi, e come gentiluomini.

A tutti questi duci gallonati fecero seguito molti ufficiali superiori e subalterni, che sarebbe lungo e noioso nominarli tutti, ma che ho accennati nel corso di queste Memorie.

Circa la invasione del Regno di Napoli si dissero e si stamparono cose iperboliche sul merito militare di Garibaldi, ed hanno innalzato costui al di sopra di Turenna, di Federico II, di Napoleone I. Senza spirito partigiano vediamo quali furono le battaglie vinte dal duce rivoluzionario, e qual merito militare dimostrò da Marsala al Volturno.
Per maggior comodo de’ miei benevoli lettori compendierò in poche pagine la Iliade garibaldesca ricavandola da’ fatti autentici, e che oggi sarebbe impudenza mettere in dubbio.

Garibaldi partì dal continente confortato dagli aiuti morali e materiali del governo sardo. Egli sbarcò a Marsala quando già sapea che la guarnigione era stata mandata a Girgenti per ordine del comando generale di Palermo: quella guarnigione a piedi comandata dal colonnello Francesco Donati sembrò pericolosa allo sbarco garibaldesco e due giorni prima fu mandata altrove.

Due legni inglesi fecero la spia contro i regï, e protessero lo sbarco di Garibaldi. Tre piroscafi di guerra napoletani che si trovavano in crociera nelle acque di Marsala, presero il largo fino che non si fosse effettuito quello sbarco. Uno di quei piroscafi, il Capri, era comandato da Marino Caracciolo, che poi, come rilevasi dalla Difesa Nazionale di Tommaso Cava, a pag. 101, volle tenuto al fonte battesimale un figlio da Garibaldi, e costui memore de’ servizii ricevuti da quello in Marsala, accettò con piacere di farsi compare col primo che tradì Francesco II.

Marino Caracciolo è quello stesso che poi entrò il primo nel forte di Baia e prese possesso a nome del compare.
Un altro legno era comandato da Guglielmo Acton, poi ministro del Regno d’Italia!
Nello stesso sbarco di Marsala, tanto celebrato da’ rivoluzionarii, nulla trovo di straordinario, neppure potrebbe dirsi audace.
Garibaldi a Calatafimi fu sbaragliato coi suoi mille da solo quattro compagnie dell’8° cacciatori comandate dal maggiore Sforza.

Ma Landi, come sapete, avea accomodati gli affari suoi, quando vide il compare Garibaldi a mal partito per la disobbedienza di Sforza, volendo riparare il mal fatto di costui, fuggì verso Palermo col resto della grossa brigata di 3000 uomini, lasciando le quattro compagnie senza munizioni, e senza avvertirle della sua fuga.
Sin’oggi i garibaldini strombazzano che vinsero a Calatafimi, mentre furono battuti da sole quattro compagnie che non oltrepassavano cinquecento uomini, e costoro s’impossessarono pure della loro tanto celebrata bandiera di Montevideo.

Garibaldi appena assalito al Parco fuggì in disordine assieme a’ suoi; e vedendosi abbandonato dalla squadre siciliane, volea gettarsi su’ monti per aspettare il tempo e l’occasione d’imbarcarsi sul continente.

I suoi ammiratori dicono che quella fu una gran manovra militare per ingannare i regï, ma si sà, e lo pubblicarono gli stessi garibaldini, che il loro duce era scoraggiato, ed avea abbandonato il progetto di entrare in Palermo.

Crispi e il Turr cominciarono a persuaderlo della necessità di entrare audacemente in Palermo: e il comitato rivoluzionario di quella città finì di convincerlo, con fargli conoscere che avea delle pratiche con qualche duce regio, e che costui gli avrebbe lasciate libere le Porte di S. Antonino, e di Termini per entrare in Città comodamente.

Difatti la sera precedente ad onta che il generale Lanza sapesse che Garibaldi dovea entrare la mattina seguente in Palermo da quelle porte, non solo richiamò attorno a sè al palazzo reale la brigata Colonna che campeggiava fuori le porte di Termini, e S. Antonino, ma sguarnì di truppa quelle due porte; alla prima lasciò 59 soldati del 9° di linea, alla seconda 260 reclute del 2° cacciatori, che ancora non sapeano maneggiare il fucile.

Non trovo nulla di estraordinario che Garibaldi confortato dalle buone disposizioni di Lanza a suo riguardo, sia entrato da quelle due porte con quattromila uomini tra garibaldini e squadre siciliane.
Il generalissimo Lanza invece di combattere validamente l’invasore, avendo a sua disposizione ventiduemila uomini, prima lo lasciò fortificare con ripari e barricate, poi mandò drappelli di soldati per combatterlo, e quando costoro arrecavano danni agli invasori era solerte a richiamarli indietro.

Lanza per rendere un maggior servizio alla rivoluzione, bombardò Palermo senza necessità e senza scopo militare, indi pregò Garibaldi per un armistizio, che finì poi con l’abbandono di Palermo e dell’Isola.
Il 30 maggio la sola brigata Meckel sbaragliò tutti i rivoluzionarii fortificati in Palermo.

Garibaldi era perduto, gridava: tradimento! sono stato tradito!
Ricorse al generale Lanza per salvarsi da’ soldati di Meckel, e quel Generale trattenne il braccio di costui che stava già per stritolare Garibaldi e tutti i suoi.
Dopo questi fatti, Lanza senza far bruciare una cartuccia da’ ventiseimila soldati che avea sotto i suoi ordini, e che fremeano di battersi, abbandonò Palermo e la Sicilia a Garibaldi!

L’entrata di Garibaldi in Palermo si celebra da’ rivoluzionarii come una gran vittoria militare, è un’impudenza mentire con tanta sfacciataggine: lo credono i gonzi, e coloro che non sanno o non vogliono sapere i fatti di quella tragicomedia.

Il Dittatore della Sicilia vinse a Milazzo, cioè con ottomila uomini tra garibaldini e truppa piemontese in camicia rossa, oltre delle squadre siciliane, dopo otto ore di combattimento fece ritirare nel castello mille soldati napoletani.

Che Garibaldi avea in Milazzo ottomila uomini tra garibaldini e truppa piemontese, lo disse egli medesimo al comandante del vapore francese il Protis; che Bosco oppose soli mille uomini, si rileva dal documento che riportai a pag.109.
È da osservarsi poi che Garibaldi oltre della superiorità del numero avea una flottiglia che bersagliava i regï in Milazzo, ed avea l’appoggio morale in Messina da Clary, ed in Napoli da’ ministri liberali, D. Liborio e Pianelli.

E da osservarsi ancora che il merito del fatto d’ami di Milazzo è tutto dovuto a Medici e Cosenz; sin dal principio della pugna Garibaldi lasciò il campo di battaglia e se ne andò sul Veloce.
Nulla dunque si rileva di estraordinario per parte di Garibaldi circa il fatto d’armi di Milazzo, ma trovo estraordinario solamente che mille soldati napoletani lottarono 8 ore contro tutta la rivoluzione cosmopolita, e dopo di avere uccisi ottocento garibaldini, in bell’ordine si ritirarono nel castello di Milazzo, ed era ciò secondo le istruzioni di Clary date a Bosco.

Garibaldi assalendo i regï in Milazzo era certo del fatto suo, dappoichè se da Messina o da Napoli fossero arrivati altri tre o quattro Battaglioni, la rivoluzione sarebbe stata distrutta anzichè acquistar forza morale e materiale. Sino a Milazzo non trovo dunque alcun fatto che dimostra essere Garibaldi un generale di qualche merito.

In Calabria, il Dittatore non sostenne alcun fatto d’armi importante; il suo passaggio sul continente calabro fu agevolato e protetto dalla squadra sarda, e da quella napoletana, e lo dimostra la 2a parte del Diario di Persano. t

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